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È una delle porte più famose di Palermo ma non c'è più: la (vera) storia di Porta Carbone

Vi raccontiamo dove si trovava e qual è la storia di una struttura ormai scomparsa della città di Palermo. Quello che sappiamo e che è arrivato ai giorni nostri

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 29 dicembre 2023

Porta Felice e La Cala di Palermo visti dall'alto

Se a Palermo ci dessimo appuntamento a Porta Carbone, ci incontreremmo davanti ad una nota friggitoria e magari ci mangeremmo un bel panino con la milza.

Il nome è sicuramente antichissimo, ma il sito dove un tempo era la porta non corrisponde esattamente a dove si trova la friggitoria omonima. Nonostante il marchese di Villabianca citi porta Carbone al numero 175 della sua pianta di Palermo redatta nel 1777 e nel suo Palermo d'oggigiorno la dia per esistente già nel 1550, nella pianta topografica della città di Palermo redatta da Matteo Florimi nel 1580 non compare nessuna “porta Carbone”.

Le porte citate dal Florimi nel perimetro della Cala sono "porta di Piedi Grutta", "porta della Calcina", "porta della Piscaria", "porta della Dogana" e "porta del Molo". Tuttavia Valerio Rosso la dà per "modernamente fabbricata" nel 1590.

Vero è anche che spesso nel corso dei secoli le porte civiche venivano murate o abbattute e ricostruite più volte ma, data a parte, molti diaristi fanno coincidere la detta porta Carbone con altre preesistenti come ad esempio la "porta della Piscaria" o "porta Santa Cristina", entrambe scomparse.
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In realtà porta Carbone sostituì il nome dell'"antica porta delle Legna", chiamata così «perché quivi i legni si vendono a cantaro, ed il carbone, che vengono con barche grosse da Caronia, Cefalù ed altri luoghi».

Così ricordava Don Vincenzo Di Giovanni nel suo Palermo ristorato. Porta Carbone si trovava non distante dalla Vicarìa, le antiche carceri di Palermo trasformatesi nell'Ottocento nel Palazzo delle Finanze, e presso un'altra porta detta "porta della Calcina", ove i facchini, detti "vastasi" scaricavano la calce.

Di quest'ultima ancora si può notare un arco murato accanto alla clinica Zancla. Ancora in una cartina dei primi anni del Novecento inserita nella guida Palermo e la Conca d'oro si registra il toponimo di porta Carbone in quel tratto del porto della Cala tra l'odierna via dei Cassari e piazza della Fonderia.

Non è un caso che Rosario La Duca in un articolo del 1967 ricordava che «sino a qualche decennio fa il toponimo di "porta Carbone" era ancora vivo tra il popolo e soleva indicarsi lo slargo esistente all'innesto della via Argenteria (Cassari) sull'arco della Cala».

Per quanto riguarda la struttura architettonica della porta possiamo ricavare da un'antica incisione del Settecento che era in tufo con le colonne laterali bugnate e senza particolari decori.

Lunga circa quattro metri e larga più di 5. Va notato che vicinissima a porta Carbone, o meglio allora nota come porta della Legna, vi era una fontanella pubblica su via dei Cassari, demolita in seguito alla costruzione della Vicarìa, come ebbi a dire in un articolo passato a questa dedicato.

Vincenzo Auria riporta che nel 1656 essendoci stato il ritorno della peste a Napoli, praticamente trentadue anni dopo la scoperta di Santa Rosalia, «il Senato di Palermo ordinò nuove guardie nelle marine della città da Solanto a Sferracavallo.

Si ferrarono alcune delle porte di Palermo, cioè quella di Termine, di Sant Agatha, di Montalto, di Castro, di Macheda, e del Carbone». Sempre Auria ricorda che 20 anni dopo, nel 1676, temendosi un attacco nemico alla città fu murata anche «la porta delli Legni alla marina».

Come tutte le merci, anche l'importazione e l'esportazione della legna e del carbone erano sottoposte ad un rigido controllo del Senato.

Tra le varie cose, deduciamo dai provvedimenti presi nei Capitoli del 1745 che esisteva un commercio di contrabbando a mare per evitare di "pagare dazio": «Si ordina, provvede e comanda, che da qui innanti nessuna Persona, che porta carbone, quello possa vendere sopra mare; ma che abbia prima a tirare le barche in terra nella Cala di questa città».

Il 2 luglio 1778 arrivò a Palermo l'abate Richard de Saint-Non. Non trovando alloggi migliori nel cuore della città invaso dai turisti per ammirare le imminenti festività di Santa Rosalia, riferisce nel suo diario che alloggiò «in una casa che dà sul porto vecchio».

Giuseppe Pitré afferma che questa era la Locanda del Commercio a Porta Carbone. Nel Settecento Antonio Mongitore registra una "favola" interessante. Racconta di un curioso cane di un mendicante che chiedeva l'elemosina vicino a porta Carbone.

Raggiunta la cifra necessaria, l'animale si recava da un fornaio vicino per acquistare del pane. Il fornaio furbastro tentava invano di frodare il cane volendogli dare meno pane di quanto gli spettasse, ma il cane si ribellava abbaiando.

Nonostante, come ricorda Rosario La Duca, porta Carbone fu abbellita da certo Davì Francesco de Cordova nel 1778, in seguito ad un "risanamento urbano" fu demolita nel 1875. Tra i detti palermitani ancora oggi se ne usa uno molto noto se si vuole offendere qualcuno: "Va iettati a porta carbuni!", ovvero "vai a gettarti a porta Carbone".

Sono sicuro che tra i vostri conoscenti c'è chi si merita di essere mandato in quel luogo oramai astratto, ma quando lo fate ricordatevi almeno che esiste una storia nota anche se non ci rimane più nulla di concreto.
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