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"Acqua e zammù, prima io e poi tu": Palermo e un antico rituale al profumo di anice

Le sue origini risalirebbero all’epoca degli Arabi in Sicilia e già allora si otteneva dai semi di anice stellato. Ancora oggi si consuma con acqua "agghiacciata". La sua storia

  • 29 giugno 2021

L'acquavitaro a Palermo

Nei mesi già particolarmente caldi dell’estate siciliana, a parte le ondate di afa torrida puntuali ogni anno, il ristoro per eccellenza, da tempo immemorabile, è sempre stato - e lo rimarrà a lungo secondo noi - uno solo: la celeberrima acqua e zammù.

A questo binomio di sicuro effetto dissetante e rinfrescante, seguiva l’altra parte del mantra della tradizione siciliana e cioè “prima io e poi tu”, che stava ad indicare il turno fisico per ricevere prima la bevanda davanti ai rivenditori, i cosiddetti acquavitari o "acquafrescai" o "porrazzieri", avvezzi alla vendita di acqua ed estratti di erbe a vario titolo.

Sebbene in commercio, a livello europeo, vi siano bevande che mantengono la tradizione del gusto anice, come il Pernod francese, risalente agli inizi dell’800, o il marsigliese Pastis, inventato da Paul Ricard nel 1932 - entrambi frutto di mescolanza con altre erbe aromatiche - lo zammù è storicamente la bevanda all’anice più antica.
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Le sue origini, infatti, risalirebbero addirittura all’epoca della permanenza degli Arabi in Sicilia e già allora si otteneva dai semi di anice stellato, introdotti nell’Isola, precedentemente, dai Greci.

Il termine "zammù" invece deriverebbe dal nome del sambuco, un digestivo realizzato per l’appunto con fiori di sambuco (storpiato in zambuco e poi troncato in zammù) e anice, che i palermitani sorseggiavano a fine pasto, come digestivo.

Nei secoli quando si dice zammù significa gusto anice.

La ricetta autentica e tradizionale prevedeva la presenza di un chicco di caffè, detto la mosca, all’interno del bicchiere. Dalla creazione della ricetta, e per i secoli successivi, l’estratto si ottenne dall’infusione, per circa dieci minuti, dei frutti della pianta.

E la scoperta della gradevole bevanda fu, come sempre, casuale.

Si dice che l’invenzione si debba all’arabo-siracusano Sogehas Ben Ali’, il quale procedendo nella pratica di disinfezione dei pozzi d’acqua, per mezzo di un distillato di fiori e semi di sambuco, ne scoprì il confortevole sapore.

Da quel momento la pratica prese campo e le famiglie siciliane mantennero l’abitudine nel tempo. Probabilmente lo stesso nome di Sambuca di Sicilia sarebbe da ricondurre alla massiva presenza della pianta nei pressi del lago Arancio.

La svolta decisiva avvenne ad inizio ‘800, precisamente nel 1813, anno che segnò l’inizio della produzione industriale dell'anice distillato, ampliando la produzione e, soprattutto, la resa organolettica del prodotto.

La nascita di questa essenza dal colore e della consistenza lattiginosa avvenne proprio a Palermo, in una tabaccheria che allora si trovava a piazza Rivoluzione.

Titolare era la famiglia Tutone che diede vita al primo laboratorio per l’imbottigliamento dell’anice puro. Fu la svolta.

Ogni famiglia, infatti, a corredo della casa aveva una bottiglia di distillato, indicato ovviamente come “anice unico Tutone”, divenuto produttore di riferimento.

La tabaccheria divenne luogo di ritrovo e consumo della fatidica “acqua agghiacciata e zammu”, facendo incontrare tutti gli stati sociali dell’epoca: aristocrazia, borghesia e popolo.

Per quanto questa bevanda abbia fatto la storia dell’Isola, il suo consumo intorno agli anni ’70 calò con l’arrivo delle più commerciali bevande gassate.

La famiglia Tutone, però, con le nuove generazioni - se ne sono alternate finora sette - nel tempo ha mantenuto la tradizione, iniziata, nel 1760, con Tommaso Titone, acquavitaro e produttore di “petrafennula”, e Giuseppe Titone.

L’attuale stabilimento Tutone - che si trova ancora a Palermo - custodisce in una cassaforte l’antica ricetta che, ovviamente, non viene mostrata a nessuno, per un distillato che, per la sua fama, è arrivato ad essere venduto persino a Montecitorio.

Oggi il prodotto si trova declinato in tante versioni ma per tutti resta unico il ricordo, che è ancora realtà, della nuvoletta di gocce bianche che si mescolano nell’acqua, preludio di freschezza e di antica sicilianità.
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