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Ricamavano e facevano le "sciarre": a Palermo c'erano le Kalsitane (combattenti)

I loro eleganti ricami erano commissionati dalle nobildonne palermitane. Ma le donne della Kalsa di Palermo furono protagoniste anche di vere e proprie "sciarre"

  • 12 novembre 2021

"Le ricamatrici di Palermo" - Cartolina d'epoca (Viaggiata 1907)

Dalle antiche mura della città di Palermo, attraverso porta dei Greci, si entra nel cuore di uno dei quartieri più antichi e ricchi di storia.

Oggi lo conosciamo come Mandamento Tribunali, ma il suo nome originario ha una derivazione antica che risale alla dominazione araba. Stiamo parlando della Kalsa, in arabo al-Khālisa, che significa "la pura" o "l’eletta".

Un luogo dalle mille sfaccettature, polo di difesa del capoluogo siciliano, ma anche dimora di quelle che erano le più acclamate ricamatrici della nobiltà: le Kalsitane.

Le donne della Kalsa, come ricorda la scrittrice Claudia Fucarino nel suo libro La Palermo delle donne, erano molto conosciute in città per i loro eleganti ricami che venivano commissionati dalle nobildonne palermitane. Impreziosivano i tessuti con disegni accurati e forme sofisticate che rendevano gli abiti unici nel loro stile.

Quest’arte tradizionale del ricamare, tramandata da madre in figlia, veniva svolta proprio tra i vicoli del quartiere, dove tutte insieme si riunivano lasciandosi trasportare da canti tradizionali che le accompagnavano durante il loro lavoro.
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Era proprio grazie al loro talento che riuscivano a supportare economicamente la famiglia, aiutando anche i loro mariti pescatori nella loro attività cucendo le reti. Essere il pilastro portante del nido familiare è una caratteristica che suggerisce parte del loro carattere. Non erano di certo delle donne che si perdevano d’animo.

Erano combattive, determinate e portavano avanti le loro idee contro tutto e tutti.

Di fondamentale importanza è, infatti, l’episodio che riguarda la tassa sulle finestre, attuata a Palermo nel 1770. Un avvenimento che scatenò la loro ira nei confronti del pretore Duca di Cannizzaro che, di certo, non fu accolto calorosamente dalle Kalsitane.

Anzi, lo aspettarono schierandosi sulle Mura delle Cattive e, al suo arrivo, lo costrinsero a tornare indietro per le loro indescrivibili urla. Quello, però, non fu l’unico momento in cui le Kalsitane diedero libero sfogo al loro modo di essere.

Molti anni dopo, nel 1860, durante le sommosse antiborboniche, Gaspare Bivona e Filippo Patti, capi della rivolta, cercarono di fuggire dai Borboni.

Proprio per questo motivo, si rifugiarono per cinque giorni nella cripta della chiesa del quartiere, conosciuta come "Gancia" o "Santa Maria degli Angeli", dove scavarono una buca sul muro per poter scappare. Finalmente, un gruppo di Kalsitane passò proprio da lì accorgendosi della presenza dei due uomini.

Così diedero il via ad una colorita sceneggiata, una sciarra, che attirò l’attenzione dei Borboni e permise ad una donna del gruppo di liberarli. Da quel momento, la buca prese il nome di "buca della salvezza".

La loro tempra sicuramente entra in contrasto con il gusto raffinato dei ricami, ma è proprio ciò che ha reso uniche queste bellissime donne dagli occhi e i capelli neri e che ha permesso loro di lasciare il segno nella storia di Palermo.
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