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Predicava il cesareo per salvare "le anime": il prete (medico) nella Sicilia del Settecento

Studente geniale a 15 anni si laureò a Catania. Nel 1724 venne ordinato sacerdote. Il suo "Embriologia Sacra" ha avuto un peso decisivo sulle donne e i loro bimbi

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 11 dicembre 2023

Francesco Cangiamila con i suoi scritti influenzò sia la medicina, incrementando la pratica del taglio cesareo, che il vicerè, favorendo la nascita della deputazione dei projetti con sede a Palermo.

Non è un nome che ricorre spesso quello di Francesco Emanuele Cangiamila, sacerdote, nato a Palermo nel 1702. Eppure il suo volume "Embriologia Sacra" ha avuto un peso decisivo, non solo su medici e studiosi, ma anche su tantissime donne e sui loro bambini.

Cangiamila, studente precoce e geniale a 15 anni si laureò a Catania in diritto civile e canonico e cominciò ad esercitare l’avvocatura a Palermo. Nel 1724 venne ordinato sacerdote e nel 1728 conseguì la laurea in teologia.

Fu predicatore, avvocato fiscale presso la Curia palermitana e prolifico scrittore. Fu anche arciprete per 12 anni a Palma di Montechiaro; poi nel 1742, a 40 anni tornò a Palermo, per dirigere il seminario.

L’esperienza pastorale a Palma di Montechiaro, a contatto con la miseria e la povertà, aveva spinto il sacerdote a istituire nel piccolo centro un ricovero per le orfane e uno per le "repentite" (donne che volevano redimersi dal meretricio).
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Risaliva a quel periodo anche il suo interesse per gli studi medici: si era adoperato affinché anche i più poveri avessero accesso alle cure mediche e si era interessato di ostetricia e di tagli cesarei, che egli, con l'autorizzazione del vescovo aveva fatto praticare su alcune donne gravide, dopo il decesso, conseguendo, a suo dire, risultati positivi.

Cangiamila divenne un vero e proprio sostenitore del taglio cesareo, per salvare le anime di feti e nascituri. Nel campo della medicina, la storia del taglio cesareo è una pratica relativamente recente, nella Grecia antica non se ne ha traccia.

"Cesareo" deriverebbe - secondo una falsa etimologia - da Giulio Cesare, estratto vivo dal corpo della madre morta di parto: ma si tratta di una leggenda, essendo la madre di Cesare spirata per morte naturale, mentre lui era impegnato nella guerra di Gallia, come riferisce Svetonio.

Per parlare di una vera pratica del cesareo bisogna aspettare il Medioevo cristiano: il taglio veniva praticato d’urgenza, solo dopo il decesso della madre, nell’estremo tentativo di salvare il bambino e soprattutto di salvarne l’anima corrotta dal peccato originale, col battesimo.

I Padri della Chiesa infatti condannavano alla morte spirituale eterna i bambini nati morti o rimasti rinchiusi nell'utero materno, in caso di morte della madre. I “non-nati” non ricevevano neppure sepoltura in terra consacrata.

Il primo taglio cesareo venne eseguito a Bologna alla fine del XIII secolo, ma l'operazione restava comunque una pratica molto criticata, estremamente rara (se non eccezionale) e la sopravvivenza del bambino poi era considerata un vero e proprio miracolo (e perché il battesimo fosse valido il neonato doveva esser vivente).

Questa prospettiva mutò nel secondo Settecento, quando a seguito degli studi sugli embrioni del medico torinese Gian Battista Bianchi, nel 1745, Francesco Emanuele Cangiamila pubblicò: "Embriologia sacra ovvero dell'ufizio dei sacerdoti, medici e superiori circa l'eterna salute de' bambini racchiusi nell'utero", opera teologica e filosofica di grande spessore, una riflessione bioetica suddivisa in quattro libri.

Cangiamila affermava che bisognava identificare l’inizio della vita del bambino non con il semplice venire alla luce, ma col concepimento nel grembo materno: dunque la soppressione del feto equivaleva alla soppressione dell’individuo, in poche parole era un omicidio.

L’arciprete analizzava le cause di morte dei nascituri (distinguendo l'aborto volontario e involontario, la morte della madre e gli incidenti durante i parti), e individuava nella pratica del taglio cesareo post mortem il metodo più adatto per assicurare la salvezza eterna a tutti i feti e, in quello su donna viva, una grande opportunità di salvezza per madre e figlio.

Al Cangiamila, però, non sfuggiva che veniva generalmente considerata un'azione crudele e irrispettosa "l'incidere una morta", per questo motivo illustrava nel suo libro tutta una serie di casi in cui il feto era stato rinvenuto vivo dopo il paro cesareo ed era stato possibile battezzarlo.

Narrava ad esempio che "li 5 Ottobre del 1736 essendo morta una assai povera contadina della mia Parochia di Palma la Mammana [...] e D. Luciano Taibi eccellente Chirurgo, per molti anni addottrinato, nello Spedale di S.Spirito in Roma, attestavano, che la Creaturina era morta da due giorni: ma io volli in ogni conto, che la Madre s'incidesse, e la Bambina trovossi viva, finchè la battezzai [...]. Ella morì poi un quarto dopo, ed io feci, che si seppellisse con gran pompa".

Quanto alla questione più spinosa, quella della scelta tra la vita della madre e del figlio, Cangiamila rovesciava la prospettiva, sia della deontologia medica che dell’orientamento della Chiesa, che si erano fino a quel momento orientate verso una serie di interventi che andavano a sacrificare la vita del feto, piuttosto che quella della madre, propendendo a favore della vita del feto.

Una schiera sempre più numerosa di autorevoli teologi sosterranno nel corso del Sette-ottocento il dovere della madre di sacrificare la propria vita materiale a quella spirituale del feto, ben più rilevante.

Da questo momento la Chiesa assumerà la difesa della vita fetale come centro della propria azione pastorale, con un cambiamento di rotta profondo rispetto alla tradizione.

Cangiamila suggeriva ai parroci di considerare l'opposizione di mariti e di congiunti al taglio cesareo post mortem peccato mortale, equiparato all'omicidio e di rivolgersi alle autorità civili, per obbligare lo svolgersi dell'intervento.

Il libro “'Embriologia sacra”, ottenne un successo straordinario, venne approvata dalle autorità ecclesiastiche, fra cui l'inquisitore generale di Sicilia e da una parte del mondo laico e scientifico, venne inoltre tradotta in più lingue.

In questo contesto, la presenza di un'apposita legge dello Stato, che appariva al canonico indispensabile, trovò attuazione nella Prammatica De Usu Partus cæsarei promulgata nel 1749, da Carlo III, Re delle Due Sicilie e futuro Re di Spagna.

Ispirata dal lavoro del Cangiamila, la prammatica borbonica (prima normativa del genere in Europa) non era una "semplice legge" regolante il parto cesareo, bensì una normativa diretta ad impedire la perdita dei feti. Il taglio cesareo post mortem veniva reso obbligatorio su ogni donna "di qualsiasi grado e condizione" ed a qualsiasi epoca della gravidanza e l'aborto veniva tassativamente vietato, a qualunque gravida.

Si diffuse in tutta Europa una campagna che accettò come legittima l’operazione del taglio cesareo sulle donne defunte e l’amministrazione del battesimo al piccolo.

Nel 1751, veniva istituita anche la "Deputazione dei Proietti" a cui, sotto la direzione del Cangiamila, veniva affidato il controllo sugli esposti (trovatelli) e sulla pratica del taglio cesareo; i parroci erano obbligati a compilare un resoconto periodico sui cesarei praticati, sugli aborti, sulle gravidanze illegittime Si legge nei Diari della città di Palermo (1874): "11 gennaio 1751: Per providenza del vicerè duca Eustachio de Laviefuille fu eretta in Palermo una particolare deputazione per accogliere e curar la vita alli poveri bambini, che si trovano gettati nelle strade.

A questa fu data la cura di vegliare sulla conservazione di dette bambini, non solo per la città di Palermo, ma anche per tutto il regno. Tiene quindi il nome di deputazione dei projetti, ossia de’ figli d’ignoti genitori (…) E quei salutari ordinamenti non furon ch’effetti della celebre opera Embriologia Sacra, di Francesco Emanuele Cangiamila".

Dunque il vicerè, influenzato dall’opera di Cangiamila, emanò una normativa che promuoveva l’istituzione della Deputazione de ‘ Bambini Projetti (l’istituto dei trovatelli): tale direttiva obbligava tutte le città del Regno a costituire deputazioni locali dei projetti, attivando, ove non vi fosse già, una ruota pubblica, per accogliere gli infanti che si volevano abbandonare.

La Deputazione vigilava sull’esecuzione delle leggi a favore dei bambini esposti e di quelli "non ancora nati". La deputazione era composta da un ecclesiastico e quattro nobili.

La prima Deputazione venne costituita da Cangiamila, in qualità di ecclesiatico, incaricato di vigilare sul rispetto delle norme emanate sui projetti, dai Principi di Carini e Belmonte, dal Balio Gaetano Bonnano e da don Alessandro Vanni, in qualità di nobili e dal segretario sacerdote Nicolò Filippone.

L’azione congiunta di Stato e Chiesa avrebbe dovuto ridurre i casi di aborto, infanticidio ed esposizione ancora molto frequenti. Francesco Emanuele Cangiamila venne nominato, nel 1753, Inquisitore generale del Regno e Arcivescovo di Monreale.

La sua attività proseguì instancabilmente fino alla morte che, lo colse all'età di 61 anni, il 7 gennaio del 1763. Tra la fine del Settecento e il primo ottocento la pratica del cesareo sulla donna in vita comincerà ad essere sperimentata negli ospedali come nel territorio, sia da affermati ostetrici che da semplici medici di campagna, con una mortalità superiore in alcuni casi anche al 90%! Soltanto nel 1876, con la «tecnica di Porro», il taglio cesareo sarebbe entrato nel repertorio chirurgico europeo, non più come una condanna a morte, bensì come intervento quasi di routine.

(Il professor Edoardo Porro, primario ostetrico dell’Ospedale San Matteo di Pavia, aveva praticato in sicurezza il taglio cesareo su una giovane donna di nome Giulia Cavallini, affetta da rachitismo, col canale del parto quasi completamente ostruito, per via della deformazione delle ossa).

In merito al battesimo dei bimbi nati morti, ricordiamo che nel 2007 Papa Benedetto XVI ha autorizzato la pubblicazione del documento “La speranza di salvezza dei bambini che muoiono senza essere battezzati”: vi si afferma che il Limbo non esiste e che Dio vuole che tutti gli esseri umani siano salvati.
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