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Le donne siciliane nel cinema in 40 anni di stereotipi: brune, ignoranti (e sottomesse)

Nelle pellicole cinematografiche degli anni '50 e '70 le siciliane appaiono mute, arretrate e con lo sguardo basso, ma il ruolo della "vera fimmina" è oltre i cliché

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 25 aprile 2024

“Malena”, 2000, Giuseppe Tornatore

Carmelina, Assunta, Rosalia, Apollonia, Angela, Malena.

Sono brune, procaci, per lo più mute, con lo sguardo basso, sono le donne siciliane in tante pellicole cinematografiche, stereotipi e caratterizzazioni, inserite in un gineceo fatto di mamme, nonne, sorelle, zie, grottesche nella loro bruttezza, baffute, grasse e vestite di nero.

Sono i modelli femminili siciliani andati in giro nel mondo, rappresentanti di un'Isola volutamente artefatta. Dalla fine degli anni cinquanta sino a oltre gli anni settanta, racconteranno un universo femminile fatto di sudditanza e vuoto.

Il regista Pietro Germi disse più volte che la Sicilia era l'ambiente ideale perché esasperava i caratteri degli italiani "La Sicilia è Italia due volte" una terra tragica che diventa tristemente comica.

Se in "Sedotta e Abbandonata", il regista genovese disse che il film era come una cassata siciliana «fatta di tanti elementi, che potrebbe rimanere indigesta per chi non ha lo stomaco forte», ed effettivamente a molti il film rimase indigesto.
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La pellicola diventa in questo caso, metafora di quei segni di arretratezza del nostro Paese, come l'art. 587 sul Delitto d'Onore. Sono immagini di arretratezza, analfabetismo, perpetuazione di barbarie dei propri costumi.

Non a caso in "Divorzio all’Italiana", il film si apre con il monologo del Barone Cefalù, Marcello Mastroianni, che descrive il suo paese in questi termini «Agramonte, 18.000 abitanti, 4.300 analfabeti, 1.700 disoccupati, 24 chiese» una scenografia perfetta nel quale architettare l'uccisione della moglie facendolo passare come delitto d'onore, tutto per sposare la giovanissima cugina Angela, sedicenne.

Nel macchiavellico progetto, Angela sarà una pedina che avrà un impeto di autodeterminazione solo alla fine del film quando di nascosto al marito farà piedino, in un bikini succinto, a un giovane e aitante mozzo.

Abusati modelli anche quando i film non saranno girati sull'Isola, basta che ci sia una giovane siciliana e riparte il binomio sesso/potere, come nel caso dei "Soliti Ignoti", ambientato a Roma dove "Ferribotte" un siciliano (in realtà l'attore era sardo), per tutto il film ripeterà ossessivamente «milioni non bastano» rivolto a tutti gli uomini che anche incidentalmente si troveranno anche solo a parlare con la sorella Carmelina (Claudia Cardinale).

Seguendo questa filmografia, anche la "Ragazza con la Pistola" interpretato da Monica Vitti diventa parodia, a iniziare da un lessico siciliano ridicolo, dove la protagonista dalla lunga treccia nera, per la maggior parte del film userà il termine «motto, mammo» al posto di morto e marmo, ritenendo lettera R estranea al siciliano.

Dall'ossessione per l'onore perduto la protagonista si libererà solo nel momento in cui dimenticherà i presunti mores della sua terra d’origine, abbracciando il vivere moderno della civile Inghilterra, infliggendo comunque una vendetta al suo seduttore, non più con la pistola, ma con l'umiliazione.

La commedia all'Italiana veicolerà la donna siciliana come oggetto di desiderio, primitiva e ancestrale. È un lungo set che durerà decenni sino ad arrivare alla discutibile commedia erotica di fine anni settanta dove l'ambientazione sarà spesso la Sicilia come in "Malizia", citando il più famoso di quel filone.

Un discorso a parte merita Malena che comunque "strizzerà l'occhio a quel filone erotico, quasi un omaggio postumo", dove non mancheranno pruginosi adolescenti, una bellezza sensuale che nasconde ancora una volta fragilità, rendendo la protagonista una vittima predestinata.

Una narrazione femminile che dimentica le raffinate, intelligenti, colte e bellissime donne siciliane che hanno dato spessore a una Sicilia diversa: grandi signore, scrittrici, poetesse, imprenditrici, artiste, fotografe che hanno raccontato una femminilità dove il corpo non era l'elemento principale e soprattutto non erano solo cornice.

Donne coraggiose come nel caso di Franca Viola che pur appartenendo a un mondo rurale e povero seppe far valere la sua scelta.

Donne siciliane che avranno un peso anche nella religione quasi offuscando i Santi maschi: dalle quattro antiche protettrici di Palermo, a Rosalia, Lucia, Agata; tutte donne dotate di coraggio e forza che s'imposero senza paura.

Torniamo alle pellicole che hanno spesso fabbricato una Sicilia derisa e catalogata da un "continente" che la giudicava come terra esotica e come giustamente è stato scritto, la relegava a un "altrove interno".

Quell'Africa in casa da cui prendere le distanze etichettandola. Queste pellicole lungi da rassicurazioni colte e raffinate di registi e intellettuali, hanno bloccato e mistificato la Sicilia.

Non sorprende che questi film non furono apprezzato sull'Isola, dove la narrazione era di una terra arretrata preda di pulsioni, passioni e violenza, dove un eros dominate determinava e regolava tempo spazio, dimenticando che in quegli stessi anni si discuteva e si votavano leggi che avrebbero per sempre cambiato il ruolo della donna italiana.

Un modello arcaico che però diventava funzionale a un Nord che nel confronto si autocelebrava contribuendo a far persistere la questione meridionale.

Donne siciliane diventate cliché necessario a raccontare una Sicilia inventata, mi tornano in mente alcuni versi di una giovane poetessa siciliana: «Occhi profunni e mani travagliati… gilusa ra so famigghia e si fai mancanzi idda s’à pigghia, u curi ti runa… Idda è sustanza ri tutti li cosi».

Ed è a questa sostanza che penso ogni qual volta, rivedo quelle vecchie pellicole, dove omini dai capelli corvini impomatati, lascivamente le raccontavano nei circoli, dimenticando che nel bene e nel male e al netto di cliché presunti o inventati, sono sempre state la vera forza di questa terra.
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