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Salviamo dal deterioramento i ponti di Palermo: lo dobbiamo alle vittime di Genova

Qualcuno deve prendersi le sue responsabilità, e dirci che i ponti Oreto e Corleone sono sicuri, oppure analizzare le due infrastrutture e approntare progetti di consolidamento

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 21 agosto 2018

Ponte Corleone in costruzione

Sono giorni davvero tragici questi. I fatti di Genova ci mettono tutti sotto la lente di ingrandimento dell’agire individuale e collettivo, perché un patto si è rotto, quello cioè tra la sicurezza infrastrutturale e la percezione dei cittadini che queste infrastrutture le percorrono quotidianamente.

Ma c’è qualcosa che va oltre la responsabilità che dovrà essere accertata sulla strage del Polcevera, qualcosa che incide la carne stessa delle istituzioni e parlo della acquisizione culturale che prende il nome di “manutenzione” oggettiva, puntuale ma soprattutto pianificata.

Ha ragione l’architetto Francesco Marzullo, già collaboratore di Riccardo Morandi, quando spiega che i ponti sono macchine, macchine che hanno bisogno di attenzione, di manutenzione, di rispetto sento di aggiungere.

Come non essere d’accordo con disamina televisiva del professore Michele Brigante, presidente dell’ordine degli Ingegneri di Salerno e docente presso la Federico II di Napoli, quando con la semplicità tipica dei maestri ci spiega che ponti e viadotti sono strutture facili da studiare e preservare perché sono strutture “nude” poiché quasi sempre la pelle della struttura resistente coincide con la struttura stessa e questo dato ci aiuta per tempo nell’osservare le vulnerabilità evidenti.
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All’indomani della tragedia genovese poi come non ricordare le dure parole lanciate dalle pagine del gds da un altro grande strutturista, il professore Mario Di Paola, docente di scienza delle costruzioni presso l’ateneo palermitano che rispetto ai due ponti sul fiume Oreto, l’omonimo Oreto appunto e il Corleone, si spinge a dichiarare lo stato attuale degli stessi come “disastroso” suggerendo che entrambi avrebbero bisogno di un massiccio consolidamento.

C’è poi una immagine fotografica che non riesce ad abbandonare la mia retina ed è quella di un Ponte Corleone ancora in costruzione nel lontano 1959, in cui risulta intuitivo il suo funzionamento e la sua natura statica che affida in ragione di due ponti gemelli separati da una breve intercapedine e per l’intero sviluppo lineare dei due sensi di marcia della lunghezza di circa 140 metri, agli archi in cemento armato da cui spiccano selve di pilastri su cui vengono impostate le travi Gerber su cui si sviluppa la sezione della carreggiata, il compito di sostenere il peso proprio ed il peso dei mezzi, oltre che le spinte dinamiche provenienti tanto dai movimenti dei flussi veicolari cangianti nel tempo, tanto le eventuali spinte anomale di un sisma imprecisato nel tempo.

Tutto ciò risponde ad esigenze normative di quei lontani anni 60 e ai rispettivi calcoli. Ma purtroppo in questi circa sei decenni di esercizio di questa “macchina” di cemento armato, appare evidente dalle immagini che tutti abbiamo potuto osservare, dai ferri a vista ovviamente arruginiti, dagli ammaloramenti del calcestruzzo e dalle relative lacune, che la manutenzione ordinaria e ancor più quella straordinaria, non abbia avuto il dovuto spazio, la dovuta pianificazione da parte delle diverse amministrazioni susseguitesi, non sia stata una priorità della politica tutta e non resti questo un semplice parere tecnico ma un dato di fatto oggettivo perché non è affatto condivisibile che la struttura nuda di un ponte così trafficato resti visibile per decenni senza interventi di consolidamento capaci di bloccare e rallentare i fenomeni di degrado strutturale sotto l’azione degli agenti atmosferici.

Cosa fare adesso?
Semplice, la prima necessità dopo aver verificato che gli attuali flussi veicolari siano compatibili con le attuali condizioni della statica dei due ponti, è una diagnostica puntuale, complessiva ed esaustiva delle problematiche esistenti nelle due strutture.

A seguire serviranno progetti di consolidamento e restauro delle strutture da eseguire magari sotto la direzione scientifica dell’ateneo palermitano che già nel 2002 metteva la città a conoscenza della precaria condizione del Corleone attraverso una perizia stilata dal dipartimento di ingegneria strutturale e geotecnica a firma del Professore Marcello Arici e Luigi Palizzolo i quali suggerirono tra le diverse prescrizioni da mettere in campo una delle poche eseguite e cioè la riduzione del limite di velocità e dei carichi pesanti.

A questo punto mi preme sottoporre due considerazioni, la prima riguarda il fatto che tale operazione di messa in sicurezza e conservazione di una necessaria infrastruttura strategica urbana ( il ponte Corleone dal piano di protezione civile del comune di Palermo rappresenta via di esodo in caso di calamità naturali) equivale a creare lavoro e soprattutto lavoro locale. La seconda riguarda la tempestività di tale operazione rispetto al tempo già trascorso finora.

Dobbiamo rendercene conto, ed esigere che la politica smetta con anacronistici alibi, poiché la messa in sicurezza del territorio, delle sue infrastrutture e del paesaggio deve diventare una acquisizione culturale metabolizzata da cui non poter più far marcia indietro. Lo dobbiamo alle 43 vittime innocenti del Polcevera, lo dobbiamo alla storia del nostro paese e lo dobbiamo ai nostri affetti più cari, perché sia chiaro a tutti che da quei ponti ci passiamo proprio tutti, noi e i nostri cari, ci passano le ambulanze, ci passano non solo i palermitani ma i siciliani in transito ed i turisti della capitale della cultura.

Non spetta a me giudicare se sia necessario infine, progettare in adiacenza dei due ponti altri ponti ma faccio mia la considerazione romantica della professoressa Tullia Iori tra i massimi esperti di Storia della Tecnica e della tecnologia costruttiva affinchè non sia apra una stagione di facili demolizioni ma altresì di consolidamenti laddove possibile, dei ponti dei grandi maestri come Nervi, Morandi, Musmeci, Franciosi e questo non solo perché sia sostenibile farlo, ma più giusto in termini di rispetto dovuto alla storia attraverso tutte quelle strutture costruite dall’uomo e divenute a tutto diritto vere e proprie icone urbane di tempi eroici che possono tornare in scena ancora oggi.

Anche l’Oreto ed il Corleone sono icone urbane e dobbiamo esigerne rispetto e cura. Sia la politica tutta, all’altezza delle preoccupazioni di tutti i cittadini, divenute oggi naturalmente pressanti. Auspico che non resti inascoltato l’appello dei tecnici e se viceversa l’amministrazione ritiene che la percezione di cittadini e tecnici unitamente alle prescrizioni di docenti ed esperti in materia di strutture, siano esagerate, sancisca con un documento ufficiale e firmato che non esiste alcun pericolo.

Qualcuno stavolta deve prendersi la responsabilità di dichiarare che tutto va bene così, oppure analizzare come suggerito, le due infrastrutture, approntare progetti di consolidamento scientifici e darci termini e tempi di realizzazione dei rispettivi cantieri.
Salviamo dall’incuria e dal deterioramento il Corleone e l’Oreto e avremmo scritto insieme una preziosa pagina di partecipazione civile e soprattutto culturale.
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