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Da Milano gira il mondo e sceglie Siracusa: qual è la "missione" di Paolo con la danza

Un modo diverso di approcciarsi all’insegnamento anche per i bimbi, che diventa un tutt’uno con la sua esistenza. L'isola lo ha "adottato" da più di venti anni

  • 27 ottobre 2022

Il ballerino Paolo Pavani con due allievi

"La danza inizia dove finiscono le parole", diceva il regista russo Aleksandr Jakovlevič Tairov. Ma sia con la danza che con le parole Paolo se la cava in modo eccelso, si potrebbe rimanere a parlare con lui per un tempo indefinito catturati dalla luce dei suoi occhi che rivelano una vocazione precisa, una profondità autentica e la sua passione per l’arte che spazia a 360 gradi.

Un’intera vita dedicata alla danza, all’insegnamento e al suo intimo sentire. Paolo Pavani è un ballerino professionista milanese, ha 54 anni e vive tra Siracusa e Tremestieri Etneo (CT) da 24 anni. Ha compiuto un percorso professionale a livello internazionale, infatti oltre che in Italia ha studiato a Stoccolma, Londra, Manchester e Parigi.

Il suo amore per la danza inizia presto: «Mi sono avvicinato alla danza all’età di 15 anni perché ero curioso di scoprire questo nuovo mondo, sono sempre stato attratto dalla diversità». Ha mosso i primi passi a Milano a Palazzo Serbelloni, scuola attigua al Teatro alla Scala e Accademia aperta da Luciana Novaro, l’étoile che scoprì Carla Fracci. Qui grazie ad una borsa di studio, e sotto la guida dei maestri Virgilio Pitzalis e Mirella Lesma, ha iniziato il suo cammino.
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«Ho avuto la fortuna di avere grandi insegnanti che mi hanno aiutato nel mio percorso professionale e nell’acquisire la consapevolezza del corpo e del movimento. Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale che è anche di natura affettiva e pedagogica».

Alcune di queste maestre difatti sono state un po' mamme e lo hanno introdotto nel mondo del teatro-danza, come nel caso di Sisina Augusta. Paolo ha proseguito il suo percorso entrando alla SPID (Scuola Professionale Italiana Danza), qui ha potuto confrontarsi con realtà differenti. Questa scuola era un punto di riferimento nazionale nell’ambito della danza degli anni ’80 e permetteva di entrare nel mondo del lavoro. In questo periodo infatti inizia a lavorare per la TV, realizzando spot ballati, ma il suo focus rimane sempre un altro.

Continua a studiare per se, per migliorarsi, e scopre che la sua vera vocazione è l’insegnamento. Questo spiega come ancora oggi si dedichi in modo immersivo al suo lavoro, 5 giorni su 7 dalle 7 del mattino alle 10 di sera, consacrando la sua vita totalmente a questa "missione".

«Nel mondo della danza c’è chiaramente una forma di egocentrismo, cioè si balla per essere visti ed ammirati ma questo non ha mai fatto parte della mia concezione. Il mio interesse è rivolto al teatro-danza, cioè non tanto mostrare quanto sono bravo tecnicamente ma piuttosto comunicare qualcosa, dare spazio all’emozione e all’empatia. Tutto questo l’ho trovato nell’insegnamento ed ho quindi scoperto che questa era la mia strada».

Secondo la sua visione, attraverso l’insegnamento bisogna cercare di trasmettere quello che di più prezioso c’è nella danza: la conoscenza del proprio corpo. Il passaggio fondamentale è dare ai bambini la possibilità di condurre un percorso dove il corpo diventa un’unica cosa con la propria essenza.

Questo comporta un lavoro e uno studio precisi, anche per questo motivo ha voluto diplomarsi come maestro di scuola elementare, approfondendo studi pedagogici e unendo lo studio professionale della danza con lo studio dell’insegnamento. «Ho iniziato con i bambini e in seguito mi sono rivolto anche agli adulti perché ho scoperto che le dinamiche non erano diverse.

Infatti il bimbo prima gattona e poi impara a stare eretto e quindi a camminare, con l’adulto si fa esattamente il percorso inverso, lo devi cioè riportare a gattonare per poi insegnargli nuovamente a camminare. Questo è molto importante perché mi mette continuamente in discussione».

Lavora tutti i giorni alla sbarra per se stesso, una sfida costante per trovare il modo più semplice per insegnare agli altri, «insegnare vuol dire anche essere sempre allievo, è continua ricerca e sperimentazione. Bisogna trovare le parole giuste anche con il corpo per comunicare e per riuscire ad usarlo in maniera corretta, secondo il proprio modo di sentire».

Ad un certo punto della sua vita si trasferisce a vivere in Sicilia perché a Siracusa aveva la sua compagna, dalla quale è nata la figlia Gaia. Ma non solo, decide di rimanere in questo angolo di mondo perché si innamora della sua luce e delle sue vibrazioni.

«Dopo un lungo percorso tra Milano e l’estero ho deciso di fermarmi in Sicilia e avviare questa mia realtà, perché qui ho trovato la veracità delle relazioni umane, la vita che scorre più lentamente, la luce intesa in senso ampio e un meraviglioso attaccamento alla terra. Qui esiste ancora "l’età contadina", di cui parlava Pier Paolo Pasolini, quel fondamentale legame alla terra e alle tradizioni.

Il dialetto ha ancora una sua valenza importante, viene parlato dai giovani ed è una cosa bellissima. L’etimologia della singola parola in dialetto mi affascina, così come l’odore del cibo genuino, i colori dei mercati all’aperto. Tutto questo vuol dire preservare la propria terra, tenerla viva, ci vuole tanta passione per arrivare a questo e voi ce l’avete in modo naturale. Dimenticare il proprio passato è molto pericoloso».

Nella sua Accademia di danza a Siracusa, insegna danza classica ai bambini ed ha aperto agli adulti dei corsi di potenziamento muscolare che si basano sulla tecnica della cosiddetta "sbarra a terra", quest’ultima è stata introdotta per la prima volta in Sicilia proprio da Paolo.

Si tratta dei classici esercizi che i danzatori compiono normalmente alla sbarra stando in piedi sulle punte, in questo caso però il metodo si apre a tutti potendo compiere quei medesimi movimenti da sdraiati. È un lavoro che non solo permette di prendere coscienza del proprio corpo ma di ottenere ottimi risultati a livello di incremento muscolare e correzione della postura.

«Questo metodo di lavoro non lo conosceva nessuno qui, consiste in un lavoro preciso sul corpo attraverso il quale si eseguono da sdraiato una serie di esercizi sempre più complessi. Si tiene l’assetto e si impara ad ascoltare e a rispettare il corpo. In questo modo si costruisce e si potenzia la muscolatura che ti permette di “reimparare a camminare”».

La scelta di Paolo la si potrebbe definire "purista" in senso quasi religioso. Viene dal rigore della danza classica ma si apre alla ricerca e alla sperimentazione sempre con occhi nuovi. Ha eliminato tutto quello che di superfluo si trova di norma nelle scuole di danza, infatti per scelta non fa saggi, e per questo è rimasto fedele a stesso mantenendo un’onestà intellettuale difficile da trovare in un ambito che si rivolge in modo sempre più commerciale solo all’immagine. In questo modo si crea una sorta di selezione naturale, «alla mia scuola non si rivolgono persone a cui interessa solo apparire e mostrare i figli su un palco».

Tutto questo rispecchia il suo essere e gli dà un senso di libertà innato e impagabile, significa non perdersi, «ci sono molte persone che fanno questo lavoro ma è diventato come lavorare in banca, se punti solo al guadagno diventa quello. Un artista vero non vuol far vedere quanto è bravo, il vero artista è quello che si dedica alla sua passione tutto il tempo perché fa parte di te e ti fa stare bene». Come affermava la coreografa Martha Graham, “i grandi ballerini non sono grandi per il loro livello tecnico, sono grandi per la loro passione”.

In Sicilia Paolo ha trovato materia viva per rendere funzionale il suo sentire, l’argilla giusta per dare forma a quel vaso che è l’essenza stessa del suo essere. E come un sapiente vasaio lavora affinché i suoi allievi prendano forma nel corpo e nella mente, «ogni insegnante dovrebbe aiutare a far uscire fuori quello che sei, non giudicare quello che sei».

Lavorare secondo la sua concezione significa non solo allenare il proprio fisico, ma anche e soprattutto porsi in modalità di ascolto con il proprio corpo, vivere in armonia e guardare decisamente oltre l’immagine riflessa nello specchio. Il suo punto di forza consiste nell’unicità del metodo di insegnamento, un modo del tutto personale dove l’approccio mentale e il livello emotivo giocano un ruolo fondamentale. «Nella danza conta l’energia e non la forza, ogni movimento deve essere morbido e non rigido altrimenti non si crea quell’eleganza che è insita nell’arte».

Ma come ne "La luce e il lutto" di Gesualdo Bufalino, c’è anche l’altro risvolto della medaglia: «Qui ho trovato un buon potenziale a livello di vivaio, bambini promettenti che si approcciano al mondo della danza. Ma purtroppo c’è anche quello che Carmelo Bene chiamava “il sud del sud dei Santi”. Cioè un aspetto che chiude e restringe le prospettive, una cultura che limita, paura di lasciar andare che significa non far crescere, non dare autonomia ai bambini.

Girando all’estero ho avuto modo di vedere che il rapporto tra genitori e figli è molto libero, si tende a dare autonomia e indipendenza ai figli molto presto, mentre qui questo rapporto spesso diventa una gabbia. La vera libertà è quella di riuscire a creare la capacità di dare valore al sentire dell’altro. Con i bimbi io lavoro molto sull’autonomia, spesso però il problema non sono i figli ma i genitori».

In conclusione, per sottolineare quanto per Paolo sia importante aderire alla realtà e all’intimo sentire attraverso l’arte, è molto interessante un parallelismo che ama fare per spiegarlo. «Le poesie di Pasolini ad un certo punto diventarono denuncia sociale perché il periodo che stava vivendo lo richiedeva, quindi rinuncia alla poesia in senso classico per aderire alla dura realtà del momento.

Lo stesso discorso è rapportabile alla danza: nel ballet blanc ci si mette le punte per avere il distacco dalla terra, deve rappresentare un qualcosa di etereo che va oltre, i ballerini con i loro movimenti morbidi e i passi leggeri diventano figure diafane e immateriali, come la poesia intesa in senso classico. Invece nei balletti rielaborati, come ad esempio nel teatro-danza di Pina Bausch, si danza per ballare la vita, il corpo diventa un tutt’uno con la realtà e c’è l’urgenza di comunicare qualcosa, anche un disagio». L’arte deve mettere in crisi.
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