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Si sparò alla nuca pur di non farsi catturare: la (vera) storia del "Fra diavolo" siciliano

I personaggi erano probabilmente due, uno di loro era legato alla Sicilia. Le leggendarie gesta del famoso brigante sono diventate letteratura, musica e film

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 24 novembre 2022

L'opera lirica "Fra' Diavolo" di Auber e Scribe in una edizione parigina del 2009 (Foto dal blog di Salvatore Lo Leggio)

Cosa c’entra Fra Diavolo con la Sicilia, questo leggendario bandito, nato a Itri (basso Lazio) morto a Napoli, giustiziato dall’esercito Napoleonico agli inizi dell’800? Personaggio leggendario fedelissimo della causa Borbone, spietato contro chiunque appoggiasse, o non reagisse, alle truppe francesi d’occupazione.

Qualcosa c’è che lo lega alla Isola, ed è molto di più di quello che potremmo supporre. Cominciamo a dire che i “Fra Diavolo” erano probabilmente due. Il primo, il più conosciuto, era Michele Arcangelo Pezza nato nel 1771 che abbracciò la causa Borbonica creando una propria milizia composta da ex galeotti.

Le sue leggendarie e rocambolesche gesta sono diventate letteratura, musica e film. Il più particolare quello del 1933 con Stanlio e Olio, che in un’Italia fatta di selve, sfidavano in maniera buffa e tenera il terribile bandito, con un crescendo di situazioni comiche.

“Quell’uom dal fiero aspetto, con un fiocco rosso sul cappello” alla cui vista, si tremava, era il prototipo romantico del "brigante –patriota": feroce e sanguinario con gli uomini, dongiovanni con il gentil sesso che per lui sospirava.
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Questo personaggio, dopo aver combattuto nelle diverse campagne napoleoniche, durante le quali ricevette appoggi onorificenze e titoli, compresa una spilla di Diamanti donata dalla Sovrana Maria Carolina, fu catturato a Baronissi, portato a Napoli, processato e condannato nel 1806 all’impiccagione.

Questa la vicenda del più famoso Fra Diavolo, ma non è il solo, il Comune Villafrati qualche tempo ne ha raccontato le gesta in un suo articolo. Tutto inizia con una corrispondenza di Dumas padre inviata a Parigi. In questa lettera racconta che una sera discutendo con il Conte Tasca, nel baglio della Residenza del Marchese di San Marco, vicino a un boschetto di olivi, gli fu raccontato che quelli erano i luoghi dove si svolsero le gesta di Fra Diavolo.

Dumas padre pensò probabilmente che si trattasse del famoso brigante, perché scrisse che fu contento di conoscere un testimone oculare delle imprese del mitico protagonista della famosa opera di Auber. L’uomo raccontò a Dumas che il Fra Diavolo siciliano era Antonio Borzetta, nato a Carini tra la fine del 1700 e inizi '800. Questi a causa d’intemperanze giovanili "si diede alla montagna, facendosi bandito".

La sua banda composta da 6 persone, razziava e assaltava ricchi viaggiatori e mercanti. Si racconta che fosse magnanimo con la sua gente e spietato con i ricchi. La sua ultima impresa si svolse proprio sulle montagne vicino ai possedimenti del Marchese dove era ospite Dumas.

Il Bandito fu tradito dal compare Granata, che fuggito dal carcere era entrato a far parte della banda. Il testimone racconta che fu organizzato un assalto ai ricchi mercanti della Fiera di Castrogiovanni. Studiato il piano, prima di arrivare sul luogo stabilito, Granata chiese di assentarsi 12 ore per andare a trovare la moglie.

Arrivati sulle montagne, trascorso il tempo, il compare però non tornò. Insospettito il Capo Banda inviò uno dei suoi uomini in paese per controllare la situazione. Questi una volta sceso, si accorse che stavano convergendo due squadre della gendarmeria guidate dal Capitano Orlando e da due Sottotenenti provenienti da Palermo.

Velocemente tornato sulla montagna, per portare la notizia, fu intercettato da una pattuglia. Interrogato su cosa stesse facendo, rispose che stava cercando erbe officinali per speziali e farmacisti. Mentre i gendarmi stavano valutando le parole dell’uomo, questi approfittò di un momento di distrazione per fuggire lesto tra le forre. Il tradimento del compare Granata era ormai chiaro.

Raggiunti dai gendarmi, la banda fu presto accerchiata. Fra Diavolo dopo aver cercato d resistere, vedendo che non c’era alcuna possibilità di fuga, scelse di spararsi alla nuca pur di non cadere vivo nelle mani degli "Sbirri". Con la morte del capo Il resto della banda fu ucciso o catturato. Dumas scrive, sulla base del racconto del testimone, che come monito, fu amputata la testa del bandito, immersa nell’aceto caldo e poi rinchiusa in una gabbia ed esposta a Carini.

Qui finisce la storia del Bandito Siciliano Fra Diavolo. Non sappiamo quanto sia stato romanzato questo racconto, lo stesso Dumas figlio, scrittore, riporterà il fatto in uno dei sui libri. Sappiamo però che l’ambientazione è fedele e aver riportato i nomi e cognomi di tutti i protagonisti, restituisce veridicità al racconto.

Ma come abbiamo detto è difficile pensare che i due personaggi fossero la stessa persona. Il più famoso Fra Diavolo però fu a Palermo per un certo periodo. Inviso per gelosia di alcuni ufficiali dell’esercito Borbonico, fu rinchiuso nel carcere di Castel Sant’Angelo a Roma, da cui riuscì a scappare per imbarcarsi da Napoli a Palermo.

Qui si trattenne alcuni mesi presso la corte, ricevendo il titolo di Generale del Dipartimento di Itri. Ripartirà da Palermo, per combattere un’ultima volta contro i francesi, dopo la ripresa delle ostilità.

Alla notizia dell’esecuzione della condanna a morte, si legge nei resoconti, che Palermo pianse Fra Diavolo. Furono tenute esequie solenni nella Cattedrale della città, al cospetto di un popolo addolorato, con picchetti d’onore in alta uniforme e la presenza dei Sovrani.

Il Re Ferdinando IV assegnò alla vedova, una pensione di 1000 ducati per quello che considerò un devoto suddito, difensore del potere costituito e non un sanguinario brigante.
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