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Ciprì: "Ero stanco di aspettare e ho girato in Puglia"

«Palermo me la porto dentro e non me ne potrò mai staccare. Continuerò a portarla con me, attraverso i personaggi, ma non attraverso la città stessa»

  • 17 settembre 2012

É stato Daniele Ciprì, viene voglia di dire: esce ufficialmente nelle sale venerdì 14 settembre il nuovo film del regista palermitano, che ha conquistato la Mostra del Cinema di Venezia, portando a casa il premio Osella per la Migliore Fotografia. "É stato il figlio" è il suo adattamento per lo schermo dell'omonimo romanzo scritto da Roberto Alajmo, una storia che più palermitana non si può, ambientata negli anni Settanta. E girata in Puglia. Luogo della discordia, a quanto pare, viste le polemiche nate nel corso della conferenza stampa di presentazione del film di giovedì 14 settembre.

«Non mi è stato possibile filmare a Palermo - dichiara Ciprì - e non filmerò mai questa città, perché non ho un rapporto estetico con essa, non ci riesco». Ma non ci si accontenta di queste parole, e le domande incalzano, ricordando i sogni di gloria cinematografica legati ai Cantieri Culturali alla Zisa e a Termini Imerese. «Ero stanco di aspettare - continua il regista - volevo distaccarmi da questi luoghi che mi avrebbero risucchiato. Non c'è un Daniele Ciprì politico, io voglio fare il cinema».

Alla sua voce si aggiunge quella della compagna, Miriam Rizzo: «Abbiamo aspettato un anno per poter girare il film in Sicilia, ma ci hanno chiuso le porte in faccia. Palermo non merita il nostro film». Parole cariche di delusione, ma anche di rabbia e consapevolezza. Nessuna forma di "snobismo" artistico, quindi, niente politica nel senso più puro del termine, ma materiali difficoltà in una terra difficile. Lo sfondo è sempre quel rapporto di amore e odio, che solo un posto come la Sicilia sa generare, in coloro che qui sono nati, ma anche in quanti ci si ritrovano a vivere più o meno per caso.

«Palermo me la porto dentro - ha continuato Ciprì - e non me ne potrò mai staccare. Sicuramente continuerò a portarla con me, attraverso i personaggi, ma non attraverso la città stessa». Parlare di Palermo, quindi, ma non a Palermo, che trova comunque un modo per imporsi, attraverso il dialetto, ad esempio, a tratti cattivo, o certe inquadrature, ricostruite da un regista indubbiamente visionario, che ci tiene a definirsi un sognatore. «Ha un immaginario incredibile - conferma Fabrizio Falco, giovane talento che alla Mostra del Cinema di Venezia ha vinto il Premio Mastroianni - quando ti spiega il film ha la capacità di farti entrare in una scatola che ha dentro la sua testa».

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