LE STORIE DI IERI

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Chiare fresche ed anche magiche le acque della Città felice

  • 30 marzo 2006

I maestri d’acqua, gestori d’una infinità di catusi d’argilla e delle quasi misteriose torri che svettano ancora nel tessuto urbano, furono molto più che operai addetti alla distribuzione idrica. E l’esistenza di tali specialisti è ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, del rispetto che per le nostre vitali linfe si nutrì dai tempi più lontani, passando per il solco della rinomata tradizione araba. Perché se la città fu per secoli undique felix et ferax, felice e fertile in ogni sua contrada, ciò fu certo dovuto all’utilizzazione sapiente e accorta delle sue numerose fonti e dei suoi corsi d’acqua. Tutti amorosamente censiti dal Marchese di Villabianca nella preziosa "Fontanografia Orotea" ora reperibile in libreria. Acque, peraltro, tutte in qualche modo riconducibili alla storica e grande arteria che fu il fiume Oreto, alimentato da ben undici affluenti lungo i suoi pittoreschi venti chilometri di percorso. Dalle alture di Aquino, Pioppo e Altofonte fino alla foce sulla quale un tempo volarono gli aironi e i falconi barbareschi di molti viceré cacciatori. Fu così inevitabile che tradizioni e leggende contribuissero a fare attribuire a fontane e pozzi giustificate salutari virtù ma anche magiche qualità. A cominciare da una delle occasioni perdute di Palermo che è rappresentata dall’acqua minerale e risanatrice che sgorgava nella solare borgata dell’Acquasanta . E che ormai, irrimediabilmente inquinata, continua a perdersi dentro un super attrezzato porticciolo turistico sul quale si affacciano i ruderi di una rinomata stazione termale gestita fino ai primi del novecento da due intraprendenti sacerdoti. Una realtà curativa dalle mille virtù e che avrebbe potuto fare del posto una località apprezzata e fiorente quanto Montecatini e Fiuggi. Quanto, poi, alla magia di innumerevoli pozzi e sorgenti occorrerebbe un grosso volume a volerla ricordare insieme con tante storie inevitabilmente miste di reale e soprannaturale. Basti qui citare le fonti scaturite dal sangue dei due mitici guerrieri che si disputarono le virtù della bianca ninfa Baida.

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Insieme al pozzo della scomparsa chiesa di Sant’Agatuzza, la cui acqua almeno una volta all’anno, nell’anniversario del martirio della vergine palermitana, assumeva l’aspetto e perfino il sapore del latte. E ancora oggi la devozione popolare fa attingere liquido risanatore d’ogni male ad un modesto rubinetto della chiesa di San Giuseppe dei Teatini. Mentre pochi sanno della romantica malìa connessa all’altrettanto perduta “vena” del Garraffo. Scomparsa sotto le basole della Vucciria che muore, e della quale bastava far bere un sorso a chi si voleva far restare definitivamente innamorato di Palermo e della sua gente. Virtù eccezionali che ancora oggi fanno preferire l’acqua delle poche residue fontanelle comunali a quella tecnologicamente depurata e resa potabile dal locale Ente Acquedotto. Una di queste, ormai scomparsa, creò per anni ingiustificati e inestricabili ingorghi sulla via della Cala. Dove notte e giorno, forniti di enormi bidoni, i palermitani attingevano acqua della quale essi non finivano di decantare le virtù che la rendevano di molto preferibile a quella dei “cannoli” delle loro cucine. Fontanella che naturalmente attirò la curiosità di Rosario La Duca, il più autorevole dei palermitanisti contemporanei. Il quale decise di farne esaminare una bottiglia da un attrezzato laboratorio d’analisi. Ovvio che l’esito di tale esame fu tale da fare assimilare perfettamente l’acqua della Cala a quella dell’attuale Amap. Forse perfino con qualche pecca in più. Ma della quale, se non ricordiamo male, il nostro cattedratico evitò di scrivere. Un poco per non creare pubblico allarme. Ma vogliamo credere, soprattutto, per non togliere agli amati concittadini una delle ultime illusioni relative alla magia e alla salubrità di quanto ci arriva dalla notte dei tempi tramite la vena inesauribile dell’Oreto. Il nostro inquinatissimo Old Man River che i ragazzi di Palermo ma anche fior di intellettuali non solo locali ora vorrebbero – ciò che non è impossibile – restituire all’intera Umanità. Oltre che a questa città adesso un poco meno felice rispetto ai tempi di Baida la bianca e di Sant’Agatuzza.

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