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Don Peppino e il (premiato) mulino Namio: un "monumento storico" alla pasta in Sicilia

Ancora oggi quel che resta della struttura, testimonia in termini di archeologia un vero e proprio “monumento” storico, connesso alle tradizioni

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 11 aprile 2023

Il Mulino Namio a Misilmeri

La civiltà contadina misilmerese ha favorito la nascita, tra il X ed il XIX secolo, di numerosi mulini da grano sparsi per il territorio.

Queste attività che utilizzavano le acque del Fiume Eleuterio attraverso una rete di canali destinati a fornire la forza motrice alle attività produttive, costituirono una massiccia e importante forza lavoro che contribuì notevolmente allo sviluppo economico e sociale del paese, sino alla fine degli anni ‘40 quando furono soppiantate dall’energia idroelettrica, con conseguente aumento della produzione.

La storia del pastificio e mulino Namio a Misilmeri riflette specularmente questa evoluzione dell’industria alimentare tra ottocento e novecento in Sicilia: da una semplice produzione casalinga, di stampo artigianale, a una produzione massificata, volta a soddisfare gli appetiti del mercato.

La nascita dei moderni pastifici è connessa alla scoperta, avvenuta agli inizi dell’Ottocento, del sistema di essiccazione della pasta che permise la sua conservazione e conseguentemente la vendita della pasta come “prodotto”.
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Fu Giuseppe Namio a dare vita alla fondazione del pastificio intorno al 1920, quando il giovane pastaio, nato e cresciuto a Villabate in una famiglia di maestri dell’arte bianca, decise di trasferirsi con tutta la famiglia a Misilmeri, dove acquistò e rilanciò un piccolo pastificio artigianale in disuso appartenuto alla Famiglia Biddeci, ubicato in Corso Vittorio Emanuele nei locali adiacenti l’ex caserma dei carabinieri, di proprietà della Baronessa Fiduccia.​

All’epoca il pastificio costituiva una delle strutture più avanzate a livello locale dal punto di vista tecnologico, tanto che l’attività di Giuseppe Namio ricevette l’onorificenza e la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1930 per la qualità della pasta prodotta.​

Negli anni successivi Giuseppe Namio, detto Don Peppino, dopo tanto lavoro e la fattiva collaborazione della moglie Concetta e dei figli​ Maria – Andrea – Francesca – Bartolo – Francesco – Concetta, acquistò un terreno confinante con l’odierna Via Trento e lì fece costruire lo stabilimento industriale di pastificio a linea continua e mulino ad alta macinazione per la produzione di semola per pasta, semolato per pane, crusca e cruschello per gli animali che prese il nome di “San Giusto” (in onore del Patrono cittadino),​ affidando la gestione ai tre figli maschi che avviarono una società in nome collettivo.

I Fratelli Namio incrementarono notevolmente il volume prodotto già di ottima qualità, rappresentando così una presenza importante nella vita economica di Misilmeri perché, dato il consistente apporto di manodopera, garantiva prospettive d’impiego e sicurezza per le famiglie.

Il mulino si sviluppava su quattro piani: Una struttura simmetrica, che ospitava un ampio vano, destinato ai laminatoi per la macinazione del grano, mentre un vano laterale più piccolo serviva per le operazioni di pulitura e lavaggio del grano.​ Al primo piano si insaccavano e si depositavano tutti i prodotti della macinazione, mentre al secondo ed al terzo le semolatrici, oltre a vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione.

L’aspetto più interessante era costituito dal pregevole lavoro di carpenteria del legno con il quale erano costruite la mescola della farina, le tramogge e l’intero impianto di condutture che consentivano, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati. Il diagramma di lavorazione prevedeva che il grano duro, per mezzo di una tramoggia, venisse depositato in un silos in attesa di iniziare la pulitura e la macinazione.

La pulitura si articolava in due operazioni distinte, per pulitura a secco: mediante l’uso di aspiratori e di rulli "svecciatoi" veniva aspirata la polvere e separata la paglia, le impurità, i semi di altri cereali presenti ed i chicchi spezzati utilizzati nell’alimentazione zootecnica.

Per pulitura umida: attraverso la lavatura con acqua, oltre ad inumidire il chicco, si eliminavano i sassolini ed i semi delle erbe infestanti che, non galleggiando, precipitavano nella vasca di pulitura.

Il grano pulito veniva stivato, attraverso nastri trasportatori a tazze,nei cassoni "d’attesa" dove veniva mantenuto umido per 7-8 ore prima della macinazione. Il grano, dai cassoni "d’attesa", passava ad una bilancia meccanica che determinava la quantità ottimale (circa 10 chilogrammi) da sottoporre alla macinazione.

Effettuata la prima "frantumazione", per mezzo di elevatori a nastro, il macinato veniva sollevato al terzo piano ed immesso in due macchine a "buratto piano oscillante" per la prima setacciatura, effettuata la quale, sempre tramite trasportatori, passava al piano sottostante per la seconda setacciatura.

Quindi la granella era convogliata nella successiva fresatrice, ripetendo il ciclo fino a 12 volte finché il chicco, spogliato dalle sue parti, si trasformava in semola, semolati ed altri prodotti di scarto.

Il mulino era in grado di macinare ogni ora circa 2000 kg di frumento, mentre il pastificio produceva vari tipi di pasta di diverse tipologie e formati che poi veniva confezionata in sacchetti di carta con strisce bianche e rosse e distribuita ai negozi alimentari della Sicilia. Intorno agli anni ’60 il blocco del prezzo del grano, stabilito a livello nazionale, penalizzò soprattutto le imprese più piccole.

La conseguente crisi interessò anche i mulini e pastifici siciliani che si videro costretti a ridurre il giro d’affari, con conseguenti tagli al personale.

Stessa sorte toccò qualche anno più tardi anche al mulino e pastificio dei fratelli Namio che furono costretti a sospendere gli impianti. Nel 1968 Pippo Namio (figlio di Andrea), dopo avere conseguito il diploma di perito capotecnico industriale, decise di rimontare le macchine del pastificio nei locali dell’ex mulino ricominciando a produrre la pasta Namio fino al 1971, data in cui fermò definitamente l’impianto a causa dei cambiamenti del mercato.

Si chiuse così un importantissimo capitolo della storia produttiva ed economica misilmerese, che ancora oggi di quel che resta della struttura, testimonia in termini di archeologia industriale un vero e proprio “monumento” storico, connesso alle tradizioni che nel tempo hanno legato il territorio a quel famoso “ciclo del grano” impiantato dagli arabi.
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