LE STORIE DI IERI

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Un orologio di tela a Porta Nuova

Un orologio davanti al quale e per anni in tanti sostarono col naso all’aria e il “cipollone” tascabile in mano

  • 16 novembre 2004

Anche se adesso troppi orologi monumentali della città rimangono solo elementi decorativi dei palazzi pubblici e delle torri campanarie di poche chiese, ci fu un tempo nel quale lo scoccare delle ore segnato da tali congegni fu prezioso per quanti un orologio in casa o addirittura nel taschino del panciotto non se lo sognavano nemmeno. E alcuni dei decorati quadranti di tali sentinelle del tempo furono ben noti ai palermitani. Compreso quello temibile dell’Inquisizione, che stava sul prospetto dello Steri e che per voce popolare segnava tutte le ore tranne quelle della liberazione per i prigionieri più sfortunati del Sant’Uffizio. Ma ce ne fu uno, forse il più originale di tutti, che pur avendo svolto utilmente il suo ruolo fino ai primi anni quaranta del secolo scorso risulta quasi sconosciuto a molti palermitani d’oggi. Si trattò d’una specie di meridiana che solo uno di noi dalla geniale inventiva avrebbe potuto immaginare. Un segnatempo fatto addirittura di stoffa, e finanziato dal Comune, che invece di stare a guardare uno per uno i minuti che passavano, esprimeva dall’alto di Porta Nuova un’unica quotidiana certezza cronometrica.

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Un orologio davanti al quale e per anni in tanti sostarono col naso all’aria e il “cipollone” tascabile in mano, con totale fiducia nella precisione cronometrica dell’invenzione. Mi riferisco al congegno che metteva in atto ogni giorno una particolare “calata della tela” ovviamente assai diversa da quella sublime della notte di Pasqua. E furono in parecchi quelli della mia generazione che trassero meraviglia dal racconto che in merito ci regalarono i nonni. Dai quali apprendemmo che sul lato orientale della gran porta attraverso la quale entrò in città Carlo V ci fu appunto un grezzo telone di canapa che allo scoccare del mezzogiorno e a lungo permise ai palermitani di regolare gli orologi “al secondo spaccato”. Succedeva così quotidianamente che poco prima delle dodici, tramite un ingegnoso sistema, veniva sollevato davanti all’aquila senatoria un panno molto più grande d’un lenzuolo. Poi, quando dal vicino osservatorio astronomico legato alla memoria di Giuseppe Piazzi arrivava la certezza del mezzogiorno, un solerte impiegato comunale faceva scattare la molla che in un attimo riportava la tela ad avvolgersi dentro il proprio alloggiamento.

Secondo Rosario La Duca, che di tale orologio scrisse con inarrivabile arguzia venata di malinconia, pare che anche il sagrestano della cattedrale dall’alto della sua torre neogotica lo tenesse d’occhio per scatenare al momento più giusto lo scampanio di metà giornata. I nostri vecchi si rammaricarono della fine di quella bella consuetudine che coincise con l’inizio dell’ultima guerra, tragico lasso di tempo che in fondo non valeva più nemmeno la pena di segnare. Anche se adesso niente vieta ad un qualsiasi palermitano di rinnovare l’usanza per conto proprio. Magari opportunamente nascosto dietro il tronco d’una palma di Villa Bonanno. Con un occhio a Porta Nuova e l’altro al campanile della cattedrale, e malgrado l’impossibilità di cogliere il balenio bianco d’una tela irrimediabilmente finita tra tante altre care anticaglie. Ma la relativa “scampaniata” della Cattedrale l’eventuale e un po’ patetico cultore del tempo perduto potrà sentirla ancora. Per regolarci tanto inconsuetamente un moderno cronometro. Anche se nemmeno più in base all’egualmente scomparso segnale del mean time di Greenwich. Accontentandosi, per interposta campana, dell’istante segnato da un superpreciso ma del tutto indifferente orologio atomico di chissà dove.

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