ARTE E ARCHITETTURA
Cela una delle storie più affascinanti in Sicilia: l'antica abbazia tra uliveti e colline
Non era un’abbazia qualsiasi. Un racconto ricco di santi, imperatori, contese papali, terremoti e trasformazioni aristocratiche in un luogo lussuregiante. Ecco dove

L'abbazia di Roccadia
Oggi rimane solo una piccola chiesa, ma dietro a quei pochi resti si cela una delle storie più affascinanti dell’intera Sicilia medievale. Un racconto ricco di santi, imperatori, contese papali, terremoti e trasformazioni aristocratiche, che merita di essere ricordato nella memoria collettiva dell’Isola.
La sua fondazione risale al 1176, ad opera dei monaci di Sambucina. Così, la storia dell'Abbazia di Roccadia di Carlentini ebbe inizio nel XII secolo, anche se alcune fonti storiche la collocano qualche secolo prima. Il primo documento scritto che la menziona risale al 1220, quando l'abate era Nivaldo Sclafani.
Si tratta di un atto federiciano che elenca i beni dell'abbazia, incluso il monastero di Roccadia. Roccadia non era un’abbazia qualsiasi. La sua posizione strategica, che collegava Catania a Siracusa, e le sue ampie proprietà la resero per secoli un centro religioso ed economico di fondamentale importanza.
I monaci cistercensi, noti per la loro laboriosità e il rigore spirituale, bonificarono le terre, introdussero nuove tecniche agricole e gestirono un sistema organizzato che comprendeva grange, mulini e magazzini. Il XIV secolo fu un periodo difficile per Roccadia.
Il declino dell’autorità imperiale, le dispute ecclesiastiche e le difficoltà economiche colpirono anche l’abbazia. Nel 1390, l’abate Antonio fu addirittura scomunicato per non aver versato le decime dovute alla Santa Sede.
Tuttavia, nel 1408, il complesso fu restaurato dal vescovo di Catania, Giovanni de Tharest, un segno che il luogo non aveva perso il suo valore. Purtroppo, nel 1693, un terribile terremoto distrusse gran parte della Sicilia orientale, e l’abbazia non fece eccezione, venendo completamente rase al suolo. I pochi monaci sopravvissuti trovarono rifugio a Carlentini, dove acquistarono i resti di un vecchio monastero femminile e trasferirono ciò che rimaneva della loro comunità.
Nel XIX secolo, il barone Giovanni Riso, un nobile di Palermo, decise di acquistare il sito e costruire una raffinata residenza di campagna sui resti dell’antico monastero.
La villa, che prese il nome di Palazzo Riso, era circondata da un lussureggiante parco dedicato a Maria Luisa, la figlia del barone. All’interno delle sue mura, il silenzio monastico si trasformò in vivaci feste aristocratiche e ricevimenti estivi.
Fu un periodo breve ma ricco di vita. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il boom edilizio degli anni Sessanta, l’intera area subì una profonda trasformazione. La villa venne abbandonata e infine demolita.
Oggi, di quella storica costruzione rimangono solo pochi ruderi, dai quali è possibile intuire la pianta originale. L’unica eredità visibile dell’antica Roccadia è la chiesa di Santa Maria, che, sebbene trasformata nel corso dei secoli, è ancora aperta al culto.
Con la sua navata unica e una sobria facciata a bugnato, custodisce al suo interno alcuni preziosi elementi artistici: oltre all’icona della Madonna del Melograno, ci sono un organo settecentesco, due tele coeve che raffigurano San Filippo Neri e la Sacra Famiglia, e tracce di affreschi ormai sbiaditi dal tempo.
Ogni anno, a settembre, la chiesa diventa un luogo di pellegrinaggi e processioni. La comunità di Carlentini, profondamente legata al culto della Madonna di Roccadia, custodisce con grande devozione quel legame antico tra la terra e la fede, tra la roccia e lo spirito. Oggi, visitare il sito dell’antica abbazia significa confrontarsi con la memoria.
Non troverai la grandiosità di un sito archeologico ben sistemato né la monumentalità delle cattedrali barocche, ma piuttosto un paesaggio ricco di memoria, mito e arte che, nonostante l’oblio, continua a raccontare la sua storia.
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