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Chi sono le "cattive" di Palermo: come nasce la passeggiata più famosa del Foro Italico

Fu in occasione dell'enorme calamità che colpì maggiormente la città di Palermo, che nacque come abbellimento della città distrutta una delle opere più suggestive

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 5 gennaio 2024

Le Mura delle Cattive a Palermo

Palermo, 5 marzo 1823. La città, l'isola intera di Sicilia sono scosse da un tremendo terremoto. L'antica capitale del regno è tra le più colpite dell'isola, in particolar modo il quartiere storico della Kalsa.

Riporta una cronaca del tempo: «A 5 marzo 1823, Giorno funestissimo per il Terremuoto. Alle ore 23.20. Un areo (sic.) surfureo, che diede una grande scossa di Tremuoto, che durò 22 minuti secondi, oscillando e saltando: non si può colla penna spiegare il terrore da per tutto, e la strage insieme, a vedere i palazzi e strade ad unirsi e ritornare ai loro posti per ben diverse volte in un atomo, osservando da diverse parti cader delle fabbriche e particolarmente nel quartiero della Kalsa».

Nell'attuale piazzetta Santo Spirito, la trecentesca chiesa di San Nicolò dei Latini, fu quasi rasa al suolo a causa del terremoto. In un antico canto popolare intitolato Lu tirrimotu di lu 1823 si legge «Rutta Casa Prufessa/ San Giuvannuzzu ancora/ la parrocchia a la Gausa/ comu si fussi fora».
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Da alcune piante della città di Palermo, antecedenti all'accennato sisma, si può notare come questa chiesa occupasse il posto della piazzetta di Santo Spirito.

Quindi prima del terremoto del 1823 nella parte finale del Cassaro "morto" non esisteva alcuno slargo e la via Toledo concludeva la sua corsa dritta sino a porta Felice.

Fu in occasione dell'enorme calamità che colpì maggiormente la città di Palermo, che si distinse l'animo e l'operosità dell'allora Luogotente di Sicilia Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco.

Si legge infatti nel suo Elogio storico: «Or tralasciando l'operosità del nostro Campofranco in tale luttuoso frangente, sino a correre a piedi per la desolata città onde rincorare i fuggenti, dare soccorsi ai morenti, frenare i malvagi che nel torbido cercavan pescare, ed a restituire la quiete, passiamo a far conoscere, come egli trasse utile da questa disgrazia per secondare il genio che avea di abbellire la città».

Tra le varie accortezze che il principe di Campofranco ebbe per la nostra martoriata città, pensò di creare un luogo ameno per diletto del popolo, dove poter rasserenare lo spirito gravato dai pesi che solo la vita sa dare.

«Uguagliata al suolo la cennata Parrocchia, perché irreparabile, venne ad allargarsi quel pianerottolo, che era dietro alla stessa, e pel quale, anziché salirsi, rampicavasi ad una traccia di strada impraticabile posta a piedi del parterre del Palazzo del Principe di Butera sopra il baluardo attaccato alla su riferita porta.

Ampliato il detto piano nacque l'idea al benemerito cittadino di ridurre ad amenissima passeggiata quella via di ortiche e terra irregolarmente ammonticchiata ripiena e ciò col doppio scopo di rendere dilettevole quel luogo pria negletta, e di apprestare lavoro a tanti operai, che per mancanza di fatica marcivano nell'indigenza».

Alla fine della pubblica opera si doveva apporre una targa recitante il distico latino del poeta Francesco Nascé: Moenia funesto quondam devota dolori/Aspectu Antoni nunc ilarata vides. Secondo una traduzione non letterale il distico assumerebbe tale significato: Le mura che un tempo causarono dolori fatali, ora sono rinnovate da Antonio (principe di Campofranco).

La targa non fu mai apposta. La passeggiata alla quale si fa riferimento è la nota Passeggiata delle "cattive" che tuttavia inizialmente non venne realizzata esclusivamente per esse, né tanto meno venne chiamata in questo modo, ma semplicemente “Pubblico parterre”.

Il luogo cittadino in cui le "cattive", cioè le vedove, si radunavano, dovette esistere già prima della costruzione della nota passeggiata ed era certamente situato tra le mura bastionate della marina e la cortina edilizia di sontuosi palazzi nobiliari tra i quali, ricorda Rosario La Duca, Palazzo Butera, Palazzetto Piraino, l'Hotel Trinacria, Palazzo Aceto Lampedusa ed altri.

Si accede al piano della passeggiata da due lati estremi che presentano una lunga rampa di scale e una cancellata in ciascun lato.

All'ingresso di piazzetta Santo Spirito ai lati della cancellata si vedono due piloni di tufo che sorreggono due erme grottesche scolpite da Girolamo Bagnasco nel 1827. Sulla strada della passeggiata si incontrano sedili e sulla balaustrata vasotti di pietra.

La guida di Gaspare Palermo descrive la passeggiata in questo modo: «Questo pubblico parterre [...] occupa esso quel luogo, che in dialetto siciliano "mura di li cattivi" addimandavasi, perché forse per essere un luogo segregato dall'abitato, ed in sito da potervisi respirare un'aria salubre, vi si recano le donne, cui eran morti i mariti, per isfogare a loro bell'agio il loro dolore, e ricrearsi in pari tempo l'abbattuto spirito respirando l'aria marittima, e guardando senza ingombro alcuno il bell'orizzonte che vi ha incontro».

Goliardicamente anche Gaetano Basile ricorda nel suo Dizionario sentimentale della parlata siciliana che la passeggiata sulle Mura delle cattive «Fu anche un'esposizione permanente di cuori infranti in attesa di consolazione».

Non bisogna mai dimenticare che spesso la "morte" va a braccetto con l'amore, magari a volte per mezzo di qualche paraninfo.

(Per approfondimenti confronta Elogio storico dell' Eccmo Don Antonio Lucchesi Palli di Girolamo Di Marzo-Ferro; Leggende popolari in poesia di Salvatore Salomone Marino; Guida istruttiva di Gaspare Palermo 1858; Giornale di scienze letterature ed arti per la Sicilia, Tomo XXXI, Anno VIII, luglio agosto settembre, 1830; Rosario La Duca La città perduta Vol. II pag. 41 e 42 – 54 e 55)
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