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Un colosso difendeva lo Stretto di Messina: una delle Meraviglie (perdute) del mondo

Fu realtà e non una leggenda. Ci sono prove della sua esistenza, quando potrebbe essere stata una delle Meraviglie sfuggite alle classifiche più note dell’antichità

Daniele Ferrara
Esperto di storia antica
  • 2 luglio 2023

Una riproduzione grafica del Colosso del Peloro

Sullo Stretto di Messina, dal Capo Peloro, là dove la Sicilia da Oriente e dal continente comincia, s’ergeva, a sua guardia un possente colosso, che fungeva da faro e anche da dissuasore d’invasioni, divenuto mistero col passare dei millenni.

Il Colosso del Peloro è realtà, non mera leggenda, e tutt’oggi sussistono prove della sua esistenza in antico, quando potrebbe essere stato una delle Meraviglie sfuggite alle classifiche più note dell’antichità.

Oggi vi svelo, passo dopo passo, questo tesoro perduto, facendolo riemergere dalle acque della storia in cui s’è inabissato; premetto che non ho scoperto nulla, molti autori si sono cimentati, io faccio osservazioni personali sui dati disponibili.

Alcune monete fatte coniare da Sesto Pompeo durante la terza Guerra Civile della Romana Repubblica, allorché – tra 42 e 36 a.C. – controllava Sicilia, Sardegna e Corsica, recano delle immagini particolari: sul verso la mostruosa Scilla che brandisce il timone di una galea distrutta, sul retto una sorta di torre con in cima una grande statua di dio nudo con tridente in una mano e un oggetto indefinito nell’altra, indossante un elmo beotico (aperto e con falda inclinata in basso) e che a sua volta poggia il piede sopra la prua d’una galea.
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Se Scilla è una figura simbolica, la statua non può essere immaginaria, dev’essere qualcosa di realmente esistente, ma che cosa? Sappiamo che l’emissione avvenne in concomitanza della vittoria di Pompeo su Ottaviano proprio nelle acque dello Stretto di Messina nel 38 a.C., ha dunque a che fare con lo Stretto di Messina?

Un dipinto murale nel Sacello Pagano di periodo tardo-ellenistico all’interno della Catacomba di Santa Lucia a Siracusa, ben analizzato di recente dall’archeologo Fabio Caruso, ci dà maggiore intendimento.

Troviamo la medesima figura delle monete, che stavolta appare d’un bel rossiccio che simula la carnagione maschile con la mano protesa apparentemente vuota, e si erge sopra un’ampia bastionatura.

Un’iscrizione certifica che il nume è "Zeus Peloros", un appellativo del dio che significa "mostruoso" in senso di enormità associato (per es. in Tessaglia) ai movimenti tellurici che modificano la geografia, come il mitico terremoto che avrebbe separata la Sicilia dall’Italia (attribuito a Poseidone).

Peloro è anche uno dei Giganti e dunque potrebbe essere stato anche un dio locale, proprio come l’ancestrale dea Peloria che fu poi declassata a ninfa. Se non sono conio e dipinti prove abbastanza solide, abbiamo testimonianze scritte.

Già Strabone di Amasea, geografo anatolico che scrisse tra 14 e 23 d.C., parlava di due colonne, l’una più grande al Peloro e l’altra più piccola di fronte a nord di Reggio, ma senza ulteriori dettagli.

Sempre nel I sec. d.C., Valerio Massimo nei suoi "Fatti e detti memorabili" parlava d’una statua eretta sopra un tumulo, ma collegava questo monumento a un pilota di Annibale Barca ivi sepolto, chiamato Peloro: forse una confusa leggenda che mescola nomi e fatti diversi.

È Olimpiodoro di Tebe, storico e alchimista egizio, che ci parla di una “statua sacra” nei suoi “Discorsi storici” dedicati all’imperatore Teodosio II e frammentariamente salvati dal patriarca Fozio il Grande nella sua "Biblioteca".

Apprendiamo che Alarico I (contemporaneo dell’autore) nel 410 d.C., dopo il saccheggio di Roma, non se la sentì di traghettare in Sicilia l’armata visigota da Reggio in quanto turbato dalla minacciosa statua.

«Consacrata dagli antichi come una protezione dai fuochi dell’Etna e dal passaggio dei barbari attraverso il mare. In un piede conteneva un fuoco che non veniva mai estinto, nell’altro una riserva d’acqua che non si guastava mai».

Contro Alarico dunque il simulacro fece il suo dovere; il monumento poi fu distrutto dall’amministratore delle proprietà dell’imperatore Costanzo III e di Galla Placidia in Sicilia, Asclepio, in un probabile impeto di zelo cristiano, e la conseguenza fu che “gli abitanti soffrirono grandemente dall’Etna e dai barbari”.

Il fuoco accennato da Olimpiodoro attraverso Fozio doveva trovarsi sulla mano protesa del dio in una sorta di braciere, anziché al piede, e forse questo spostamento dovette essere fatto in epoca tarda per semplificarne la manutenzione in una fase di decadenza del monumento, mentre l’acqua forse sgorgava proprio dalla prua ove poggiava il piede il dio, in forma di fontana monumentale.

Tutto quanto finora descritto talvolta viene assunto come relativo alla Colonna Reggina sull’altro lato dello Stretto e annessa statua, ma una lettura imparziale dovrebbe far emergere la corretta interpretazione: come Strabone lascia intendere parlando delle colonne, c’era probabilmente una coppia di monumenti dirimpettai molto simili, come pure i basamenti completamente diversi nelle immagini (su torre nelle monete e su fortificazione nel dipinto) fanno pensare, con statue quasi gemelle (fraterne!), sui due lati dello Stretto, l’una di Zeus (la sicula) e l’altra di Poseidone (la bruzia), giacché collegata al suo santuario in quella costa situato.

Ecco una descrizione riepilogativa sul Colosso del Peloro: fatto d’un bronzo rossiccio e forse dipinto in alcuni punti, eretto su torre o su fortificazione (forse quest’ultima), ai suoi piedi una fonte d’acqua pulita, un uomo nudo che poggia un piede sopra la prua d’una nave, con una mano stringe un tridente, nell’altra mano sostiene un fuoco che fa luce ai naviganti, sul capo forse un elmo beotico o un verde serto.

La postura del simulacro pelorio è analoga a quella del Nettuno Lateranense o Poseidone Istmico che realizzò Lisippo (IV sec. d.C.), e l’elmo indossato dal dio sembra beotico, modello che Senofonte (IV-III sec.) raccomandava per la cavalleria e che dunque doveva essersi già diffuso fuori dalla Beozia ove fu sviluppato.

L’arco di tempo in cui il monumento fu realizzato è compreso tra 323 a.C. circa (inizio dell’Ellenismo) e molto prima del 38 a.C. (battaglia dello Stretto). Chi costruì il complesso monumentale del Peloro?

Non abbiamo moltissime informazioni sulla Messina tra la caduta della dinastia dei Dionisii e l’alleanza con Roma, ma quasi sicuramente la committenza fu del governo della Città, che evidentemente non era così debole come i diversi mutamenti politici di quel tempo farebbero pensare, se quello fu il periodo in cui nacque il Colosso.

La posizione del complesso fortificato del Colosso potrebbe essere stata pressappoco quella ove sorge l’attuale faro che dà il nome al villaggio Torre Faro, magari coincidente con il cosiddetto Forte degli Inglesi, una fortificazione rifatta più volte nel corso dei secoli, al cui basamento ci sono ancόra resti di cisterne che potrebbero avere avuto a che fare con la fontana descritta da Olimpiodoro.

Il Colosso del Peloro non c’è più, è vero, e chissà in che cosa è stato rifuso il suo bronzo… ma magari un giorno lo erigeremo di nuovo, più bello e maestoso, a celebrazione di una rinnovata grandezza, o resurrezione di Zancle.
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