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Non sono cantucci ma "pipareddi": i biscotti (dello Stretto) contesi tra Sicilia e Calabria

A quanto pare, un tempo si era soliti prepararli secondo un metodo di cottura che prevedeva l’utilizzo di stufe a legna che sbuffavano come delle vere pipe

Livio Grasso
Archeologo
  • 24 settembre 2022

I piparelli (Foto della pasticceria "Ragusa" di Messina)

Solitamente, quando rivolgiamo il nostro pensiero alla pasticceria siciliana , riaffiora alla memoria una sterminata quantità di dolci dal sapore squisito e dall’estetica accattivante.

Tuttavia non sempre si tratta di specialità particolarmente elaborate, anzi,spesso e volentieri il repertorio dolciario della nostra isola sforna dei prodotti che, per quanto possano apparire poco invitanti, nascondono un sapore così gustoso da allietare il palato di ogni consumatore.

A riprova del fatto che, come si suol dire, la sostanza è ben altra cosa rispetto all’apparenza. Tanto per fare un esempio in linea con quanto appena premesso, non sarebbe fuori luogo citare i rinomatissimi piparelli. Sicuramente il loro nome non suonerà estraneo alle orecchie di molti e, probabilmente, neanche il gradevole gusto.

Caso diverso per la questione delle loro origini di cui, quasi certamente, non tutti ne conoscono le dinamiche. I più, a tal riguardo, dicono che furono i messinesi ad averli sfornati per la prima volta; ciò, infatti, spiega la ragione per la quale vengono normalmente definiti con l’appellativo di "biscotti dello Stretto".
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Ad ogni modo, per chi non lo sapesse, a battagliare per la paternità di queste delizie è anche la Calabria. Alcune fonti, addirittura, tramandano che i veri inventori furono gli arabi ai tempi della loro dominazione in Sicilia.

A vantaggio di una teoria simile sono proprio gli ingredienti adoperati fino ad oggi; in particolare le mandorle che, secondo le fonti in nostro possesso, vantano delle radici medio-orientali. In ogni caso, a prescindere da chi furono i primi ideatori o meno, questi “biscottini” sono una vera prelibatezza che vale la pena assaporare.

A quanto pare, un tempo si era soliti prepararli secondo un metodo di cottura che prevedeva l’utilizzo di stufe a legna. Queste ultime, almeno così si racconta, sbuffavano come delle vere pipe.

Ecco, dunque, da dove deriva l’attuale soprannome “piparelli" o, come sovente si pronuncia in siciliano, "pipareddi". Altro aspetto interessante è che per approntarli occorrevano circa due giorni.

Inoltre, dal momento che le temperature delle stufe erano bassissime, il tempo di cottura poteva essere più dilatato del solito.

Tanto per rimanere in tema di cottura, soffermiamoci su una delle modalità di preparazione più in voga.

Prima di tutto si versano in una ciotola 375 grammi di farina Manitoba e 125 g di farina 00. Dopo averle mescolate a dovere, al centro del contenuto si aggiungono i seguenti ingredienti: 150 gr di zucchero - 300 gr di mandorle tostate - 100 g di miele - 100 g di strutto - 90 gr di acqua - 9 g di bicarbonato - un pizzico di pepe nero - due scorze di arancia grattugiate.

Altri aromi imprenscindibili sono: una punta di cucchiaino di cannella in polvere - una punta di cucchiaino di chiodi di garofano macinati - un pizzico di sale - un cucchiaino di marsala. A questo punto non rimane altro che amalgamare fittamente l’impasto.

Fatto ciò, si procede modellando un filone lungo e stretto da adagiare su una leccarda coperta con della carta forno. A seguire si spennella con l’uovo sbattuto aromatizzato con la vanillina. Il prossimo passaggio consiste nell’introdurre l’impasto in forno preriscaldato a 170° e attendere circa quaranta minuti.

Raggiunta una doratura omogenea si sforna facendolo raffreddare per un’intera giornata. Il giorno successivo si prosegue col tagliarlo a fette spesse con il supporto di un coltello affilato.

Una volta eseguita quest’altra operazione, bisogna sistemare ordinatamente i piparelli su una leccarda. Dopodiché si inserisce ciascuno di essi in forno caldo a 120° per circa dieci minuti.

Trascorso il tempo necessario bisogna farli raffreddare dentro il forno stesso con lo sportellino socchiuso. In ultimo, quando diventeranno sufficientemente freddi, saranno belli e pronti per essere degustati.
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