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Un tempo erano tre edifici oggi è uno solo: come nasce il (magnifico) palazzo di Palermo

L'architettura in evidente stile neoclassico si deve alla committenza del duca di Serradifalco, influenzato sicuramente dalla sua professione di archeologo

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 19 febbraio 2024

Palazzo Bonocore

La più antica pianta topografica della città di Palermo che si conosca è quella compilata da Orazio Maiocco, incisa da Natale Bonifacio e pubblicata a Roma da Claudio Duchetto nel 1580.

Da questa pianta osservo, guardando piazza Pretoria, che non si distinguono nettamente i due edifici squadrati che conosciamo oggi come Palazzo Guggino Chiaramonte Bordonaro e Palazzo Bonocore. Del primo parlai già in una articolo passato, parlerò ora del secondo. Indugiando sulla mappa, si nota che a quel tempo al posto del palazzo esistevano diversi immobili (se ne contano almeno 3) attaccati tra loro con porta di ingresso rivolta verso est, cioè verso il mare.

Non avevano dunque l'ingresso da piazza Pretoria come invece presenta oggi Palazzo Bonocore, ma potrebbe essere una "imprecisione" della pianta in quanto molti edifici mostrano il prospetto principale verso gli occhi dell'osservatore.

Questi diversi immobili facenti parte di un complesso originario che darà vita al futuro Palazzo Bonocore, verosimilmente appartenevano a proprietari diversi. Noi conosciamo i nomi di qualcuno di loro i quali abitarono le case.
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Tra i proprietari viene citato un certo Giovanni Lo Valvo che nel 1547 venderà alla famiglia Di Carlo la quale successivamente venderà al pisano Stefano Conte.

Il marchese di Villabianca annovera tra le case, e non tra i palazzi, in quanto egli intitola il paragrafo del suo Palermo d'oggigiorno "Palazzi e case civiche", quella dei Gastone e dice: «Casa, che sta nel Cassaro Kalsa, nel piano del palazzo senatorio. Fu antica casa della famiglia Gastone, di cui va erede il duca di Serradifalco Faso».

Dalle note di Gioacchino Di Marzo sull'opera del Villabianca ricaviamo anche che dai Lo Faso Serradifalco l'immobile passerà nel 1875 al "negoziante" Salvatore Buonocore.

Nel primo decennio del Novecento il palazzo verrà diviso tra diversi proprietari, uno dei quali è la Curia che possiede il piano nobile, gestito ai giorni nostri dalla cooperativa Coopculture, la quale ha momentaneamente allestito proprio nel piano nobile una mostra virtuale sulla Belle Époque dal titolo Palermo Felicissima.

Il fatto che il marchese di Villabianca annoveri l'edificio tra le "case civiche" e non tra i palazzi ci fa supporre che ancora a quel tempo non doveva essere stato elevato a Palazzo nobiliare così come lo vediamo oggi nelle sue essenziali forme neoclassiche, ma bisogna tener pur conto che il Villabianca cita come "palazzi" ad esempio Palazzo Cutò e Palazzo Cattolica, due enormi edifici seicenteschi.

Tuttavia scrive la studiosa Doresita Marino: «Durante la permanenza della famiglia Gastone il palazzo viene ampliato e diventa dimora patrizia acquisendo prestigio e notorietà in vista anche delle nozze della figlia Margherita Gastone andata in sposa a Francesco Antonio Lo Faso IV duca di Serradifalco, divenuti eredi nel 1740...».

Ricorda inoltre la studiosa che l'edificio viene citato da Pietro La Placa ne La reggia in trionfo per l'acclamazione, e coronazione della sacra real maestà di Carlo infante di Spagna, come un "vistoso Teatro".

«Il marchese D. Francesco Gastone, allora Avvocato Fiscale della Regia Gran Corte [...] diede fastosamente delle sue nobili idee nell'adorno del suo Palagio, il quale in se stesso ha la forma di un vistoso Teatro; e così dalla parte del Cassaro (cioè via Toledo, oggi via Vittorio Emanuele) come per donde riguarda la superba Fonte del Senato, apparve coperto di finissimi drappi...».

Come si può dedurre da questa descrizione, anche se Palazzo Bonocore non è stato un edificio ascrivibile all'idea barocca dei palazzi che aveva il Villabianca, si può ben capire come già a partire dal 1736 il palazzo prospettasse come unico edificio sia su via Vittorio Emanuele, sia su piazza Pretoria.

L'architettura in evidente stile neoclassico si deve alla committenza di Domenico Lo Faso duca di Serradifalco (1783-1863) influenzato sicuramente dalla sua professione di archeologo.

Egli infatti nel 1827 è nominato presidente della Commissione di antichità e belle arti di Sicilia; lavora agli scavi di Selinunte, Segesta, Solunto, Siracusa ecc. che lo porteranno a concepire senz'altro la facciata di Palazzo Bonocore, specialmente dopo aver osservato anche quella del Teatro alla Scala di Milano (città dove aveva studiato) alla quale quella di Palazzo Bonocore obbiettivamente rassomiglia.

La facciata principale di Palazzo Bonocore si può dividere in tre ordini. In basso il muro è bugnato, testimonianza dell'era manieristica originaria del palazzo. Si notano tre portali d'ingresso con archi a ghiera in ferro battuto e teste leonine sulla chiave di volta. I portali sono poi intervallati da finestre con griglie o balaustre di ferro.

Il secondo ordine di stile neoclassico è percorso da una lunga balconata in ferro battuto con sette aperture a finestroni intervallate da lesene con capitelli corinzi.

Nell'ultimo ordine, il timpano triangolare accoglie al centro, come la metopa di un tempio greco, lo stemma dei Faso o Lo Faso: «Arma secondo il Villabianca: d'azzurro con un albero di faggio al naturale sormontato da un'aquila nascente coronata di nero portante una face accesa al rostro; ed un braccio armato sporgente dal canton destro del capo, tenente una spada in mano posta in fascia alla cui punta un giglio d'oro, per concessione di Carlo d'Angiò».

L'ultima parte del palazzo è una fascia, che include il timpano, percorsa da una serie di lesene collocate in continuità con quelle del piano inferiore. Anche gli interni del palazzo rispecchiano i gusti del tempo.

Salendo una bella scalinata di marmo rosso di Castellammare con passamano puntellato da teste leonine bronzee, si accede al piano nobile. La prima sala visitabile è un'anticamera affrescata con effetti tromp l'oeil monocromatici che raffigurano un soffitto a cassettoni ornato da motivi floreali e puttini in volo che giocano con un lungo nastro.

La seconda sala ha come oggetto un personaggio sdraiato con una vanga e un anfora dalla quale sgorga l'acqua di un fiume, quest'immagine è nota all'iconografia palermitana antica come il fiume Oreto, immagine simbolica della Conca d'oro, ma più genericamente potrebbe trattarsi di Saturno, figura legata al mondo agricolo. Sotto di lui all'interno di tondi sono raffigurati animali quali gatti, cavalli e cervi. Il tutto è ampiamente decorato da festosi motivi floreali.

Attraversando la porta che si trova a destra si accede ad un'altra sala dove si può ammirare al centro della volta un puttino volante, fulcro di una curiosa composizione geometrica dorata che ha il triangolo come figura principale. Attorno alla cornice della volta si notano coppie di puttini insieme ad oggetti di uso commensale.

Tornando indietro ci si dirige verso quella che è forse la sala più rappresentativa. Ospita nel soffitto immagini sempre di ascendenza classica, quali sono ad esempio le tre grazie e le belle arti (scrittura, pittura, scultura e musica), mentre i ruderi di templi assolati potrebbero richiamare le scoperte di Pompei ed Ercolano avvenute nella metà del XVIII secolo o gli scavi archeologici compiuti in Sicilia nei primi anni del XIX secolo. Non di meno a questi sono da evidenziare i paesaggi naturalistici di stampo più romantico che potrebbero aver anticipato la corrente pittorica del Romanticismo in città.

Scene allegoriche e bucoliche si registrano anche nella sala successiva dove si ammirano donne che rappresenterebbero le stagioni, cupidi che scagliano frecce su felini intimoriti, cigni bianchi che fronteggiano serpi, altri motivi fitomorfi e zoomorfi.

Nella sala che precede la camera da letto la scena è tutta per la Venere dormiente in volo sorretta da putti tra le nuvole. La composizione di questo affresco ricorda vagamente quella di Dio sorretto da angeli ne La creazione di Adamo di Michelangelo nella Cappella Sistina.

La camera da letto, o alcova, è una composizione artistica entusiasmante: compaiono colonne scanalate dai capitelli ionici, quasi come un tempio in miniatura, che racchiudono il vano ove un tempo giaceva il letto (composizione riscontrabile anche nell'appartamento della regina Maria Carolina alla Palazzina Cinese).

Le colonne reggono un lavoratissimo soffitto a cassettoni, ornato con stucchi bianchi e dorati simili a cammei che rappresentano putti e motivi floreali. Gli affreschi alle pareti, poi, rimandano tutto ad un tripudio d'amore quale sarebbe stato il Romanticismo nel medesimo secolo XIX. Per innamorarvi ancora una volta della nostra città, non vi resta che andare a visitare Palazzo Bonocore.

(Per approfondimenti consulta Palazzo Bonocore, le oasi dell'identità: museo multimediale... di Doresita Marino; Palermo Felicissima Vol. III di Nino Basile; Il blasone in Sicilia di Vincenzo Palizzolo Gravina; Opere storiche inedite sulla città di Palermo... di Gioacchino Di Marzo Vol. XIV, pag. 132, 1873)
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