STORIA E TRADIZIONI

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Era considerato dagli abitanti del Capo il "libro sacro": i Beati Paoli, giustizieri o sicari?

La trama si svolge tra il 1698 e il 1719, periodo di dispute tra Stato e Chiesa e di guerre sanguinose che porteranno in Sicilia ben 3 monarchie diverse, in 20 anni

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 26 ottobre 2021

Beati Paoli

Matteo Lo Vecchio, “sbirro” al soldo del perfido Raimondo della Motta, aveva osservato per giorni i movimenti nella chiesa. Nascosto, aveva scoperto il passaggio e il luogo, dove si riunivano i Beati Paoli, setta che aveva preso di mira i misfatti del Duca che così era descritto: “alto, snello nervoso; il volto pallido come invaso da una nube fosca, occhi lampeggianti. Le labbra sottili si disegnavano appena e la bocca parea piuttosto una lunga ferita non ancor rimarginata”.

Ritratto canonico del cattivo.

Tra le edizioni dei Beati Paoli, quella di Flaccovio del 1971 è particolare con il saggio introduttivo di Eco che descrive le caratteristiche del romanzo popolare: nato per divertire senza proporre modelli, servendosi della storia per presentare la lotta tra bene e male. Una narrazione che attinge al gotico, con grotte, misteri e complotti pieno di “scatole che si chiudono e riaprono all’infinito” con vittime e innocenti passivi, rispetto all’azione dei buoni e infami. Edizione ricca di note storiche e bibliografiche, di La Duca, autentica miniera d’informazioni.
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L’autore dei Beati Paoli, Luigi Natoli con lo pseudonimo di William Galt, scrisse il romanzo per il “Giornale di Sicilia” pubblicato in 239 puntate dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910. Fu un successo che non avrà eguali nel genere del Romanzo d’appendice. Apprezzato dalla classe popolare, che conservava canti e racconti tramandati attraverso le generazioni, dove la vendetta, punizione e riscatto erano ancora percezioni vive.

Fu probabilmente l’unico libro letto durante la vita, diventando per gli abitanti del Capo il “libro sacro”, ritenendosi i discendenti della setta. La classe borghese fu invece affascinata dall’intreccio, anelando di appartenere a un mondo fatto di
coraggio, azione, valore.

Questa “post-verità”, parte dai “Diari Palermitani” del Barone di Villabianca nel 1790 che ebbe modo di conoscere da ragazzo, forse, l’ultimo dei Beati Paoli Vito Vituzzu, un vetturino. Questi raccontò la sua frequentazione fornendo indicazioni sui luoghi delle riunioni segrete. Villabianca non ebbe giudizi positivi sulla setta definendola, “scellerata empia e capricciosa”e collegandola con i ” Vendicosi”del 1185, società segreta che reagiva a un sistema di potere e abuso dei nobili.

C’è da dire che i Vendicosi non furono solo giustizieri, ma anche sicari se si trattava di difendere i propri interessi.

La trama si svolge tra il 1698 e il 1719, periodo di dispute tra Stato e Chiesa e di guerre sanguinose che porteranno in Sicilia ben 3 monarchie diverse, in 20 anni. È una Palermo ancora compressa fra le sue mura con 10 bastioni e 12 porte dove, la vecchia divisione dei primi quartieri era stata supertata con il taglio nel 1600 di Via Maqueda e la creazione di altri: Palazzo Reale o di Santa Cristina, Tribunali o Sant’Agata, Castellammare o Santa Oliva, Monte di Pietà o Santa Ninfa.

Ma se Natoli ci porta a camminare con i suoi personaggi tra vicoli, piazze, chiese, palazzi, nel “salotto di Palermo” quello della passeggiata di Marcantonio Colonna, a Palazzo Steri Tribunale dell’Inquisizione, fino alle lugubri carceri della Vicaria al Cassaro, quello che più suscita curiosità e affascina è la Palermo sotterranea. Villabianca visitò alla fine del '700 la grotta dei Beati Paoli situata in una cavità sotto il Capo, in prossimità della Chiesa di Santa Maria del Gesù.

Racconta che salendo al primo piano dall'abitazione di Gio Battista Baldi, si accedeva tramite una porticina a un piccolo baglio scoperto, sul cui terreno alzando una grata e scendendo alcuni gradini, si entrava in una stanza con un piccolo altare in pietra, con un’altra stanza con dei sedili e nicchie. La cavità accessibile ancora nel 1889 sarà poi ostruita, sebbene ancora nel 1970, alcuni abitanti del quartiere sostenessero che vi erano altre vie d’ingresso.

La grotta era in realtà uno degli ingressi di un enorme complesso cimiteriale del IV secolo d.C. che si estendeva sotto la città. L’autore dei “ Beati Paoli “ s’ispirò a questi luoghi, preferendo però far muovere i personaggi in un campo più vasto, una città sotterranea che abbracciava dal “Trans Papireto al Trans Kemonia”, attraverso ipogei e cunicoli, a volte fantasiosi, che portavano fuori la città, in aperta campagna.

Sull’origine del nome il dibattito è ancora aperto, c’e chi sostiene che derivi da San Francesco di Paola il cui abito assomigliava a quello della setta. I membri così travestiti di giorno confessavano i penitenti ricevendo importanti informazioni che poi di notte andavano a infittire gli atti deiprocessi. Altri sostengono a San Paolo, apostolo considerato uomo d’armi, dotato di poteri straordinari, dopo la miracolosa conversione sulla via di Damasco.

Difficile capire dov’è la verità considerando che la congrega non ha alcuna fonte manoscritta. Il Villabianca fornirà nei suoi Diari i nomi di presunti appartenenti: Giuseppe Amatore che morì soffocato dopo aver appiccato il fuoco alla sua cella per cercare di fuggire, e che sarà appeso per un piede a una forca ai Quattro Canti e Girolamo Ammirata, impiccato nel 1723, che sarà uno dei protagonisti dei Beati Paoli.

Nomi recuperati dai registri della Confraternita dei Bianchi. Il Romanzo di Natoli continua ad affascinare i lettori, lo dimostra l’affluenza alle visite nei luoghi della setta. Si cerca il gotico, il mistero, la città del 700, gli avvenimenti storici che nel romanzo uniscono personaggi realmente esistiti a quelli leggendari, come Peppa la Sarda, ad altri immaginari.

Dei Beati Paoli parlerà Buscetta in una delle audizioni, trovando analogie tra mafia e la società segreta, utilizzando una componente retorica legata a una tradizione inventata; confondendo l’omertà mafiosa con la protezione che accompagnava gli eroi buoni, e volutamente ignorando che la mafia toglie e non restituisce, il cui interesse è l’accumulo di ricchezza e potere, non più giustizieri, ma ormai definitivamente, solo sicari.
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