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Couscous dolce, muccunetti e olivette: la "sfida" a colpi di colesterolo delle suorine di Sicilia

All'ombra delle clausure monacali, fino a qualche decennio fa, si combatteva una vera e propria guerra. Senza spargimento di sangue, beninteso, ma di fiumi di colesterolo

  • 16 settembre 2021

La minna di vergine

All'ombra delle clausure monacali, fino a qualche decennio fa, si combatteva una vera e propria guerra. Senza spargimento di sangue, beninteso, ma di fiumi di colesterolo.

Le suorine, difatti, da un capo all'altro della Sicilia, battagliavano fra loro a suon di genovesi, ova murina, couscous dolce, minni di virgini, olivette e chi più ne ha più ne metta.

Arbitri e spettatori erano tutti coloro che, una domenica via l'altra, ma anche in tutte le occasioni festive, dal Natale alle cresime, accorrevano ai conventi per acquistare i dolci necessari ad allietare le predette occasioni.

Ogni convento aveva la sua specialità e andava gelosissimo della relativa ricetta.

Difficile, se non impossibile, che varcasse le quiete mura, almeno fino a epoche recenti quando il segreto è stato svelato. Così la rivalità si è spostata fra le pasticcerie che hanno raccolto il testimone di una tradizione risalente alla dominazione araba (VIII – XI secolo).
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Le monache, difatti, per un curioso contrappasso, erano state a loro volta depositarie della sapienza pasticciera saracena. Secondo il gastronomo Alberto Denti di Pirajno, le ricette di cassate, cannoli e altre delizie erano giunte nei conventi femminili all’indomani della conquista normanna della Sicilia, nel XI secolo.

Dispersi gli harem degli emiri, alcune odalische avrebbero trovato riparo fra le mura dei monasteri, portando con sé le abilità acquisite preparando i dolci con cui stuzzicare il proprio signore. Una teoria suggestiva, che crea un collegamento diretto fra la tradizione dolciaria araba e quella siciliana.

I monasteri, specie quelli di clausura, sono sempre di meno.

A Palermo, ad esempio, le ultime suore del convento di Santa Caterina sono andate via pochi anni fa per raggiunti limiti di età. Fortunatamente la loro tradizione dolciaria è stata raccolta da una cooperativa giovanile, e dunque è ancora possibile acquistare biancomangiare, frutta martorana e agnellini pasquali, realizzati con ogni cura partendo dalle ricette originarie.

Sempre di meno, però, non significa che siano scomparsi.

Ad Agrigento, qualche tempo fa, ho conosciuto le suore del convento di Santo Spirito, un tempo uno dei monasteri più ambiti dalle famiglie aristocratiche siciliane per le proprie figlie.

Sono rimaste solo in 6 e si sostentano anche con i loro dolci, che si possono acquistare, tutti i giorni, in una minuscola bottega adiacente alla chiesa di Santo Spirito (con l'occasione, non trascurate di visitarla, per ammirare la decorazione dell'abside, opera di Giacomo Serpotta, e il trompe l'oeil della cupola, realizzato dal pittore Giacomo Di Stefano).

Le suorine di Agrigento hanno come specialità il couscous dolce, una variazione a base di pistacchio e canditi sulla ben nota ricetta salata.

Spostandoci a Mazara del Vallo troviamo invece i “muccunetti” (bocconcini), i dolci di pasta di mandorle ripieni di zucca candita delle monache benedettine.

Sono loro le ultime depositarie della tradizione dei dolci di badia a Mazara, un tempo diffussisima grazie alla presenza di un gran numero di monasteri.

La specialità delle suore mazaresi era la cassata, torta di soave eleganza con il suo goloso sfarzo di canditi. A quanto pare le suore si dedicavano con tale zelo alla realizzazione delle loro torte che, nel 1575, il Sinodo diocesano di Mazara dovette proibirne la fabbricazione, che rischiava di distogliere le monache dai loro impegni spirituali.

Il monastero di San Michele è il più antico di Mazara: ha quasi mille anni, fu fondato dall'ammiraglio Giorgio D'Antiochia durante il regno del re normanno Ruggero II. Il complesso è composto da una chiesa barocca (nel Seicento, visto l'aumentato numero di religiose, si rese necessario l'ampliamento dell'edificio più antico) e da un grande convento.

Nella chiesa, candida di stucchi – bellissime le statue delle Virtù, di Bartolomeo Sanseverino – si affacciano le finestre con le grate a petto d'oca che rivelano la presenza delle suore di clausura. Quest'ultima era di stretta osservanza. Solo in parlatoio era concesso alle religiose di incontrare, molto di rado, le proprie famiglie, e sempre dietro lo schermo di una fittissima rete.

Qui girava, e gira ancora, la ruota attraverso la quale avveniva ogni scambio col mondo esterno.

Sebbene la clausura non sia più rigorosa come un tempo, l'ordinazione avviene ancora attraverso una fitta grata e il vassoio di dolci viene pagato e consegnato attraverso la ruota. Il convento si trova in piazza San Michele (accesso dal portone adiacente alla chiesa) ed è aperto tutti i giorni.
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