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È custodita dentro un castello antichissimo: i misteri della lapide quadrilingue di Palermo

Nei quattro spazi creati dalle braccia della croce, vi sono dei caratteri incisi in latino, greco, arabo ed ebraico. Qual è il significato che nasconde la sua storia

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 15 gennaio 2024

Il Castello della Zisa a Palermo

Tempi in cui ancora l’unico pensiero della vita era la scuola, il professore la Barbera, mischinu iddu, cercava di inserragghiare nelle nostre teste ri cucuzza qualcosa che, magari, avrebbe potuto elevarci almeno un minimo culturalmente.

Cercava in tutti i modi di farci capire quante meraviglie e storia potesse avere in serbo la nostra regione e che il tutto non si limitava (anche se Ilardi sosteneva il contrario) a pani ca meusa, frittola e cannoli.

Un bel giorno, dopo averci inchiummato della bella, ci comunicò che, per il giorno dopo, ci saremmo dovuti munire di biglietti dell’autobus e piccioli per il panino panelle e crocchè, poiché, volenti o dolenti, saremmo andati a vedere la famosa lapide quadrilingue di Palermo.

Ilardi, dall’alto della sua minchioneria, affermò che non era ancora periodo dei morti e quindi picchì aviamo a gghiri o cimitero e vedere le lapidi?

Il professore La Barbera non parlò neppure, ma secondo un innovativo metodo educativo di ispirazione montessonaria, da lui brevettato, con precisione da cecchino, lanciò un pezzetto di gessetto che andò a colpire Ilardi proprio in piena fronte.
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Ai tempi eravamo troppo giovani per capire l’importanza propedeutica di quel lancio di gessetti, ma oggi come oggi mi sento di doverlo ringraziare.

Lancio di gessetti a parte, la lapide quadrilingue si trova esposta nel museo di arte islamica, situato all’interno del Castello della Zisa, testimoniando la vita siciliana al tempo di quel simpaticone di re Ruggero II.

Onestamente a taliarla non pare sta gran cosa. Di forma esagonale, irregolare, pure nicaredda, di semplice marmo bianco e con la classica croce che si può vedere in tante altre lapidi, ma ad esaminarla meglio ci si adduna che, nichi nichi, nei quattro spazi creati dalle braccia della croce, vi sono dei caratteri incisi in latino, greco, arabo ed ebraico, ovvero le quattro lingue ed etnie più diffuse a Palermo in quei tempi.

Sommariamente, l’epigrafe ci narra la storia di Anna, madre del chierico Grisanto, che morì il 20 agosto 1148. Vabbè mischina, sa cugghìo, non fu la prima e non sarà neppure l’ultima, quindi perché tutto sto clamore?

L’eccezionalità della cosa sta proprio nella presenza, in contemporanea, delle quattro lingue diverse nello stesso manufatto, il che sta a dimostrare la multietnicità della Palermo di quell’epoca e la grande capacità di tolleranza e convivenza che si respirava, anche grazie all’amministrazione illuminata di Ruggero II.

Anna, alla sua morte, fu sepolta inizialmente all’interno della cattedrale di Palermo e, successivamente, traslata nella chiesa di San Michele Arcangelo, edificata sulla preesistente chiesa medievale di Santa Maria della Grotta, che oggi fa parte del complesso di Casa Professa. Questa lapide pare faceva parte di una "collezione" di 5 lapidi, che ci aiutano a capire qualcosa sulla famiglia di Grisanzio.

Una di queste è dedicata a Drogo, non quello del trono di spade ma padre di Grisanzio, morto qualche anno dopo la moglie, e che reca le iscrizioni funerarie in latino, greco ed arabo. Drogo era un nome particolarmente diffuso presso i normanni di origine francese, mentre Anna lo era presso le comunità di origine Bizantina.

Quindi Grisanzio era di fatto "figlio" delle due culture più influenti e, probabilmente, data questa sua molteplicità, aveva un ruolo di un certo peso presso la corte di Ruggero, soprattutto nell’ambito dell’ambizioso progetto del re di creare una nuova chiesa siciliana che riunisse tutti i credi esistenti nell’isola.

Questa sua posizione potrebbe avergli permesso di poter tumulare la madre nella cattedrale, onore, ai tempi, riservato solo ai reali. Tuttavia pare che la presunta verità sia n’anticchia più torbida.

Sembrerebbe infatti che l’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, lo stesso che volle il ponte Ammiraglio a Palermo, avesse in mente altri progetti (ne parla nel suo libro “I mille enigmi della lapide quadrilingue” il giurista e storico Giovanni Tessitore).

Giorgino, bramoso di potere, aveva pensato bene, ca malandrineria, di fare una specie di colpo di stato, mandando a catafottersi re Ruggero II ed imponendosi come nuovo regnante.

Ma si sa, l’attasso ci vede benissimo, e l’ammiraglio morì nel 1151, ben tre anni prima del re. Le incisioni in lingua araba ed ebraica della lapide, conterrebbero il "mozzarabico", ovvero una sorta di linguaggio comprensibile solo ad una ristretta cerchia di nobili e religiosi, fedelissimi dell’ammiraglio.

Potrebbe essere che Grisanzio stesso facesse parte di questa sorta di "massoneria" primordiale ed abbia usato la lapide per comunicare con i suoi amici rivoltosi.

Difatti la "maiori ecclesia sanctae Marie", citata nell’iscrizione latina della lapide, in cui fu seppellita inizialmente la madre del chierico, potrebbe non essere la cattedrale, ma molto più semplicemente, come già scritto, la chiesa sotterranea di santa Maria della Grotta, su cui poi fu edificata quella di San Michele Arcangelo.

Ma, come tutti sappiamo, alla morte di Ruggero II, il potere passò al fratello Guglielmo I che pare fosse un po' cosa inutile, portando così alla deriva la dinastia normanna e favorendo la scalata degli Svevi grazie ai quali si ebbe lo "stupor mundi" e successivamente la nascita, proprio in Sicilia, del primo parlamento.
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