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Venditti aveva antenati nobili e palermitani: aiutavano i poveri e "cacciavano" le lucciole

Dalla Liguria giunsero in Sicilia nel '500: si spesero per i poveri e per redimere le meretrici ma Palazzo Roccella fu trasformato nel '900 in casa di tolleranza

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 20 marzo 2023

Antonello Venditti

Il noto cantautore Antonello Venditti, in un’ intervista del 2019, ha raccontato con orgoglio di avere un po’ di sangue siciliano nelle vene: la nonna materna Margherita infatti era moglie di un principe palermitano, un Rivarola di Roccella, amico dello scrittore Luigi Pirandello. I Rivarola sono, secondo la tradizione, originari della Liguria.

La famiglia aveva il possesso del castello di Rivarolo - da cui prese il nome - nel parmense e vantava la concessione del titolo di nobile del Sacro Romano Impero, fatta nel 1496 dall’imperatore Massimiliano. I fratelli Agostino e Pietro Rivarola si trasferirono a Palermo nel 1560 e furono i progenitori della famiglia Rivarola in Sicilia.

I Rivarola diventarono però principi di Roccella per un caso fortuito. Nei diplomi medievali Castrum Roccellae era la fortezza posta a guardia della costa di Cefalù. La “licentia populandi”, ossia il permesso di fondare un centro abitato, venne dato nel 1699 dal re di Spagna e Sicilia Carlo II a don Gaspare La Grutta e Guccio, che per ottenerlo pagò 200 onze.
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Il nuovo paese fu chiamato Roccella e il principe fece costruire la chiesa, un centinaio di case, una decina di botteghe e una fontana. Don Gaspare era principe di nobiltà recente e non era molto ricco: fece debiti per costruire il centro abitato.

Quando il 5 Settembre 1728 Gaspare La Grutta morì senza aver avuto figli, ne divenne successore il nipote Gaspare Rivarola e Giardina, figlio di Anna La Grutta e di Francesco Rivarola, barone di Rafforosso.

Gaspare Rivarola ricevette l’ investitura il 10 Novembre 1728, diventando secondo principe di Roccella; egli sposò Rosalia Vanni e Zappino dei Marchesi di Roccabianca e fu governatore del Monte di Pietà di Palermo.

La coppia possedeva una “nobil podere alli Ciaculli, contrada tre miglie distanti da Palermo” con casena e tredici salme di terra, una sorgente d’acqua e un orto. Sul portone del podere si leggeva il motto “Sibi et amicis” voluto dal precedente proprietario, il La Grutta: villino di delizie per sé e per gli amici.

Il principe di Roccella era molto religioso e nel 1750 fondò col marchese di Marineo e il sacerdote Isidoro del Castillo una casa destinata agli esercizi spirituali di San Ignazio di Loyola, per le dame e le donne oneste. Il del Castillo, parroco dell’Albergheria, era uomo di somma virtù, fondatore dell’istituto d’istruzione ed emenda e di una casa di Educazione o Collegio di Maria, creata per “raddrizzare al buon sentiero le donne peccatrici”.

Il principe Gaspare di Rivarola istituì inoltre con il del Castillo, una lega di ecclesiastici e laici “che si diede a combattere le meretrici randagie che brulicavano nel distretto dell’Albergheria più che altrove” (L. Sampolo). “La lega” aveva lo scopo di dare la caccia di notte alle donne "disoneste", andando in giro per le contrade da esse più frequentate, addentrandosi nei vicoli più pericolosi, per cercare di redimerle.

Questa iniziativa non ebbe però lunga durata perché lo zelo dei congregati andò in breve tempo a intiepidirsi e tutto tornò come prima. Gaspare Rivarola morì a Palermo il 14 Aprile 1764 ed erede ne fu il figlio Francesco Rivarola e Vanni, investito nel 1764 del titolo di terzo principe di Roccella. Come diversi altri aristocratici, Francesco Rivarola si spese molto al servizio dei poveri di Palermo.

Nel 1763 l’autorità del governo decise di “purgare” la città da i poveri, forzandoli a ricoverarsi nei locali dello Spasimo: il 23 Dicembre spontaneamente vi si ritirarono 300 poveri (100 donne e 200 uomini). Venivano mantenuti dalla deputazione dell’albergo dei poveri con 4 grani a testa di pane e con due minestre ogni giorno.

A seguito di un bando del Vicerè uscirono per i quattro quartieri Francesco Rivarola principe della Roccella, il principe di Granmonte Ventimiglia, il principe di Lercara e il principe di Linguaglossa e assistiti ciascuno da un soldato di truppa regia, da uno "sbirro" e da due poveri, posero mano a prendere tutti quei poveri che per strada incontravano ad elemosinare e “forzandoli a non andar vagabondi, li rinserrarono nell’albergo". (Villabianca).

Al 10 Marzo i poveri rinchiusi erano 1200. Francesco Rivarola ebbe due fratelli religiosi: Giuseppe Rivarola e Vanni, nato nel 1739, sacerdote, che nel 1774, a 35 anni fu eletto parroco della chiesa di San Nicola all’Albergheria - dopo la morte di Ignazio del Castillo - e che fu Vicario Generale; e Gaspare Rivarola e Vanni, nato nel 1753, che fu monaco benedettino e teologo.

Fu educato nel monastero di San Martino dove fece la sua professione monastica e dove divenne priore; fu creato poi abate del monastero di Santa Flavia di Caltanissetta e in ultimo ricoprì la carica di abate dell’antico monastero di Monreale. Fu anche Vicario Generale e si dedicò agli studi di filosofia e teologia.

Morì a 70 anni nel 1822, nel convento dello Spirito Santo. Lasciò diversi manoscritti di argomento filosofico, che per sua espressa volontà non vennero mai pubblicati, né furono concessi agli studiosi per consultazione, ma furono chiusi nell’archivio del monastero di San Martino: la ragione di tanta segretezza rimane ignota ma fu dettata probabilmente da prudenza.

Il Rivarola era discepolo del famigerato teologo e filosofo siciliano Vincenzo Miceli, contro cui si era schierata la scuola metafisica e teologica di Monreale. Gaspare Rivarola e Termine III principe di Roccella il 14 Gennaio 1822 ottenne attestato di nobiltà dal Senato di Palermo e fu padre di Gaspare IV principe di Roccella che sposò Antonia Scimonelli.

Gaspare Rivarola VI principe di Roccella nato nel 1848, rimase celibe. Erede del casato divenne il fratello don Umberto, nato nel 1863, che sposò Aurelia Benso e Benso dei duchi della Verdura ed ebbe 6 figli: don Gaspare 1894, donna Gelsomina 1896, don Ettore 1904, don Gio Battista 1898, don Giuseppe 1899 e don Guido 1902.

Tra questi dovrebbe esservi anche il nonno di Antonello Venditti. La casa magnatizia dei Rivarola, Palazzo Roccella esiste ancora oggi, si trova al numero 137 di Via Vittorio Emanuele, ma non appartiene più da molto tempo alla famiglia. L’edificio venne edificato alla fine del Cinquecento: diversi proprietari e tante vite si sono incontrate e scontrate nei suoi saloni.

Nei primi decenni del Novecento e fino al 1958 (anno in cui entrò in vigore la legge Merlin, che aboliva la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di meretricio) il bel palazzo era la casa di tolleranza frequentata dalla migliore società di Palermo.

Il Roccella, gestito da Teresa Valido, era ricco di salottini civettuoli e di camere“ per poter varcare quella soglia, bisognava vantare perlomeno due quarti di nobiltà. Come per diventare soci del circolo Bellini...” (N. Aspesi).

Il palazzo con elegante facciata manieristica, dopo esser stato ristrutturato, risulta oggi suddiviso in 17 appartamenti, che vengono spesso affittati ai turisti: se le pareti potessero parlare, chissà quante storie avrebbero da raccontare, potrebbero ispirare magari anche una canzone di Antonello Venditti.
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