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È il simbolo (francese) dell'Orto Botanico di Palermo: il "Gymnasium" di Leon Du Fourny

È uno dei i pochissimi edifici costruiti a Palermo da un architetto non italiano, Leon Du Fourny, fautore della poetica del cosiddetto "gigantismo architettonico"

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 7 settembre 2021

Il Gymnasium dell'Orto Botanico di Palermo

Il Settecento del Regno delle due Sicilie (magari ci fossimo rimasti) consegna all'Europa dell’Illuminismo due campagne di scavo archeologico che cambiano per sempre la consapevolezza culturale di matrice storica, germinando letteralmente di eclettico stilismo tutta l'architettura occidentale almeno fino ai primi anni del Novecento.

È infatti dalla sorprendente vitalità dei cantieri di Ercolano e Pompei che si amplifica quell'amore mai veramente sopito per la classicità che dominerà l'intero Ottocento sotto l'egida del linguaggio Neoclassico il cui slancio animerà i neo-stili.

È in questo positivo clima culturale che di fatto impone agli studiosi dell'alta Europa lo studio diretto dei monumenti presenti nel territorio di Magna Grecia, che trova spazio a Palermo uno tra i pochissimi edifici costruiti da un architetto non italiano (si contano sulle dita di una sola mano e ne resta spazio).

Parliamo del Neogreco Gynnasium dell'Orto Botanico, realizzato su progetto dell'architetto francese Leon Du Fourny (1754-1818), ed eretto sulla attuale via Lincoln, contiene la Regia schola botanicae, la biblioteca, gli erbari e gli spazi di direzione.
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Il tutto all'interno di una costruzione in muratura e intonaco, compatta e simmetrica, cromaticamente impostata sulla contrapposizione bicroma tra l’ocra dei quattro prospetti ed il rosso "pompeiano" della semicupola di copertura dello spazio interno centrale ad angoli smussati dove “avvenivano” le lezioni.

Qui, in questa sorta di aula fortemente caratterizzata da superfici bianche e grigie, insistono le pitture monocrome del pittore Giuseppe Velasco tratte dai cicli mitologici della vita di Esculapio, mentre le statue prossime alle quattro nicchie angolari sono opera di Giuseppe Fettiolo.

Du Fourny, allievo di J. D. Leroy e già docente alla Scuola speciale di architettura di Parigi, amico stimato di Quatremère De Quincy e fautore della poetica del cosiddetto “gigantismo architettonico” di matrice Winckelmanniana, giunge nel capoluogo siciliano intorno al 1788 per studiare i monumenti classici di Segesta, Selinunte e Solunto, contribuendo e non poco con i suoi studi e rilievi ad alimentare e far crescere l'interesse di studiosi e curiosi a quella Sicilia rurale in cui, per dirla con Louis Kahn, buoni edifici hanno lasciato meravigliose rovine.

Rovine da osservare e misurare, da respirare quasi ma soprattutto da far rivivere in tutta Europa, attraverso studi e rilievi ma soprattutto attraverso nuove architetture da esse ispirate.

Non vi è dubbio, al di là della nazionalità del progettista, che l'edificio Neogreco sia ancora oggi uno dei punti notevoli dell'intero asse urbano normalizzato sul modello del Ring viennese solo alla fine dell’Ottocento; in quella finestra temporale settecentesca che vide Palermo all'avanguardia rispetto alla costruzione di opere civili a supporto della comunità, dalla illuminazione pubblica (1777) alla costruzione della Villa Giulia a firma di Nicolò Palma (1777-79).

Quest'architettura caratterizzata sul fronte del giardino interno dall'ordine gigante del portico tetrastilo delle quattro colonne neo-doriche che diventano due lungo il vestibolo sul fronte stradale aggettivato da due cariatidi, risuona di quella specificità mitteleuropea di “opera d’arte integrale” germogliata dunque anche in Sicilia grazie agli scambi tra l'architetto francese e Giuseppe Venazio Marvuglia, e che rimane qui fautrice di quella poetica eclettica che trova nelle sfingi scultoree che si dipartono dalle paraste al delimitare dell'accesso, entrambe opere dello scultore Vitale Tuccio, un elemento di notevole sintesi.

Architettura, Pittura e Scultura, unite a sovrintendere e narrare la bellezza della natura sotto la scrupolosa classificazione linneiana e le indagini di quel Vincenzo Tineo “padre spirituale” di Giovan Battista Filippo Basile, quest'ultimo unico architetto palermitano a ricambiare, un secolo dopo, “idealmente” il favore al francese Du Fourny.

Era infatti il 1878 quando Basile fu chiamato a realizzare e realizzò l’eclettico padiglione italiano all’Esposizione universale di Parigi che gli valse il riconoscimento di ufficiale dell’Ordine della Legion d’Onore di Francia, consacrandolo quale il più influente progettista eclettico della sua generazione in questo singolare legame/asse tra la Palermo delle “Due Sicilie” e la capitale di Francia già potenza coloniale.

Ecco allora, che questa raffinata architettura di “confine” posta a guardia del rigoglioso polmone verde dell’Orto Botanico, diviene qualcosa di più di una costruzione, forse un ponte temporale o meglio ancora una finestra sulle radici più antiche e consolidate della nostra poco rispettata e divulgata modernità di respiro europeo.
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