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Tra medicina e tradizione popolare: in Sicilia c'è ancora "a signura chi cuogghie vermi"

Il verme, incarnazione del viscido e del mefitico, è protagonista indiscusso della medicina popolare siciliana. E ancora oggi questa pratica è molto diffusa nell'Isola

Una "signora dei vermi"

Il verme, incarnazione del viscido e del mefitico, è protagonista indiscusso della medicina popolare siciliana. Chi non ha mai sentito parlare della cicaredda? La credenza e la pratica dei vermi, di cui racconta Giuseppe Pitrè e più di recente l’antropologo Elsa Guggino, è ancor oggi molto diffusa in tutte le piccole e grandi città dell’Isola.

Si tratta di un’antica tradizione di guaritori, perlopiù donne, chiamate a signura ri vermi, a signura chi cuogghie vermi o chidda chi dici a priera, che nel tempo si è appropriata di elementi della medicina ufficiale – reinventati e riadattati alle esigenze collettive – compresa quella ricercatezza lessicale, vagamente tecnica, che viene di norma ostentata.

Con il termine "vermi" sono intesi sia gli organismi fisiologicamente presenti nell’individuo (ritenuti funzionali per esempio alla digestione), sia la parassitosi diagnosticata (la comune ossiurasi intestinale) – anche se non sempre scientificamente riscontrabile – che finisce per coinvolgere lo stato di salute psicosomatico del paziente, soprattutto bambino.
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I vermi starebbero raggomitolati o acciambellati, placidi e quieti, nella vucca ri l’arma ("bocca dell'anima", "dello stomaco"), nell’epigastrio, un’area centrale per la stabilità e la salute dell’individuo. Se per una circostanza fortuita, come lo stress, l’ansia, un’emozione incontrollata o u scantu ("paura improvvisa"), si altera il loro naturale equilibrio, essi si agitano, si muovono e possono perfino salire alla gola soffocando il paziente.

Si crea così intorno all’evento "vermi" un vero e proprio "psicodramma" che coinvolge tutta la comunità (parenti, vicini di casa, amici, guaritori stessi) e che consente di deresponsabilizzarsi dal male ritenuto mero accidente esterno. Nella magia popolare u scantu è anche veicolo di trasmissione dello spettro di turno, che si aggira irrequieto nell’aere o che è inviato per fattura al malcapitato.

Se per esempio s’inciampa in una buca per strada – impossibile non precipitare almeno una volta nelle numerose voragini di Palermo – è molto facile spalancare la bocca in un scatto di paura, incamerando lo spettro o “svegliando” i vermi latenti.

L’infestazione da vermi si verifica con sintomi comuni che investono sia il corpo che la mente, febbre, mal di pancia, gastrite, insonnia, fetu ri vermi (‘alito cattivo per i vermi’), ma anche ansia, stato confusionale e spossatezza.

Tonia, guaritrice di Altofonte che ho intervistato nel 2007, magmatica e loquace «casalinga tuttofare» – come le piace definirsi – con la passione per i libri e i documentari scientifici, non a caso mi disse che «siamo tutti vermi noi dentro. È psicosi!».

Il guaritore, che mai si assimilerebbe al mago, diviene tale per dono naturale e più di frequente per trasmissione di un antico sapere tradizionale, che si avvale di un rituale gestuale, fatto per esempio di segni della croce in certi punti delicati del corpo, come la fronte, la gola e lo stomaco, e di un altro verbale, tramite un incantesimo “segreto” – a ‘raziuni, a priera o u scunciuru – recitato a bassa voce.

Di norma questa ‘raziuni è una storia con un lieto fine, come la Passione di Cristo, che, in un suggestivo sincretismo magico-religioso, mette simbolicamente in scena il senso della salute ritrovata. La ‘raziuni più diffusa evoca difatti la Settimana Santa, alludendo alla resurrezione finale del paziente per guarigione: Lùnniri santu / Màrtiri santu / Mèrcuri santu / Iòviri santu / Vènniri santu / Sabbatu santu / A Ruminica ri Pasqua / Sutta ‘ste manu u verme casca.

Durante il rituale possono essere usati infusi, erbe, olio e soprattutto aglio. Noto come efficace vermifugo e da sempre ritenuto ricco di proprietà magiche – «un vero e proprio antivapiro (‘antivampiro’) per ‘sti vermi», ribadisce Tonia – l’aglio viene fatto annusare, mangiare o viene applicato e spalmato sulla pancia direttamente o tramite i bordi oleati di una tazzina da caffè capovolta – la famosa cicaredda – per stordire i vermi e calmarli.

Si procede quindi con massaggi locali, segni della croce nei punti dilicati del corpo e la formula bisbigliata agli stessi vermi, che, sentendo gli odori acri e persino la voce dell’operatore, tornano nello stato originario di quiescenza e il malato guarisce.

È evidente che in Sicilia la mente si trovi nella pancia e non nel cervello, ovvero che la pancia reagisca agli stimoli esterni, parli e ascolti come fosse la coscienza. Non a caso chiamiamo omo ri panza la persona a cui confidare un segreto, oppure diciamo di avere ‘na cosa na vucca ru stomaco, quando siamo particolarmente addolorati e avvertiamo quella familiare sensazione che Tonia chiama «strinta (‘stretta, senso di oppressione’) di pancia».

E chiudo allora proprio con Tonia e la sua divertente idea di cosa potrebbe farci il verme tenia: «la tenia tende lei a mangiare sempre, ha una forma di tagliatella lunga, sette, dieci, dodici metri. Se quella ti viene alla gola t’affuca proprio, ma alla gola non ci va, perché tu la butti dall’intestino: la puoi buttare a pezzi, però se non butti la testa per intero, non muore mai, si riproduce, si va allungando sempre.

Quella quindi c’ha una funzione di farti dimagrire, perché se le mangia lei le sostanze. La Callas, dice, che se l’è bevuta nello champagne per dimagrire. E io mi mangerei a ‘sta cosa a pensare che mi va camminando dentro la pancia?».
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