Mordere il cielo (di Palermo) per Crepet: "Educare alla libertà, avere fame di vita"
Un libro che è un invito ad alzare lo sguardo, a non svendersi, e soprattutto, a rieducare la nostra idea di crescita, partendo dai nostri figli. L'intervista a Balarm

Paolo Crepet a Palermo (foto di Federica Dolce)
L’evento, promosso dalla Fondazione Federico II e dall’ARS sotto la presidenza di Gaetano Galvagno, è più di una semplice presentazione: è un invito ad alzare lo sguardo, a smettere di addomesticarci alla mediocrità e, soprattutto, a rieducare la nostra idea di crescita, partendo dai figli.
Crepet, con la sua scrittura calda e affilata come un bisturi, nel nuovo libro esplora una parola potente e dimenticata: desiderio. Il cielo, dice, è il simbolo di ciò che è lontano ma non impossibile.
«Mordere il cielo» significa tornare ad avere fame di vita, quell’urgenza di essere se stessi anche quando il mondo ci chiede di essere copie, cloni, esecutori.
Alla domanda su come si possa allenare il coraggio nella vita quotidiana, Crepet risponde con una sincerità disarmante: «Io già faccio fatica a dare consigli a me stesso, e lo devo fare. Quindi agli altri dico: siate liberi di pensare quello che ritenete giusto. Sapendo che ci sono limiti, certo, ma questo non significa recedere dalla voglia di vivere. Bisogna mantenere la fame di vita, la voglia di cambiare».
Una fame che, secondo Crepet, oggi molti stanno perdendo. Perché? «Non sono mai stato d’accordo con chi generalizza. È sbagliato. C’è chi ha paura di inventarsi qualcosa, e c’è chi invece ci prova. Non siamo tutti buoni o cattivi. Ma possiamo ancora imparare. Possiamo ancora provarci».
Il nemico, secondo il professore, non è solo esterno. Non è la scuola, la società, il lavoro. Il nemico spesso è l’addomesticamento. Viviamo in un tempo in cui il rischio è anestetizzato, dove l’unicità viene scambiata per errore e il fallimento per colpa.
«Sbagliando si rischia, ma si cresce. Bisogna far emergere l’autenticità dei nostri figli, non imbeccarli. Non serve guidarli passo passo, ma ascoltarli, lasciarli provare e vedere il mondo con i loro occhi».
Per questo Mordere il cielo è anche una riflessione sull’educazione: quella vera, che non consiste nel proteggere i figli da tutto, ma nell’aiutarli a diventare unici, anche sbagliando da soli.
«Non dobbiamo fare dei nostri figli dei fac-simile - insiste Crepet -. L’educazione non è costruire una replica di sé stessi o di un modello socialmente approvato. È semmai aiutare una creatura a scoprire chi è, anche se questo vuol dire vederla sbagliare, inciampare, perdere la rotta. Perché è proprio lì che nasce la personalità».
Un tema che s’intreccia con la fragilità delle nuove generazioni, spesso travolte da un eccesso di connessione, più che da un eccesso di vita. «Il problema oggi è la connessione - dice -.Bisognerebbe lasciare un po’ questa eccessiva connettività. L’intelligenza va avanti lo stesso».
E su questo è netto: «No all’intelligenza artificiale» come sostituto dell’intelligenza umana. Perché essere umani significa sentire. Il messaggio è chiaro: disconnettersi per riconnettersi a sé stessi, ai propri desideri, alla propria capacità di immaginare.
Non è nostalgia del passato, ma volontà di restituire profondità al presente. È un richiamo forte alla responsabilità educativa di genitori e insegnanti, che non possono più permettersi di delegare alla tecnologia – o alla paura – la crescita dei propri figli.
Paolo Crepet non offre ricette ma visioni. Non regala formule ma domande che mettono in crisi, e proprio per questo liberano. Come già nei suoi precedenti libri – Lezioni di sogni, Oltre la tempesta, Il coraggio – anche in Mordere il cielo torna l’urgenza di riabilitare il desiderio come motore della crescita.
Desiderio di essere, di fare, di cercare. Anche controvento. «Be you, essere se stessi», Crepet ripete. Ma come si può essere liberi di essere se stessi se nessuno ti ha mai chiesto chi sei davvero? «La rivoluzione è empatia, accorgersi dell’altro».
Quindi non basta “parlare di emozioni”, bisogna viverle. «Nelle relazioni, accorgersi che l’altro sta male o è triste… è importante. È essere umani, è essere unici».
Oggi l’eccessiva connettività ci ha fatto perdere i rapporti umani, il chiedere a qualcuno come stia, sembra banale ma è empatia e ti mette in connessione con l’altro, non imbrigliati in schemi, e rendendoci liberi di sentire. Non è un caso che il suo invito alla libertà vada di pari passo con una critica netta alla direzione in cui sta andando la società: «Una comunità in cui si declamano solo i diritti e non anche i doveri è finita».
Senza responsabilità condivise, non può esserci crescita né futuro.
L’emergenza educativa è anche e principalmente culturale. Infatti, per Crepet, la lettura è il primo atto di libertà: «Se non leggi non hai vita, non ti costruisci opportunità, non puoi vivere senza leggere».
E se i ragazzi oggi sembrano spenti, più che disinteressati, è forse perché li abbiamo privati degli strumenti per accendersi. Nella cornice simbolica di Palazzo Reale, la sua parola è stata una chiamata alla disobbedienza del pensiero unico, alla sfida di crescere figli con l’idea che non serva piacere a tutti, ma solo piacersi abbastanza da non svendersi mai.
Chi educa, oggi, deve avere il coraggio di non piacere. Di non cedere alla scorciatoia del consenso, ma di sostenere con forza l’unicità, anche quando è faticosa.
«La vita vera costa. Essere se stessi costa. Ma è meglio essere felici ed essere se stessi».E allora, come Steve Jobs – che Crepet cita spesso – «Think different: lui era un visionario che veniva dal dolore».
Chi ha vissuto l’ombra sa apprezzare la luce. Chi ha lottato con la complessità sa riconoscere la verità. In tempi in cui l’educazione viene spesso confusa con il controllo, Crepet ci ricorda che la vera cura passa dal lasciare andare, dal non riempire ogni vuoto, ma renderlo spazio possibile per qualcosa di nuovo.
«Bisogna insegnare a cercare, non solo a trovare. A desiderare, non solo a ottenere». E forse, solo così, impareremo davvero a mordere il cielo!
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