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Una moschea tra le più belle al mondo dentro un castello: la meraviglia tra Termini e Palermo

Una storia affascinante che ad oggi trova poche testimonianze e geolocalizzazioni incerte che pongono così il dubbio sull’effettiva posizione di questa fortezza

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 17 agosto 2022

I viaggi a volte sono difficili, sfiancanti. Promettono sorprese e celano meraviglie ma soprattutto meritano di essere raccontati.

Sicuramente non era confortevole viaggiare ai tempi di Ibn Jubayr, letterato e scrittore musulmano proveniente dall’Andalusia, quando nel marzo del 1183, pare a seguito di una crisi mistica, partì da Granada per intraprendere il pellegrinaggio verso la Mecca.

Toccò nelle sue tappe Ceuta in Marocco e da qui si diresse, passando per la Sardegna, la Sicilia e Creta, verso l’Egitto, al fine di dirigersi poi verso la Penisola Araba navigando lungo il Mar Rosso. Viaggiare costava fatica, eppure per i musulmani restava un obbligo, e quello di Ibn Jubayr è il viaggio di un musulmano osservante partito per adempiere a uno dei cinque obblighi del culto: il pellegrinaggio alla Mecca.

Nell’ottobre del 1184, al ritorno dal suo lungo cammino di fede che lo aveva portato a soggiornare per nove mesi nella città di Maometto e, quindi, a Baghdad, Mosul e Aleppo passò ancora per la Sicilia, dove a seguito del naufragio della nave su cui viaggiava, vi soggiornò fino al febbraio 1185, prima di potersi imbarcare di nuovo per raggiungere la sua terra.
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Nel suo resoconto di viaggio che chiamò Riḥla (“Il Viaggio”) descrisse l’Isola, all’epoca sotto dominazione normanna, menzionando la grande intelligenza e tolleranza del sovrano Guglielmo II, detto "il Buono".

Le pagine rimandano una sorta di fascino per questa terra sconosciuta, lussureggiante, fertile, dove cristiani e musulmani riescono a convivere. Da Messina fino a Trapani, lo scrittore racconta le sue meraviglie, i costumi degli abitanti, gli eunuchi, i rapporti di forza tra gli abitanti stessi.

Dalla narrazione di Ibn Jubayr del suo secondo passaggio nell’isola, secondo la traduzione italiana del Riḥla eseguita da Celestino Schiaparelli, risulta intrigante soffermarci sulla notte del 16 dicembre 1184, in cui il viaggiatore percorrendo l’antica strada consolare Valeria, da Termini a Palermo, giunge alle porte del Qaṣr Saʽd (Fortezza dei Saʽd, dinastia musulmana delle più forti dell’epoca).

Dall’attenta e dettagliata descrizione risulta che: «Il Castello era chiuso da una porta di ferro robusta, e dentro vi erano appartamenti con belvederi dominanti, e camere ben disposte; insomma un soggiorno fornito di ogni comodità.

Al piano superiore era presente una moschea fra le più splendide che esistano al mondo, di forma​ oblunga, con archi allungati, col pavimento coperto di stuoie luccicanti, tessute in modo che non si sono mai viste di più belle.

Pendevano in essa circa 40 lampade di ottone e di vetro di varie qualità che la illuminano magnificamente. Dall’alto della moschea nelle ore canoniche il curato del popolo, l’Imam- el-omnè, cantava l’Adzan (la preghiera).

Dinnanzi alla moschea c’era un largo ballatoio che girava intorno al piano superiore del castello; ai piedi di quest'ultimo era presente anche un pozzo d'acqua dolce. La notte trascorsa nella moschea fu piacevolissima come anche l’onore dell’ospitalità».

A pochissima distanza dal Castello, anzi dirimpetto al Qaṣr Saʽd, Ibn Jubayr osservava anche una fonte termale, molto piccola in vero, detta ʽAyn-al-maǵnūnah (la Fonte dell'indemoniata), probabilmente a causa dei vapori termali che scaturivano da essa.

Il monumento era dotato di una piccola cupola, che come poté osservare lo storico Michele Amari nel 1870 era ancora presente, anche se in parte coperta sotto una frana.

Tutt'intorno si trovava una grande area cimiteriale in cui erano sepolti numerosi pii e timorati musulmani, di modo che questo luogo era un sito di grazia e di benedizione, e dove accorrevano numerose persone provenienti da ogni dove.

Una storia così affascinante e ricca di spunti, che però ad oggi trova pochissime testimonianze e geolocalizzazioni incerte, difficili da confutare, ponendo così il dubbio sull’effettiva posizione del Castello, che probabilmente trovava la sua ubicazione presso l’altopiano di Bassano, in prossimità della Cannita, area già popolata in passato da colonie fenicio -puniche.

La posizione strategica del sito permetteva di avere una visuale ottimale sulla valle del fiume Eleuterio, allora navigabile, e lo stesso mare ​che inoltrandosi fin sotto il colle, rappresentava un facile attracco per le piccole imbarcazioni che transitavano verso l’entroterra e viceversa.

​A circa due km da Misilmeri andando verso Palermo sul colle di Bassano, fino ai primi anni del Novecento venivano ancora attestati pochi ruderi possibilmente appartenenti ad un antico caseggiato, andato in rovina e poi successivamente distrutto per far posto a una cava di pietra.

Il sito già nell’Ottocento, era stato oggetto di numerose ricerche archeologiche, portate avanti dal Barone Friddani, per incarico dello storico Michele Amari, rinvenendo una quantità di frammenti di antichi edifici in pietra ed in mattoni, come pure vasellame e monete greco-fenicie, avanzi certamente di una città antichissima.

Resta però ancora controversa la posizione del castello, in quanto Ibn Jubair, lo indica ad una distanza da Palermo di circa una parasanga (circa 6 Km) e collocato sulla costiera del fiume, così si legge nella traduzione fatta del Riḥla: ma come osserva l’Amari, in sito non si trovano elementi altimetrici riconducibili alle circostanze che Jubair notò.

Per tale ragione lo storico indica la distanza da Palermo, invece a due leghe (circa 10 Km), identificando il Qasr Sa'd con il Castello situato sulla vicina collina della Cannita.

Entrambe le versioni, lasciano comunque ancora aperti interrogativi e riflessioni storiche da cui partire, per indagare alla scoperta di nuove ed importanti testimonianze arabe presenti sul territorio, sulle tracce dai grandi viaggiatori arabi del passato.
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