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Tra due "pirtusi", quello di sciusciu e di cani: alla scoperta della Grotta delle incisioni

Un patrimonio artistico di inestimabile valore, custodito purtroppo, o per fortuna, in uno degli antri del versante nord orientale di Monte Pellegrino. La sua storia

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 26 dicembre 2021

Le Grotte dell'Addaura

Palermo possiede, senza usarlo come sarebbe conveniente, ma capita spesso nella nostra città, un patrimonio artistico di inestimabile valore, custodito purtroppo, o per fortuna, in uno degli antri del versante nord orientale di Monte Pellegrino: è la famosa "Grotta delle incisioni".

Ci troviamo nella borgata marinara dell'Addaura, un tratto della costa palermitana sovrastata dall'imponente dorsale di Monte Pellegrino e facente parte dell'antico feudo Barca che prendeva il nome dal famoso condottiero cartaginese Amilcare Barca, approdato in Sicilia durante le battaglie romano puniche e accampatosi con le sue truppe lungo tutta la zona nord di Palermo.

Ci suggerisce Rosario La Duca che «è stata sempre comune convinzione che l'ampio arco delle falde di Monte Pellegrino compreso tra le punte Priolo e Celesi sia stato sempre nominato Addaura in quanto un tempo qui vi crescevano boschi infoltiti di alberi di alloro (in dialetto, Addauru)» e smentisce successivamente tale comune ipotesi popolare citando un antico documento redatto da Carlo d'Angiò il 20 agosto 1270 dove compare il «tenimento chiamato Daura» inteso come un luogo di caccia riservato alla Regia Curia.
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Il La Duca, quindi, parte dal toponimo “Daura”, la versione più antica che si conosca, per cercare di spiegare il significato da attribuire alla località. Sostiene poi che Daura sia una corruzione della parola greca laura, la quale nel basso medioevo indicava comunità di monaci eremiti che ben si collocherebbero entro i vari oscuri aggrottati del Monte Pellegrino. Chissà se Santa Rosalia a suo tempo incontrò una tale comunità, ma certamente la solitaria torre del Rotolo, detta anche di Fra' Giovanni, per via di un eremita che la abitava, si trova proprio al confine tra la borgata di Vergine Maria e l'Addaura, cioè la laura.

Chiunque mastichi un po' di storiografia palermitana sa perfettamente che Monte Pellegrino venne definito dagli storici greci Ercte perché esso si presentava come un luogo desolato, desertico e inaccessibile, sul quale era situato un edificio chiamato carcere. L'asprezza del monte, in effetti, non ci lascia immaginare che in passato avesse potuto avere una folta vegetazione, men che meno di alberi di alloro. Eppure era certamente frequentato da presenze umane.

Monte Pellegrino custodisce un'infinità di grotte, entro le quali si sono effettuate incredibili scoperte.

Questo bellissimo tratto di costa dell'Addaura dal mare azzurrissimo, meta estiva di tantissimi palermitani e turisti di varie nazionalità ai quali arriva la buona nomina del sito, «richiamò l'attenzione del mondo scientifico, in una delle grotticelle che si aprono nella parete del Monte Pellegrino, già da tempo nota per la presenza di reperti preistorici, furono rinvenute importante manifestazioni d'arte rupestre raffiguaranti figure umane graffite su una delle pareti».

In realtà lo studioso Giovanni Purpura ricorda che le Grotte dell'Addaura furono oggetto di studio già nell'Ottocento «i primi ritrovamenti paleontologici documentati furono effettuati nella grotta Addaura Caprara (Grotta grande dell'Addaura) dal professore Gaetano Giorgio Gemellaro che nel 1866 rinveniva un molare di Elephas armeniacus», in più Giovanni Mannino, che ha lavorato alla Soprintendenza archeologica di Palermo, ci racconta, nella stessa grotta Caprara, il ritrovamento del teschio di un “leone delle caverne”.

Lo stesso Mannino divide in tre gruppi le grotte nel tratto costiero dell'Addaura. Il «Gruppo I - comprende l'Addaura Grande o la Grotta Perciata; un vasto antro o riparo con le relative cavità interne. Gruppo II - comprende l'Addaura Caprara che è un vasto riparo nel quale si aprono il Pirtusu di sciusciu ed il Pirtusu di cani, intercomunicanti tra loro, che danno luogo alla ben nota grotta carsica comunemente detta Addaura. Sul prolungamento della parete destra del riparo, si aprono la Grotta dei Bovidi e più su la Grotta dell'Eremita.

Gruppo III – È il gruppo più basso, contrassegnato da un solco del battente nel quale si apre anche la più famosa delle Addaure, sulle cui pareti sono incise figure antropomorfe e zoomorfe di età Paleolitica». E su quest'ultima ci concentreremo. Questo capolavoro artistico dell'arte paleolitica è stato scoperto nel 1952 ed è un tipico, ma neanche tanto, esempio di arte rupestre.

Tengo a precisare la parola “capolavoro” poiché di questo si tratta, essendo una delle primissime forme di linguaggio e del pensiero preistorico. Bisogna tenere presente che la preistoria «è stata articolata in periodi: il Paleolitico (antica età della Pietra), il Mesolitico (età della Pietra di mezzo), il Neolitico (Nuova età della Pietra) e l'età dei metalli con la quale si giunge alle soglie della storia».

Le incisioni della grotta palermitana dell'Addaura risalgono a circa 12.000 anni fa, in età paleolitica. Per poterne comprendere il valore artistico e la tematica innovativa rispetto al panorama degli artisti di quel tempo è bene confrontare le incisioni palermitane con i graffiti o gli affreschi parietali più noti al mondo. Prendiamo ad esempio la Grotta di Lascaux nella parte sud occidentale della Francia (15.000 – 14.500 a.C.) in cui appaiono diversi animali, fra cui tori, buoi, cervi.

Essi sono molto realistici e si fronteggiano. In mezzo a loro c'è soltanto una figura antropomorfa appena abbozzata, quasi a significarne l'isolamento dell'uomo o l'impotenza rispetto al mondo animale che lo circonda.

La stessa situazione si potrebbe descrivere nell'affresco parietale delle grotte Chauvet in cui una mandria inferocita di leoni assalta dei bufali. Ancora una volta l'uomo non è presente o è molto mimetizzato. La figura umana appare invece predominante nelle incisioni di Les Eyzies in cui, in aperta campagna, un gruppo di cacciatori si prepara ad una spedizione mentre giganteggia defilata la figura imponente di un bisonte.

Ma anche in questo caso l'uomo non è altro che una silhouette abbozzata. Venendo a noi, nella Grotta delle incisioni dell'Addaura, il maestro, l'artista, riproduce una serie di figure umane, maschi e femmine, realistiche e ben delineate. Sembra di assistere ad un rituale: alcune figure pare che danzino, altre indossano una maschera, quasi tutte sono in posizione eretta, una è appena calata come a raccogliere qualcosa, ma su due di esse si concentra la scena. Sono due figure poste orizzontalmente al centro di un vortice di uomini che le attorniano come se fossero intorno ad un falò.

Le due figure orizzontali sembrano essere legate da una corda in modo innaturale, quel che è certo però è che presentano la virilità più accentuata rispetto alle altre figure. Moltissimi studiosi si sono lanciati nelle più svariate interpretazioni, ma la verità è che nessuno conosce il significato dei graffiti dell'Addaura, e si potrebbe dire in generale che non conosciamo il significato di nessuna delle espressioni artistiche del paleolitico, tuttavia qualche tempo fa ho incontrato Marco Ghezzi, un professore di Milano, autore di diversi saggi analitici tra cui uno interessantissimo dal titolo Psiche e arte nel paleolitico.

Purtroppo oggi Marco non è più con noi, ma mi ha spedito tempo fa un lavoro che ritengo fondamentale per tentare di comprendere il significato delle espressioni artistiche preistoriche, e vorrei concludere questo articolo con una sua citazione: «Quegli artefici che si avventuravano con non poca cautela nelle viscere della terra, per adornare le pareti e le volte delle caverne, erano verosimilmente sollecitati da impulsi e sentimenti che li sospingevano a manifestare moti profondi dell'animo, per il tramite di peculiari raffigurazioni, rianimando sequenze iconografiche che ancora oggi, dopo svariati millenni, non finiscono di sorprenderci per la maestria che le contraddistingue e per la dovizia del processo ideativo che le sottende. [...]

Numerose e di varia natura potrebbero essere state le cause che hanno provocato il rintanarsi del maestro del paleolitico in un antro tenebroso, accadimenti che avrebbero indotto non tanto la scelta definitiva di segregarsi, quanto l'innesco del desiderio di trovare un rifugio anche solo provvisorio in un sito protetto e suggestivo, lontano dai pericoli e dalle violenze di una realtà diventata per il momento insostenibile.

Viene da pensare all'assalto spietato di bande antagoniste, a devastazioni e a stragi cruente, a seguito di feroci incursioni, nelle capanne e nei ripari sotto roccia, dove dimoravano i membri del proprio clan, ad opera di gruppi sopraggiunti improvvisamente da lande sconosciute, con la violenza di un turbine distruttivo; né si deve trascurare anche l'evventualità di liti e di duelli spietati all'interno del gruppo di appartenenza».

(Per approfondimenti si consiglia la lettura di Rosario La Duca La città perduta cronache palermitane di ieri e di oggi, Edizione scientifiche italiane, Palermo, 1976, Vol. II, p.206; Giovanni Purpura Addaura in Palermo e il mare itinerario della memoria; Giovanni Mannino Le grotte di Monte Pellegrino, Edizioni Etna Madonie del Club Alpino Italiano,Palermo, 1985; La biblioteca di Repubblica La storia dell'arte, le prime civiltà, Mondadori Electa, Milano 2006; Marco Ghezzi Psiche e arte nel Paleolitico, Zephyro Edizioni, Treviglio 2012)
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