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Un "amminchiato" si fissa, il "crastu" è un furbo: in viaggio tra i modi dire in Sicilia

I modi di dire nella lingua madre siciliana, variano da luogo a luogo, alcuni sono abbastanza comuni altri meno e soprattutto vanno interpretati e contestualizzati

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 9 giugno 2024

Ficarra e Picone in "L'ora legale"

A Cefalù era una di quelle giornate con il cielo blu cobalto, il mare calmo, l’ideale per andare in un posto che da ragazzi chiamavamo "la Piattaforma". Arrivarci era impegnativo, bisognava scendere lungo un sentiero scosceso.

Arrivata in ritardo, rispetto agli amici, un ragazzo che non conoscevo vedendomi in difficoltà mi afferrò saldamente per un braccio, dal basso arrivò un coro “Calaaaimaano”. Ora saranno state le cicale, le onde, il fatto che per me l’idioma era una seconda lingua e non quella madre, interpretai la frase con la parola "Caimano".

Preoccupata, allontanai la presa, cadendo. Recuperata, mi sentii dire una volta arrivata "mischina, si struppiò".

Lo sconosciuto era tale solo per me e quel "cala le mani" era solo scherzoso.

I modi di dire nella lingua madre siciliana, variano da luogo a luogo, alcuni sono abbastanza comuni altri meno e soprattutto vanno interpretati e contestualizzati.
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I libri di Camilleri e Alajmo, oltre agli amici, mi guideranno tra alcuni idiomi che costituiscono una polisemia affascinante.

Ritornando alla mia caduta, esiste anche qui una gerarchia: Struppiarsi qualche escoriazione, Scoppare cadere senza gravi conseguenze, Sdirrubarsi vuol dire farsi male.

Acchianare vuol dire salire, ma l’Acchianata è anche la salita che si fa per Santa Rosalia come intercessione o ringraziamento.

Camilleri scrive che vuol dire anche vincere le elezioni ovvero "trovarsi fuori dagli affanni per l’intera esistenza!.

Annacarsi “deriva da culla, la naca, ed è il dondolare del bimbo, ma se rivolto a una donna, vuol dire ancheggiare vistosamente; ma ci si annaca anche se si vuole prendere tempo, si ricorda un ministro che, a seguito di una richiesta si prodigò in promesse, salvo poi dire al segretario “Annacchiamolo tanticchio un poco”, aspettando il canonico “do ut des”.

Di esplosioni di rabbia/maledizioni, sono 3 le più famose, in ordine di gravità: Botta d’Acitu (colpo d’acidità), segue Botta di Sali (frequente anche come intercalare quando qualcosa irrita) poi “Botta di Velenu” e “Botta di Sangu”, quest’ultima la peggiore.

Chioviri a Assuppaviddanu piove a inzuppa "villano", indica quella pioggerellina leggera ma costante, che non distoglie il contadino o il pastore dal lavoro, cosa diversa lo “Sdiluvio” sono quelle bombe d’acqua che allagano provocando danni.

Parlare di qualcuno è un vocabolario non solo in termini malevoli ma anche benevoli.

Fitusu non è solo sporco, indica anche una brutta persona.

Camilleri ricorda che durante lo sbarco alleato vide passare il generale Patton, questi notando una croce su una pietosa sepoltura di un soldato tedesco, con stizza la spezzò, proseguendo il suo trionfale ingresso. Il commento di un soldato fu “ come generale è bravissimo, il migliore, ma come uomo è un fituso”.

Proseguiamo con Amminchiatu è una persona che si fissa su qualcosa che non si realizzerà, Scantuso è il pauroso, Chiummo (piombo) una persona pesante, insopportabile, Crastu (da montone) è un furbo malevolo, un traditore.

Una sentenza della Cassazione del 2014 considerò Crastu lesivo dell’integrità morale, il termine può essere anche “Cornuto” a dimostrazione che le parole vanno relazionate al contesto del dialogo. Una forma di riconoscimento del furbo è invece “Spertizza”, per cui si prova ammirazione. “ Fango” è quello che chiamiamo oggi “ stroxxx”, "Tascio" è la personificazione del trash,

Lagnuso” quello che non fa altro che lamentarsi, “Negghia” è una persona inutile, “Vastaso” è chi si comporta in maniera volgare, anche se Alajmo ricorda che una volta era l’appellativo dei facchini della stazione.

Mischino”, è colui cui vanno male le cose e si ha una forma di compatimento; “Lapardeo” è chi ingurgita cibo quasi sempre a sbafo, deriverebbe dal termine Alabardieri Austriaci che gozzovigliano senza pagare nelle osterie delle Città.

Tinto è un individuo riprovevole, Tinti sono anche cose e pensieri brutti, una donna tinta è una poco di buono o che si comporta male. La vera e propria meretrice o chi si comporta come tale è “Bottana” ma può essere anche “Tappinara” (le tappine sono calzature, quindi una passeggiatrice).

Il “Babbo” è lo stupido il cretino, Alajmo dice che una volta la parte orientale della Sicilia era detta “Babba” perché la mafia non raggiungeva i livelli di quella occidentale. “Grazioso” è definito un “termine multiuso”, tutto può essere grazioso, è un apprezzamento generico senza entrare nel dettaglio”.

Addabbanna /Accabanna”, sono avverbi di luogo, il primo indica al di là lontano, il secondo da questa parte, vicino, si vi capiterà di chiedere un’informazione potreste sentirvi rispondere così. "Banna" vuol dire lato, parte.

Termino con alcuni modi di dire: Nni Livaru u Piaciri di Futtiri, facilmente traducibile.

Camilleri dice che ha avuto inizio dopo l’Unità d’Italia quando arrivò la leva obbligatoria, considerata come un lutto, i giovani, forza lavoro determinanti al sostentamento della famiglia, erano prelevati per 4, 5 anni.

Nuttata Persa e figlia Fimmina, vuol dire aver faticato tanto per raggiungere un obiettivo !mediocre!. Chi Nesci, Arrinesci (chi esce, riesce) indica che bisogna varcare confini fisici, culturali, sociali per riuscire nella vita. Così come consolazione è Ogni mpidimentu è giuvamentu ogni impedimento non è detto che sia una cosa negativa, può avere qualcosa di positivo.

Nuddu ammiscatu cu Nenti è l’apoteosi del disprezzo che si può provare per una persona, nessuno mischiato con niente; preciso, determinato, lapidario, una condanna senza appello.

Ma tra tutti c’è uno che non è solo un consiglio, un avvertimento ma che dovrebbe diventare un mantra Parrari Picca è Miricamento, paralare poco è medicina.

(Fonti: Roberto Alajmo, Abbecedario siciliano. Andrea Camilleri, Il gioco della mosca)
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