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Francesco Cascio: dall'Ars un medico in Congo

Francesco Cascio, da Presidente del Parlamento Siciliano è tornato a fare il medico per la missione umanitaria "Ali per Volare", coordinata da Rino Martinez

Balarm
La redazione
  • 27 ottobre 2011

Pensate ad uomo di potere. Potere di quelli importanti. Adesso, immaginate quell’uomo spogliarsi di responsabilità, incombenze, autorità. Per 15 giorni. Trasferirsi in missione umanitaria in Congo. L’uomo di potere è Francesco Cascio, che da Presidente del Parlamento Siciliano è tornato a fare il medico, assecondando i suoi studi, e la missione umanitaria è quella di “Ali per Volare”, coordinata dal cantautore e missionario Rino Martinez.

«Ho sempre avuto l’idea di andare in missione, ho sempre desiderato andare in Africa a fare il medico. - spiega il Presidente - Mi è sempre mancato il tempo e il coraggio. A giugno Rino Martinez ha presentato in sala Gialla (di palazzo dei Normanni, n.d.r) i risultati della sua precedente missione. Mi ha chiesto pubblicamente di partecipare alla missione... io mi sono avvicinato e incuriosito... e ho acconsentito a lasciarmi andare. Mille volte ho pensato di abbandonare l’intenzione: temevo di non farcela fisicamente, di stare 15 giorni in quelle condizioni. Ma qualcosa dentro mi imponeva di andare fino in fondo».

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Diceva Madre Teresa che l’amore è una medicina. Quello dato, quello ricevuto. «Spogliarsi della carica istituzionale e tornare “un uomo” e basta, per di più “abbrutito” a causa delle condizioni, è stato come vivere un film lontano anni luce dalla mia vita normale. - continua - In quei giorni con la mente, oltre che fisicamente, ero in un’altra dimensione rispetto alla mia vita reale: da un lato ciò mi ha portato a vivere un’esperienza nuova e straordinaria, dall’altra a superare una serie di problematiche fisiche, come lo stress. In una situazione come quella lo stress non è previsto, semplicemente perché non ce lo si può permettere. Ancor di più, non avevo bisogni, non avevo esigenze personali. In un simile contesto di povertà e sofferenza, non pensi a nient’altro che a dare: lo stimolo privato è assente».

Probabilmente questo perché gli stimoli attivi sono dettati dalla voglia di dare e di fare. Del resto, come scrive la scrittrice giapponese Banana Yoshimoto “il corpo sa tutto”. La missione, che si ripete ogni tre mesi, aveva per le due settimane tra l’8 e il 20 settembre, scopi precisi: vaccinare i bambini, curare i malati di pian (in italiano Framboesia, una malattia contagiosa dei paesi tropicali, dovuta a un treponema, con decorso simile alla sifilide,n.d.r.), curare i lebbrosi curabili, mettere la prima pietra per un centro per la malnutrizione ad Enyéllé, i cui lavori saranno realizzati entro dicembre 2012 (finanziato interamente dal Centro Studi Salvo D’Acquisto Onlus), costruire un nuovo orfanotrofio a Brazzaville.

«Mi sono sentito pulito, anche se non c’era acqua... - riflette Francesco Cascio - Stavamo anche due/tre giorni senza fare la doccia. Quando eravamo nella foresta ci alzavamo prestissimo. Non essendoci la luce, la giornata inizia quando fa giorno e finisce quando fa buio. Tra candele e gruppi elettrogeni tiravamo fino alle 11. Ci alzavamo all’alba anche perchè erano le ore in cui avevamo a disposizione l’acqua. Davvero, lì comprendi quanti beni di prima necessità dai per scontati...Meno male che da Palermo mi ero portato le barrette energetiche. Eravamo in 14 su una jeep, le strade non battute, i percorsi impervi, tra capanne di fango e bambù. Ad Enyéllé avevamo un ospedale da campo senza luce né acqua. Solo buona volontà. In questo ospedale facevamo le terapie. Quando eravamo nei villaggi nel centro della foresta equatoriale le giornate erano ancora più complicate … noi andavamo a vaccinare in un lebbrosario, caldo e maleodorante. Cercavo nello zaino di non farmi mancare guanti, mascherine e salviettine detergenti».Tra i “14 della jeep”, a bordo anche Stefania Petyx, inviata di “Striscia la Notizia”, che ha documentato tutto. Le puntate in cui hanno diffuso i servizi sono state ben sei, tra cui sabato 1 ottobre, sabato 8 ottobre e sabato 15 ottobre.

«Questa esperienza è personale e non si può imporre, fa bene a sentirsi più utili in questo mondo, non si può biasimare chi non la fa: è come chi fa sport, chi non lo fa non è criticabile, solamente non se la sente. Non se la sente di affrontare una profilassi infinita prima del viaggio, che a sua volta, costa oltre 3000 euro solo per il biglietto. Lasciare il lavoro (sebbene in quel periodo l’assemblea era chiusa, aperta solo per le commissioni parlamentari) e la famiglia (Giuseppe, il mio bimbo più piccolo, non ha vissuto bene la mia assenza, non ha dormito mai) per andare incontro a difficoltà e impedimenti di ogni genere. Di contro, il mio lavoro è costantemente soggetto a giudizio: lì quello che facevo era ben accetto da tutti. Quando aiuti nessuno di guarda di traverso!La prospettiva cambia a seconda del contesto. Questa esperienza mi ha modificato la percezione della scala di priorità».

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