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Nel suo stemma si narra di Santi, poeti e ninfe: Termini Imerese tra storia e leggende

Tra le numerose raffigurazioni dello stemma civico è certamente tra i più interessanti quello realizzato nel 1610 da Vincenzo la Barbera e che si trova presso il palazzo municipale di piazza Duomo

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 7 novembre 2021

Affresco dello Stemma di Termini Imerese realizzato da Vincenzo La Barbera

Lo stemma di Termini Imerese ritrae un maestoso monte sulla cui sommità notiamo San Calogero (il primo patrono della città), alle falde dell'altura si riconoscono due figure: a sinistra una “fanciulla” con cornucopia, a destra un uomo anziano con un libro in mano.

Al centro tra questi due personaggi è disegnata una capretta. Si tratta di una rappresentazione simbolica dove la leggenda e la storie di Santi, poeti e ninfe si mescolano risaltandone i fasti della Civitas Splendidissima.

Tra le numerose raffigurazioni dello stemma civico, quello che si trova presso il palazzo municipale di piazza Duomo è certamente tra i più interessanti. Venne realizzato nel 1610 dal pittore termitano, Vincenzo La Barbera, considerato tra i maggiori esponenti del tardo manierismo siciliano, ed è inserito all’interno di un ciclo pittorico dedicato alle vicende antiche di Himera e di Thermae Himeresens.

Il significato dei personaggi che adornano lo stemma della città delle Terme, va ricercato nella sua antica storia, partendo proprio dalla fondazione della colonia greca e dagli eventi che ne susseguirono.
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Durante la disfatta di Imera, da parte dell'armata cartaginese del 409 a.C., la città venne rasa al suolo. In questa circostanza il condottiero militare Annibale, voglioso di vendicare suo nonno Amilcare morto nella precedente battaglia del 480 a.C. sempre a Imera, dopo aver trucidato numerosi imeresi fece razzia di tutte le statue che adornavano gli spazi pubblici della città. Tra queste portò con sé, quelle che riproducevano Stesicoro, una “fanciulla”, ed infine una capretta, quest’ultima considerata come la rappresentazione della fertilità.

Si dovette attendere oltre cinque secoli per la restituzione delle statue, quando Publio Cornelio Scipione Emiliano (il minore), dopo la vincente campagna d'Africa del 146 a.C, le riconsegnò a Thermae. L'evento è ampiamente documentato da Cicerone nella sua “Orazione delle Verrine”, che così scrive: “in questa occasione Scipione chiamò a raccolta tutti i Siciliani ed essendo a conoscenza che l’isola era stata per molto tempo succube dei cartaginesi ordinò di fare una ricognizione su tutto quello che era stato depredato con l’impegno di restituire alle città ciò che era stato rubato.

Ai Termitani furono restituite tutti quegli oggetti che erano stati sottratti a Imera, un tempo la loro antica patria.” Sempre Cicerone a proposito della statua femminile così scrive: “tra queste si distingueva per la sua bellezza la stessa Imera, rappresentata dal nome della città e dal fiume, in aspetto e abbigliamento femminile.”

Sul lato opposto alla figura femminile, è visibile il poeta arcaico Stesicoro. Secondo i compilatori del Lessico Suda, egli era un poeta lirico, che per primo istituì un coro per il canto citarodico. In epoca bizantina era collocato tra i poeti corali, al pari di: Pindaro, Bacchilide, Saffo, Anacreonte, Simonide, Ibico, Alceo e Alcmane.

Dal punto di vista figurativo il poeta viene solitamente ritratto come un uomo ricurvo e in avanti con l'età. A tal proposito le fonti antiche come quelle di Cicerone, San Girolamo e Luciano di Samosata, confermano della longevità del poeta. Proprio quest'ultimo attesta che visse oltre ottantacinque anni.

Ma le vicende delle tre statue imeresi, ritratte all’interno dello stemma civico della città, furono ancora una volta protagoniste in un’altra vicenda. Il riferimento storico è a quando la Sicilia era governata da Gaio Licinio Verre. Quest’ultimo non godette di buona fama, infatti, venne accusato da Marco Tullio Cicerone del reato di concussione “per aver depredato la provincia di Sicilia, per aver distrutto le città, per aver rubato le dimore ed infine per aver svuotato i templi”.

Infatti, venuto a conoscenza delle bellezze delle tre statue imeresi, Verre fece di tutto affinché se ne impadronisse. Ad opporsi, a tale pretesa, fu un illustre nobile termitano di nome Stenio, che non ci pensò due volte ad accusarlo pubblicamente delle sue maldestre intenzioni. Ma nonostante avesse detto la verità, Stenio, venne incastrato subendo un ingiusto processo per falso in atto pubblico.

Malgrado ciò, Verre era ancora bramoso di vendetta perché intenzionato ad ottenere una rivalsa che fosse ancora più esemplare. Così grazie a un testimone (uno poco affidabile di nome Marcus Pacilius) riuscì a denunciarlo di delitto capitale. Ma la questione giunse a Roma e dinnanzi al senato romano, il termitano venne difeso da Cicerone che lo scagionò dalle infamanti accuse architettate da Verre.

A proposito dello stemma civico della città, per Tommaso Fazello, la statua femminile è da riferirsi alla ninfa Imera. Nella sua opera dal titolo “Le due deche dell’Historia si Sicilia” dato alle stampe nel 1573, così scrive: “… tra queste statue, c’era il ritratto della stessa città d’Imera, fatta in forma di Femmina, la quale per diligenza e accortezza dello scultore e per artificio molto ben condotto, era meravigliosa a vedere.”

In realtà in merito alla figura femminile posta sulla sinistra dello stemma, i pareri degli storici sono contraddittori. La rappresentazione iconografica parrebbe quella tipica della dea dell'abbondanza; tra le mani, infatti, sorregge una cornucopia colma di spighe di grano. Questa ipotesi è anche confermata da Vincenzo Sòlito nella sua opera “Termini Himerese posta in teatro” del 1669: " la donna con le spighe in mano, è la Dea Cerere tanto dall'antichi Termitani adorata, e celebrata, e per esser la detta Città ornata del Caricatore.” Quest’ultimo era il nome di un’area della città dove esistevano dei magazzini per lo stoccaggio del grano.

Della stessa opinione è anche Giuseppe Benincasa che, qualche decennio dopo nel 1779, nell’opera dal titolo “Sull’origine e sullo stemma di Termini Imerese” la definisce la dea Cerere.”

A completare i personaggi dello stemma civico troviamo San Calogero. La sua caratteristica era quella di abitare da eremita sui monti. Fuggito alle persecuzioni di Diocleziano, il San Calogero “termitano”, iniziò l’evangelizzazione dei territori di Termini e della vicina Caccamo.

Una curiosità: nello stemma realizzato da Vincenzo La Barbera il Santo viene similmente rappresentato in abiti domenicani non corrispondenti con l'eremitaggio di cui faceva parte. Di certo appare curioso come le cronache bibliografiche del Beato Agostino Novello, l’attuale patrono della città, raccontino di alcuni tentativi, di voler entrare nell'Ordine dei Domenicani senza mai riuscirci per poi aderire a quello degli Agostiniani che lo accolse immediatamente.

Nel XVIII secolo lo stemma della città subì delle variazioni con l’integrazione di alcuni personaggi soprattutto in ambito ecclesiastico. Presso la cappella dedicata al Beato Agostino Novello, sita all’interno della Maggior Chiesa, è possibile ammirare alcuni reliquiari in argento sbalzato in cui l'insegna araldica della città viene stravolta. Nei medaglioni che adornano le cornice superiori delle urne, la Vergine Maria prende il posto di San Calogero.

In uno di questi reliquari, il primo patrono della città, lo ritroviamo sulla destra in ginocchio, con molta probabilità, accanto al Beato Agostino Novello. Sulla sinistra la dea Cerere sorregge la cornucopia e mantiene la posizione originaria.
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