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Per i greci un tempo era il fiume "Selinus": scorre in Sicilia tra dune e 14 antichi mulini

Un corso d’acqua storico che nasce dalla contrada Tre Serroni. Ad ovest della foce si estende un cordone litoraneo di dune sabbiose ormai ricoperte da vegetazione

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 8 febbraio 2023

Il fiume Modione in Sicilia

Belice, Delia e Modione sono i nomi dei tre fiumi che caratterizzano il territorio castelvetranese. Tre corsi che rappresentano gli aspetti socio-economici della comunità e, nello specifico il fiume Modione è stato importante sin dalla fondazione dell’antica Selinunte.

Un corso d’acqua che nasce dalla contrada Tre Serroni nelle zone di Santa Ninfa. La lunghezza è di circa 27 km e ricade anche nell’abitato di Partanna prima di raggiungere Castelvetrano e sfociare nel Mar Mediterraneo. È un fiume torrentizio e non ha un corso regolare.

Infatti muta ogni anno in occasione degli eventi di piena. L’ importanza rivestita dal Modione è riconducibile quindi sin dalla nascita della colonia megarese.

Gli antichi Greci lo chiamarono Selinus o Selino e lungo le sue sponde cresceva abbondante il sedano selvaggio. La veridicità dei fatti è riscontrabile nel simbolo ritratto in alcune monete greche ritrovate. I terreni attorno al fiume (vicino alle sponde) sono formati da un vasto lembo tabulare di breccia conchigliare pliocenica.
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Nei tagli più profondi affiorano delle quantità argillose di tipo pliocenica. In alcuni casi, dopo accurati studi approfonditi, sono stati rinvenuti dei tufi calcarei che costituiscono la massima parte dell’intero territorio castelvetranese. Una caratteristica che accomuna i tre fiumi è la presenza di ciottoli, banchi di limo e sabbiosi.

Nel caso del Modione, ad ovest della foce, si estende un cordone litoraneo di dune sabbiose ormai ricoperte da vegetazione. Queste impediscono il regolare flusso delle acque che ristagnano nelle zone della foce stessa. L’arginatura dell’ultimo tratto del fiume ha migliorato (di poco) la situazione, ma non ha completamente eliminato il problema delle paludi (oltre al danno creato dall’uomo inquinando le acque).

Raggiungere la parte finale è molto semplice. È possibile dalla collinetta dell’Acropoli dove si assiste all’incontro con il mare (vista dall’alto) e dal tratto di spiaggia per chi proviene da Triscina.

Un confine ben delimitato. Ad ovest ed est del corso si trovano alcune necropoli. Tra queste, quelle di “Manicalunga”, “Buffa” e “Manuzza” in contrada Galera-Bagliazzo (luogo dove fu trovato l’Efebo).

Nei secoli scorsi il fiume è stato utilizzato come forza motrice grazie a dei canali. La presenza di ruscelli o valloni hanno aumentato la capacità.

Alcuni erano di origine alluvionale e altri, come ad esempio il San Martino e Sette Furie che scorrevano tutto l’anno.

Per diverso tempo la quantità di acqua è stata divisa per irrigare i campi e parte, destinati al funzionamento dei mulini. Nello specifico ben 14: Scaglio, Terzi, Guirbi, San Giovanni, Mezzo e Garofalo (del XV secolo), Messerandrea, San Nicola, Mulinello, Paratore, Mangogna, Errante, La Rocca e Garibaldi.

Oggi sono tutti inattivi e nella maggior parte dei casi distrutti o adibiti ad altre funzioni. Per gli appassionati di ricerche e trekking è possibile visitare alcuni tratti del fiume.

Ad esempio il passaggio ferroviario (ponte omonimo) che collegava la città di Castelvetrano con Partanna per proseguire verso altre destinazioni.

Una zona scolpita da un paio di grotte presenti. Proseguendo lungo i binari si apre uno scenario ambientale fatto di suoni e rumori. La folta vegetazione rappresenta l’habitat naturale per alcune specie di anfibi.

Anche il panorama non esula dalla bellezza e anzi, forte di alcuni costoni rocciosi, rende il panorama molto interessante dove vengono colte delle sfumature ricche di particolari.

Come descritto in precedenza con i fiumi Belice e Delia, seppur con caratteristiche diverse, tutti possono rientrare in un progetto turistico che metta in risalto le caratteristiche singolari.
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