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È il "cortile della morte" ed è a Palermo: se non avete paura, seguite questo itinerario

Nel cuore del centro storico, racchiuso tra le mura e sovrastato da degli archi, si nasconde timido questo piccolo vicolo di cui si raccontano varie storie e leggende

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 22 agosto 2022

Cortile della morte

A Palermo, proprio nel cuore della città, ci sta un cortile che già per nome è un inno alla felicità: il Cortile della Morte.

Io, per esempio lo scoprii per caso, e tutto parte dai tempi delle medie. Ora, se avete pazienza e voglia di leggere vi racconto, altrimenti in fondo all’articolo trovate dove si trova, cosa si dice a proposito e pace fatta.

Quando chiedevamo di andare al bagno il professore Terranova prima ci diceva sì, poi, appena passavamo davanti la sua cattedra per raggiungere la porta della classe, tirava fuori il piede con l’immancabile mocassino e ci faceva lo sgambetto.

"Professò, ma perché?". "Così, imparate che la vita fa schifo".

Sulla carta era professore di storia, Terranova, ma in pratica era un po’ di storia, un po’ di filosofia, un po’ di quello che gli passava per la testa a lui. Che poi non è che odiasse veramente la vita, anzi l’amava così tanto che aveva sviluppato una paura verso la morte così ossessiva che cercava di esorcizzare tramite noi.
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Tre cose ci faceva fare: storia dei riti funebri, personaggi storici morti in malo modo, e, a fine anno, la recita su La Livella di Totò. Il ruolo da protagonisti nella poesia del principe De Curtis - e stando a sentire proprio Terranova dovevamo esserne fieri - l’avevamo io e Carollo.

«Ogni anno, puntualmente, in questo giorno, di questa triste e mesta ricorrenza, anch’io ci vado, e con dei fiori adorno il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza».

Quando il narratore (lui) arrivava a “zi’ Vincenza” noi dovevamo entrare in scena al buio vestiti di nero, sdraiarci a terra e stare con gli occhi chiusi fino alla fine della recita che durava un’ora e mezza.

Ecco, siccome forse eravamo troppo giovani e non eravamo bravi a fare i morti, successe che un bel giorno Terranova fece provare la nostra parte al signor Pagano (il bidello) per farci da esempio. Entrò talmente nel ruolo, ma talmente nel ruolo, che una volta a terra non si alzò più e caput.

Nessuno ci disse mai cosa gli fosse successo, solo Farina - il più bravo della classe e che faceva teatro - ci spiegò che era morto di una malattia che si chiamava metodo Stanislavskij (e che veniva agli attori troppo bravi assai).

Da quel giorno Livella basta più, in compenso per ricordare il dipartito signor Pagano, il professore Terranova ci faceva fare una gitarella per il centro storico che chiamava il tour della morte.

Appuntamento a Villa Bonanno, con pranzo a sacco composto da succo di frutta e panino con frittata della sera prima che schiacciato dai libri a mezzogiorno era già un toast. Lì, in prossimità dell’Arco dei Biscottari ci stava Palazzo Sclafani.

Secondo quanto ci diceva Terranova, in principio (1330 circa) questi Sclafani lo costruirono per una sfida fatta con Manfredi Chiaramonte per chi lo avesse più grosso… il palazzo.

Poi, siccome forse a questi Sclafani nessuno gli diceva "auguri e figli maschi", successe che non ci furono più eredi e così il palazzo diventò l’Ospedale Grande, dove ci stavano tutti i malati più malati di Palermo e all’entrata un affresco di cui tra poco parleremo del perché è stato spostato.

Il tour continuava ai Quattro Canti, o Teatro del Sole, e qui ci facevamo il segno della croce perché il 30 luglio 1789 - quando in Francia ci stava la Rivoluzione Francese - era stata impiccata una certa Giovanna Bonanno, famosa come vecchia dell’aceto ma nota soprattutto per essere stata una grande avvelenatrice.

Si proseguiva poi a piazza Marina. Quasi all’entrata c’era morto Joe Petrosino, un poliziotto italo-americano che si trovava a Palermo per indagare sulla Mano Nera (un’organizzazione americana di stampo mafioso).

Evidentemente erano stati loro a trovare lui. Poco più avanti, a Palazzo Chiaramonte, o Steri, ovvero il palazzo di quello che faceva la sfida per chi ce l’aveva più grosso, divenuto in seguito sede del Tribunale della Santissima Inquisizione: una specie di Agenzia delle Entrate ma molto più brutta.

In questa piazza, diceva il professore, i morti non si contavano perché era lì che giustiziavano i condannati.

Non troppo distante ci stava un altro palazzo, questa volta chiamato Abatellis. È in questo posto che, a causa dei bombardamenti, il famoso quadro di sopra è stato spostato per essere salvaguardato.

Il Trionfo della Morte: 600×642 cm di orrorifica pittura fatta da un certo Anonimo, in cui è raffigurato uno scheletro su un cavallo di scheletro - che dovrebbe rappresentare la peste del 1348 - intento a inseguire i ricchi e lasciare stare i poveri perché, diceva il professore, «si trattava di un memento mori, cioè un avviso che la morte non guarda in faccia nessuno».

Pensate che stava all’entrata dell’Ospedale Grande, e non era raro che si trovasse in altri ospedali proprio per ricordare ai pazienti che entravano buoni e uscivano forse. Noi appena abbiamo sentito questa cosa di "in un momento muori" per non sapere né leggere né scrivere ci siamo toccati lì.

Il tour era quasi giunto alla fine, e si concludeva in un quell’ultimo pezzo di paradiso (o cimitero, dipende i punti di vista) sconosciuto ai più e dove Terranova amava andare per conciliare il sonno: il Cortile della Morte. Il bello dell’essere turisti della propria città, diceva sempre lui, non era tanto andare nei posti più conosciuti, quanto perdersi per trovarne di nuovi.

Di fronte Piazza Garraffello, dove è ubicata l’omonima fontana che divide il mercato della Vucciria dal porto della Cala, racchiuso tra le mura di Palazzo Ramacca, sovrastato dagli archi, si nasconde timido questo piccolo vicolo che anticamente faceva da anticamera al cortile del palazzo.

Secondo voci di popolo, questo cortile si chiama così perché ai tempi dell’Inquisizione ci abitava un boia, ex-galeotto, che metteva fine alla vita dei condannati tramite decapitazione e impiccagione. Altri dicono che il luogo - oggi vicolo dimenticato - fosse maledetto perché infestato dallo spirito di una strega uccisa proprio dal boia.

Per quanto riguarda Terranova e la sua ossessione verso la morte, trovava sollievo solo in quest’ultima tappa del tour, dove prendeva un bel respiro e con le mani nei fianchi diceva soddisfatto: «Ma tanto chi se ne fotte! Come diceva il filosofo Epicuro: quando ci sono io non c’è la morte, quando ci sarà la morte non ci sarò più io».

Amen.
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