TRADIZIONI
"Cu lu tuppu o senza tuppu": la brioscia siciliana è anche una dichiarazione d'amore
Se avete voglia di far sorridere qualcuno in questo momento storico così difficile e complicato, ecco per voi la storia di una ricetta utile a far tornare il buonumore
Brioche col "tuppo"
"In Italia il cibo è una forma d’arte, in Sicilia una religione", ha scritto Rick Steves. Ed effettivamente non ha tutti i torti. Soprattutto se pensiamo ai litigi che certi gesti a tavola possono provocare.
Uno su tutti? Rubare il “tuppo” al nostro commensale.
Guai a provarci con un siciliano: basta una sfrontatezza del genere, fatta con leggerezza, per distruggere amicizie storiche o scatenare guerre familiari in men che non si dica. D’altronde, che sia granita o gelato ad accompagnare la brioscia, mangiarli inzuppandovi il “tuppo” non è forse un’azione naturale che si tramanda di generazione in generazione nei secoli dei secoli?
Da quanti non è dato saperlo con precisione, ma c’era un tempo in cui le famiglie aristocratiche chiedevano ai propri cuochi nuovi e sorprendenti piatti. E così leggenda vuole che il cuoco di una non precisata famiglia nobile, alla richiesta di qualcosa di morbido e leggero dove spalmare la marmellata a colazione, inventò proprio la “brioscia” siciliana.
Una ricetta così deliziosa - sfidiamo chiunque a dire il contrario - che in breve tempo non solo conquistò la famiglia, ma si diffuse un po’ ovunque diventando una delle ricette tipiche e più conosciute della nostra isola. Attenzione, però, a non chiamarla “brioche” perché, al contrario di quanto si possa pensare, sono stati i francesi a prendere in prestito il nome siculo e a trasformarlo: non lasciamo il merito delle nostre deliziose creature agli altri.
Se c’è una cosa che dobbiamo ai cugini francesi, piuttosto, è la parola dialettale “tuppo”, che indica l’acconciatura tipica delle danzatrici: lo chignon. In normanno, infatti, lo chignon si chiamava ‘toupin’, in gallico ‘toupeau’ e in francesce moderno ‘toupet’, da cui il nostro siciliano ‘tuppo’.
Ma c’è di più. Secondo quanto tramandato da uno scioglilingua della nostra tradizione, la forma tipica della brioscia sarebbe legata a una travagliata storia fra due giovani, il cui amore fu ostacolato dalla madre della ragazza che portava lunghi capelli raccolti sulla nuca.
La fanciulla, per il dolore e come atto di ribellione, avrebbe perciò tagliato la chioma: quella dote che la rendeva irresistibile agli occhi di tutti, compreso il suo innamorato. Il gesto commosse a tal punto la madre che finalmente acconsentì al fidanzamento.
Ed è per questo che si dice: «Cu lu tuppu un t’appi, senza tuppu t’appi. Cu lu tuppu o senza tuppu, basta chi t’appi e comu t’appi t’appi» (con i capelli raccolti sulla nuca non ti ho avuta, senza capelli raccolti sulla nuca ti ho avuta. Con i capelli raccolti o senza capelli raccolti, basta che ti abbia avuta, comunque ti abbia avuta).
Poteva non entrarci in qualche modo l’amore, anche se alla lontana? D’altronde, se c’è una cosa certa è che donare il “tuppo” della briosca è la più grande dimostrazione d’amore, o dichiarazione a seconda dei casi, che si possa fare a una persona.
Avete voglia di far sorridere qualcuno in questo momento storico così complicato? Avete trovato la ricetta per fare tornare il buonumore.
Uno su tutti? Rubare il “tuppo” al nostro commensale.
Guai a provarci con un siciliano: basta una sfrontatezza del genere, fatta con leggerezza, per distruggere amicizie storiche o scatenare guerre familiari in men che non si dica. D’altronde, che sia granita o gelato ad accompagnare la brioscia, mangiarli inzuppandovi il “tuppo” non è forse un’azione naturale che si tramanda di generazione in generazione nei secoli dei secoli?
Da quanti non è dato saperlo con precisione, ma c’era un tempo in cui le famiglie aristocratiche chiedevano ai propri cuochi nuovi e sorprendenti piatti. E così leggenda vuole che il cuoco di una non precisata famiglia nobile, alla richiesta di qualcosa di morbido e leggero dove spalmare la marmellata a colazione, inventò proprio la “brioscia” siciliana.
Una ricetta così deliziosa - sfidiamo chiunque a dire il contrario - che in breve tempo non solo conquistò la famiglia, ma si diffuse un po’ ovunque diventando una delle ricette tipiche e più conosciute della nostra isola. Attenzione, però, a non chiamarla “brioche” perché, al contrario di quanto si possa pensare, sono stati i francesi a prendere in prestito il nome siculo e a trasformarlo: non lasciamo il merito delle nostre deliziose creature agli altri.
Se c’è una cosa che dobbiamo ai cugini francesi, piuttosto, è la parola dialettale “tuppo”, che indica l’acconciatura tipica delle danzatrici: lo chignon. In normanno, infatti, lo chignon si chiamava ‘toupin’, in gallico ‘toupeau’ e in francesce moderno ‘toupet’, da cui il nostro siciliano ‘tuppo’.
Ma c’è di più. Secondo quanto tramandato da uno scioglilingua della nostra tradizione, la forma tipica della brioscia sarebbe legata a una travagliata storia fra due giovani, il cui amore fu ostacolato dalla madre della ragazza che portava lunghi capelli raccolti sulla nuca.
La fanciulla, per il dolore e come atto di ribellione, avrebbe perciò tagliato la chioma: quella dote che la rendeva irresistibile agli occhi di tutti, compreso il suo innamorato. Il gesto commosse a tal punto la madre che finalmente acconsentì al fidanzamento.
Ed è per questo che si dice: «Cu lu tuppu un t’appi, senza tuppu t’appi. Cu lu tuppu o senza tuppu, basta chi t’appi e comu t’appi t’appi» (con i capelli raccolti sulla nuca non ti ho avuta, senza capelli raccolti sulla nuca ti ho avuta. Con i capelli raccolti o senza capelli raccolti, basta che ti abbia avuta, comunque ti abbia avuta).
Poteva non entrarci in qualche modo l’amore, anche se alla lontana? D’altronde, se c’è una cosa certa è che donare il “tuppo” della briosca è la più grande dimostrazione d’amore, o dichiarazione a seconda dei casi, che si possa fare a una persona.
Avete voglia di far sorridere qualcuno in questo momento storico così complicato? Avete trovato la ricetta per fare tornare il buonumore.
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