Se il ddl all'Ars sul siciliano diventasse legge: dalla scuola ai Comuni, cosa cambierebbe
Al di là della sua effettiva conversione in legge, sta comunque servendo un po’ da termometro della situazione attuale. I dettagli e che cosa succederebbe

Se la proposta dovesse essere approvata dal Parlamento siciliano, dovrà essere poi votata dai due rami del Parlamento italiano.
Ma quali sono tali benefici? Il primo beneficio dell’estensione alla lingua siciliana di tale legge riguarderebbe il suo status giuridico-politico: soltanto gli idiomi inseriti nella legge 482 - che, ricordiamo, sono tutte lingue di provenienza ‘straniera’, con l’eccezione di sardo, friulano e ladino - sono riconosciuti dallo Stato italiano come "lingue".
Questo riconoscimento, inaspettatamente, ha degli effetti - di fatto - anche nella terminologia usata dal mondo accademico italiano che, in dissonanza con quanto accade nel resto del mondo, chiama "dialetti" le lingue regionali e minoritarie non incluse nella legge 482, pur non essendo dialetti della lingua italiana. Altri benefici, più concreti, derivano dall’estensione alla lingua siciliana di alcuni importanti articoli della legge 482.
Ci riferiamo in particolare a quelli che consentono nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento e l’istituzione di corsi universitari di lingua e cultura delle lingue tutelate.
Inoltre, verrebbe estesa alla lingua siciliana la possibilità di essere usata all’interno dei consigli comunali tanto negli interventi orali quanto in quelli scritti.
Un altro capitolo importante è quello della toponomastica: i Comuni che lo volessero, potrebbero installare cartelli bilingue. Sul piano della comunicazione, sarebbe possibile l’emissione di programmi in lingua siciliana nei canali radio-televisivi pubblici mentre per l’editoria privata la Regione potrebbe stanziare finanziamenti speciali per quelle testate che pubblicassero articoli o servizi anche in siciliano.
Tutte norme già in vigore, almeno in parte, nelle altre quattro Regioni autonome d’Italia. La Sicilia rimane l’unica tra esse a non vedere riconosciuto il proprio idioma che la caratterizza, nonostante le sia stato riconosciuto uno status, almeno sulla carta, di amplissima autonomia in virtù della sua peculiare identità culturale e storica, oltre che geografica.
Questo disegno di legge-voto ha un contenuto e conseguenze certamente condivisibili. Renderebbe attuabili molte di quelle misure che la pianificazione linguistica – una scienza che in Italia è poco conosciuta e ancor meno usata – prevede per rivitalizzare quelle lingue che hanno iniziato un cammino verso l’estinzione; e il siciliano è, purtroppo, divenuto una di esse, essendo stato classificato dall’UNESCO, nell’ultima edizione del suo Atlante delle lingue del mondo in pericolo, come "lingua vulnerabile".
Abbiamo dei dubbi, invece, sui tempi scelti per la presentazione di un disegno di legge di tale portata. Più di un secolo e mezzo di ghettizzazione in Italia delle lingue minoritarie – chiamate ‘dialetti’ - ha creato, persino negli stessi parlanti, numerosi pregiudizi su di esse.
È vero che da anni è iniziato in Sicilia un processo – certamente irreversibile – di scrostamento di tali pregiudizi; ma siamo convinti che il processo attualmente sia ancora in corso e che, forse, sarebbe stato meglio aspettare ancora qualche anno per fare un passo del genere.
Che i tempi non siano ancora pienamente maturi ce lo conferma anche il dibattito a più voci, contrastanti, che si è scatenato dopo la presentazione del ddl in questione.
Sarebbe stato auspicabile che tutti i settori della società e della cultura siciliane avessero accolto con favore una proposta simile. Accanto ai pregiudizi, oramai in regressione, di una sacca di cittadini divenuta minoritaria, c’è anche un rifiuto di tipo ideologico che coinvolge parte della classe dirigente che teme che il riscoprire e valorizzare la propria specifica identità, di cui la lingua è parte importante, possa portare a una deriva secessionista, quando, invece, è vero l’esatto contrario: chi in maniera sincera – come la maggior parte dei siciliani – vorrebbe vedere valorizzata la propria lingua materna, notando l’ostilità del sistema politico-culturale italiano, potrebbe maturare sentimenti anti-italiani.
Visto l’iter legislativo che lo attende, è obiettivamente difficile che questo disegno di legge- voto finisca per essere approvato; risulta particolarmente difficile lo scoglio del voto conclusivo di Camera e Senato.
Al di là della sua effettiva conversione in legge, sta comunque servendo un po’ da termometro della situazione attuale e pure da cartina al tornasole in merito alla reale posizione di alcuni ambienti sull’effettiva volontà di voler invertire il percorso verso l’estinzione che ha intrapreso la lingua siciliana.
Rifiutare le misure che il ddl vuole introdurre significa, di fatto e al di là della buona fede, compiere un atto politico che produrrà come effetto a medio-lungo termine quello dell’estinzione della lingua siciliana che perde ogni anno un cospicuo numero di parlanti. Infatti, nessuna lingua al mondo che sia entrata nella categoria "vulnerabile" è riuscita ad invertire il percorso senza interventi di tipo politico come quelli che prevede il ddl in questione.
Ove, invece, il disegno di legge-voto dovesse essere approvato anche dal Parlamento italiano ed entrasse in vigore, sarebbe necessario, come previsto dallo stesso ddl, costituire una commissione – che nel testo del ddl viene chiamata “Accademia della lingua siciliana” – deputata a standardizzare la lingua siciliana.
Il mondo accademico siciliano si è recentemente dichiarato contrario ad ogni ipotesi di standardizzazione - dimostrando peraltro coerenza con quanto espresso nel passato – chiamandosi, di fatto, fuori da compiti del genere.
Chiaramente, dunque, la politica non potrà affidare il compito di standardizzare la lingua siciliana a chi non crede in tale operazione.
Ciò non rappresenterebbe, comunque, un grosso problema perché esistono docenti che la lingua siciliana la insegnano già adesso in Università fuori dall’Italia e questo lavoro di standardizzazione, peraltro facilitato dal fatto che esiste una letteratura in lingua siciliana abbastanza omogenea, l’hanno in gran parte già fatto e con successo.
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