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Palermo a luci rosse: quando un piano di Porta Nuova era l'alcova del viceré Colonna

Le incredibili vicende di uno dei simboli della città di Palermo, dal fulmine che la colpì ai quarantottini che volevano abbatterla. Invece è ancora lì in tutta la sua bellezza

  • 2 gennaio 2020

Porta Nuova, Palermo

Nei pressi dove oggi si erge Porta Nuova, alcuni secoli prima della sua costruzione si trovava la Porta Rota. A fianco del palazzo reale esisteva una porta denominata “del Palazzo”. Quest’ultima fu chiusa per aprirne un’altra nella parte occidentale della città che fu denominata Porta Nova.

Lo storico Amato scrisse che fu aperta nel 1420 per onorare l’ingresso a Palermo del re Alfonso. Il Re, però, approdò al porto di Palermo e fece l’ingresso in città da Porta del Molo che era ubicata nei pressi dell’attuale Porta Felice. Lo storico Fazello, asserì che nel 1460, fu costruita, tenendo in considerazione il rettilineo del Cassaro e al fine di rendere migliori le comunicazioni con il parco (Altofonte) e Monreale, la Porta dell’Aquila ma il popolo la denominò “Porta Nuova”.

L’opera fu realizzata dai maestri Giuseppe Giacalone e Giorgio di Faccio, era delimitata al primo ordine e strutturalmente molto semplice. Don Vincenzo Di Giovanni, scrisse che fu denominata Porta dell’Aquila perché nella parte superiore era esposto il blasone della città (l’aquila), ma i cittadini la denominarono “Nuova”. Questa Porta non aveva le fattezze di quella attuale.
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Nel 1535, l’imperatore Carlo V, dopo avere riportato diverse vittorie nel Regno di Tunisi, approdò a Trapani e dopo avere attraversato la Sicilia arrivò a Monreale. Da qui arrivò a Palermo ed entrò da Porta Nuova accolto dal popolo e dai nobili. Per commemorare questo avvenimento, nel 1538, il Senato palermitano decise di riedificarla con forme più eleganti e fu realizzata una bellissima sopraelevazione. I lavori terminarono l’anno successivo.

In questa circostanza, il Vicerè Marcantonio Colonna fece costruire il “secondo ordine di colonne” che usò come alcova per i suoi incontri d’amore. Decise di chiamarla “Porta Imperiale“ o “D’Austria”. Un motto scolpito e posto sopra un arco di Porta Nuova, riferendosi alla città, recitava: Undique felix (felice sotto ogni aspetto). La realizzazione di questa Porta completò una fantastica scenografia rettilinea con il Cassaro che conduceva direttamente al mare. Nel 1569, al fine di abbellire il Cassaro (Via Vittorio Emanuele), il Senato Palermitano decise di riedificarla in maniera più sontuosa.

Il 20 dicembre 1667, intorno alle ore 15, un nubifragio si abbattè sopra la città, un filmine cadde sopra questa Porta e colpì la stanza dove erano conservate centinaia di barili di polvere da sparo del limitrofo quartiere militare San Giacomo (oggi sede del Comando della Legione dei Carabinieri), fatto costruire nel 1624 dal vicerè Emanuele Filiberto di Savoia. La Porta fu distrutta, anche il Palazzo reale e le costruzioni limitrofe tremarono. Circa cinquanta persone che si trovavano all’interno della Porta e nei pressi morirono e tanti altri rimasero feriti.

Fu subito ricostruita sotto la direzione dell’architetto del Senato Gaspare Guercio, tenendo conto del suo precedente aspetto, con l’aggiunta della grande guglia maiolicata e dell’aquila civica (simbolo della città). Questa Porta fu costruita sullo stile degli archi trionfali romani: fregiata di statue colonne, baluardi, balconi e finestre. Aveva diversi ordini: il primo è l’apertura a volta, costruita con grosse pietre d’intaglio, pilastri, nicchie, cornicione e fregi di notevole valore artistico.

Il secondo ordine, cioè quello di mezzo, aveva una grande aquila con le ali spiegate e quattro nicchie. In ognuna di queste c’era una statua che rappresentava la Pace, la Giustizia, la Verità e l’Abbondanza. Nel lato esterno, furono collocate quattro figure gigantesche di Turchi (Talamoni): due sono con le mani avanti il petto, due con le mani tronche per ricordare la vittoria africana riportata da Carlo V nel 1535. Nel secondo ordine si aprivano due balconi, sul lato destro c’era il blasone di Marcantonio Colonna, cioè una colonna, nell’altro il blasone della città di Palermo, cioè un’aquila. Ogni lato era dotato di una loggia ornata di balaustre e di 5 porte per entrare nelle stanze che erano ornate con stucchi e dipinte con paesaggi campestri.

L’ultimo ordine aveva un balcone che girava tutt’intorno, ornato con un’inferriata e la cupola a forma di piramide coperta da ogni lato da mattoni. In ogni lato della cupola c'era un’aquila con le ali spiegate. In cima alla piramide c’era una camera circondata da un balcone che girava lungo i lati, capace di contenere fino a 20 persone. Da qui si poteva ammirare sia tutta la città, sia la campagna.
Sopra questa camera c’era un cupolino anch’esso ricoperto di mattoni, cui sovrastavano tre palle di rame sormontate da una bandiera di ferro sulla cui vetta c’era un’aquila e sopra essa una croce.

Nel 1848, il governo rivoluzionario decise di abbatterla ma fu salvata dal parere di una commissione composta da Carmelo La farina, dai Professori Carlo Giachery, Giambattista Castiglia, Andrea D’Antoni e Valerio Villareale. Intorno al 1970, Porta Nuova fu ripulita e restaurata. Purtroppo gli elementi marmorei asportati non furono ricollocati nelle posizioni originarie.

La Porta Nuova, dal calpestio sino alla cima è alta 190 palmi. Il vano della Porta è largo 19 palmi e alto 38 palmi. Sul fianco destro di questa Porta, un corridoio scoperto e ornato da una balaustra conduceva nel Palazzo reale e sul fianco sinistro un altro conduceva nel quartiere dei soldati (Oggi Comando della Legione dei Carabinieri).

Una curiosità: nella parte superiore della Porta Nuova, in autunno sostavano alcuni suonatori di piffero che allietavano il passeggio delle persone, in particolare nel giorno di San Marco, quando i palermitani si recavano a Monreale per la solennità della Congregazione della Cattedrale. La Porta Nuova è ancora visibile. Nonostante i problemi recenti si erge maestosa e superba.
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