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Tra sospiri notturni e risate di bambini: a Messina c'è un castello degno di un thriller

Oggi protetto sotto stretta sorveglianza da sistemi di sicurezza, il Forte Castellaccio ha impressi i segni contraddittori della sua storia gloriosa e del suo colpevole abbandono

  • 10 luglio 2020

Il forte castellaccio di Messina (foto Facebook Lions Club Messina Host)

È una città strana, Messina. La sua geografia rende il conflitto geografico della Sicilia con l’Italia, distante poche braccia di mare, solo e soltanto continente, una terra lontana e impossibile. Per chi arriva, con un polveroso viaggio che ha gli echi di un romanzo di Elio Vittorini, è la porta dell’Isola, ma per i siciliani è anche il suo mitico punto di fuga, la terra dove i passi segnano il preludio dell’abbandono.

Nei tempi antichi bisognava difendere il regno con fortezze e architetture militari, controllando i movimenti dello Stretto e del porto, e soprattutto sbarrando l’accesso alla città le cui strada si dipanavano verso tutto l’entroterra della Sicilia, quasi a scomparire, fino al limite del mare, che pure raggiunto dopo campagne riarse e borghi taciturni segnava l’idea di una prigione.

A vegliare su Messina che veglia la Sicilia, in posizione strategica e a richiamo di un nemico che non giunge più dalle colline, un luogo fitto di misteri e di leggende popolari: il Forte Castellaccio. Oggi protetto sotto stretta sorveglianza da sistemi di sicurezza, dopo che l'amministrazione comunale ha deciso di procedere all’acquisto di tutta l’area con un progetto di riqualificazione a fini culturali, il Forte Castellaccio ha impressi i segni contraddittori della sua storia gloriosa e del suo colpevole abbandono.
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Ricostruito con legnami e fascine sotto il Vicerè Giovanni De Vega nel 1547, nel corso degli anni la sua conformazione ha mutato d’aspetto derivandogli la sua attuale forma quadrata con quattro bastioni da un intervento dell’architetto bergamasco Antonio Ferramolino.

Il terremoto del 1908 ne danneggiò la struttura, ulteriormente vilipesa durante il secondo conflitto mondiale e poi rimaneggiata con pochissimo rispetto della sua originaria natura architettonica, e, sebbene negli anni qualcuno abbia tentato di recuperarne le sorti, il luogo ha finito per essere depredato e vilipeso dalla barbarie di un’ignoranza devastatrice.

Dopo la guerra si installò sul posto, infatti, “La Città del Ragazzo”, le cui buone intenzioni di destinarlo a un uso di pubblica utilità non impedirono uno stravolgimento generale del sito con l’edificazione, all’interno del castello, di una vera e propria palazzina con finestre in stile falso gotico, inutili e bizzarre.

Il Forte Castellaccio resiste, maestoso e imponente, sulla sua collina a tratti impervia, affacciandosi sulla sottostante vallata di Gravitelli, e con lui insistono i misteri di strane apparizioni, di rituali occulti e di inquietanti rinvenimenti, proprio lì dove sembra non ci sia nessuno e invece il buio scatena a presagio dell’aldilà.

Pare, infatti, che un gruppo di ragazzi abbia segnalato l’apparizione del fantasma di una suora affacciata a una delle finestre che insistono sul cortile principale, cui sono seguite altre segnalazioni che hanno persuaso un gruppo di ricercatori del paranormale a svolgere alcune indagini con l’ausilio di apparecchiature videofotografiche.

I risultati, a leggere i resoconti del gruppo autodenominatosi Map, sono curiosi quando non addirittura raccapriccianti: una foto con la sagoma di una suora, un documento video nel quale si percepisce un sospiro e successivamente dei lamenti simili a un vagito puerile, e un file audio con la voce di una donna che invoca aiuto e ancora risate di bambini, passi che scalciano e spirali improvvise di pianto.

Inoltre, nelle foto documentali appaiono diversi Orbs, fenomeni ottici risultanti in piccole sfere che talvolta appaiono nelle immagini fotografiche o nei filmati pur non corrispondendo a oggetti visibili a occhio nudo. Fenomeni ottici, sì, ma per alcuni anche indicatori di presenze paranormali.

Tra le leggende del posto, anche quella di un tunnel sotterraneo che nel mezzo del cortile collegherebbe il Castellaccio con il vicino Forte Gonzaga, ma non ci sono prove nel merito, e del resto l’idea di un collegamento sotterraneo tra cittadelle e fortilizi ha da sempre incantato la fantasia di molto studiosi.

Questo tesoro nascosto della città di Messina, trascurato contro una città che ne ha sempre chiesto a gran voce la sua riqualificazione anche come area verde, vive ancora un tempo di sospensione agonica, di decadimento fatale, di trauma violento: la bellezza sfiorisce ma è lì, sepolta dalle erbacce, tra sentieri fagocitati da lastre di eternit e residui di spazzatura, esemplari di una società dello spreco che inghiotte gli antichi sentieri e usa violenza al paesaggio.

A rendere ancora più grottesco il senso ultimo di un’incuria protratta, alcuni resoconti diffusi a mezzo stampa che hanno parlato di uno scenario da film dell’orrore, con un pupazzo di Babbo Natale impiccato a un albero, proprio di fronte ai ruderi dell'ex “Città del Ragazzo”, e un misterioso cerchio di circa tre metri di diametro, tracciato con un gesso accanto all’ingresso del Castellaccio, contenente strani simboli esoterici, trame accidentali di un sordido delirio o segni per iniziati, come quelle presenti un po’ dappertutto – su porte, pavimenti e persino sulla volta della cappella – di una stella a cinque punte, il cosiddetto pentacolo, un simbolo magico inscritto in un cerchio, utilizzato nel satanismo per trattenere la magia oscura e per bloccare i demoni.

Nulla di strano che in questo contesto, falsificando la percezione delle cose agli intuiti del mistero, il cigolio di una finestra, il vento che strina una parete, il rumore di un vetro rotto, appaiano come suggestioni a presenze occulte e a richiami satanici.

È sufficiente uscir fuori da quelle mura, nella corte ariosa del Forte, dominando con lo sguardo lo Stretto di Messina e le pitture mobili del mare, per capire che ciò che è più vero è proprio questo posto incantevole, che merita molto di più di qualche leggenda lasciata ad appassire nel silenzio aforistico della bellezza ferita.
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