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Favoritismi e "altarini" nella Palermo del '400: la querelle tra Aldobrandini e Francescani

La storia che vi raccontiamo ruota attorno ad un contratto (e alle sue postille), firmato il 4 agosto del 1436 e alla locazione all'Aldobrandini di un giardino nell’area vicino la Chiesa di San Francesco D’Assisi

  • 17 agosto 2021

Chiesa di San Francesco d'Assisi a Palermo

Tra le fonti storiche che ci riservano delle perle interessanti di storia vissuta vi sono sicuramente le questioni relative alle diatribe tra il Clero, lo Stato e i Cittadini, praticamente la raffigurazione medievale dell'ordine già costituito: chi prega, chi combatte e chi lavora.

I grandi ordini, ovviamente, possedevano molte proprietà private che cedevano in locazione ed uno di questi, come ci racconta il Prof. Diego Ciccarelli in Palermo Medievale, è oggetto di guerriglia tra il nobile Giovanni Aldobrandini e i Francescani della Chiesa di San Francesco D’Assisi, come attestano i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Palermo, fondo San Francesco D’Assisi – causa tra il convento e Giovanni de Aldobrandini del 1436 per la costruzione del dormitorio e aver preso parte del giardino di proprietà de Aldobrandini.

Il 4 agosto del 1436, presso il Notaio Giovanni de Lippo, viene concesso in locazione all’Aldobrandini un giardino nell’area vicino la Chiesa di San Francesco D’Assisi con delle postille al contratto che fecero storcere il naso alla maggior parte dei frati.
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Ovviamente, ai buoni frati il contratto sembrava un pochino strano e se ne lamentarono con i superiori, soprattutto per il modus operandi dei rappresentanti della comunità francescana durante la stipula delcontratto di locazione poiché quest’ultima prevedeva il costo di una onza d’oro annuale quale censo, l’onere di una “gebiata” d’acqua ogni quindici giorni a loro favore e la costruzione di un muro divisorio.

Soprattutto per i frati che si opposero alla concessione era evidente l’utilità del giardino quale entrata di servizio per la Chiesa ma anche saltava all’occhio l’inadeguata valutazione dell’appezzamento che si trovava in una zona importante come quella della Loggia dei Pisani.

I procuratori francescani che si occuparono dell’affaire furono Guglielmo de Chabica e Antonio de Ventimiglia, incaricati il 6 novembre 1432 dal Ministro Generale dell’ordine Guglielmo del Casale, su cui calò il velo del favoritismo verso l’Aldobrandini poiché questi tre erano legati da parentela, mentre i pochi frati anziani che avevano avallato la concessione stipulata dai procuratori durante la riunione si difesero con la tecnica dello scarica barile: accusarono il Ministro Provinciale dell’ordine, Luca Sarzana, di averli costretti ad accordare il censo.

Lo scandolo, ovviamente, raggiunse anche l’esterno delle mura del convento, uscendone come il Kemonia che inonda tutto ciò che sta intorno, creando ovviamente imbarazzanti critiche esterne, molte anche abbastanza dure, sulla gestione patrimoniale del convento di San Francesco D’Assisi.

Si doveva trovare un escamotage per poter recuperare quel bollente pezzo di terra, come poter agire? L’idea è semplice ma incisiva, i frati fecero leva sulla questione cimiteriale e sulla sacralità del luogo, poiché sostenevano che l’area del giardino concesso fosse un antico cimitero confermato anche dal ritrovamento di ossa umane durante gli scavi per la costruzione del nuovo convento; questa area, secondo i fratelli più eruditi e anziani, fu un luogo concesso da una grande personalità dell’epoca (forse un Imperatore o un Papa) quale azione magnanima verso i defunti.

La difesa dell’Aldobrandini non si fece attendere mica! Attaccò in due ambiti: la prima sulle affermazioni dei frati sulla questione cimiteriale, l’altra sulla l’attendibilità degli stessi frati che, secondo l’Aldobrandini, non erano proprio osservanti delle regole.

Così facendo, vennero fuori dei profili della comunità e dei singoli frati singolari che, attenzione, bisogna riportare nell’ambito della querelle: molti furono accusati di mancanza di povertà, chi di usura, chi di ubriachezza e chi, infine, di avere l’amante; per precisione di notizie molti testimoni (tra cui tanti nomi illustri) contestarono queste accuse rivolte al convento ed ai Frati, soprattutto quello che venne accusato di avere l’amante: ca non teni ganza, immo quilla chi tenia la chama matri et honurala comu matri (era sua madre).

Per quanto riguarda la questione cimitero, invece, i testimoni dell’Aldobrandini sostenevano che si trattassero di morti di peste di qualche decennio prima, tra cui la fossa di una bambina di 6 anni sepolta dallo stesso Aldobrandini accanto ad un Lauro.

Pertanto, l’Aldobrandini se ne uscì una evidenza: è vero che negli altri cimiteri c’erano gli alberi ma non la senia per abbeverare i morti! Facendo così fece decadere l’ipotetica antichità del cimitero.

Comunque, a quanto pare i frati Francescani furono gabbati dal nobile Aldobrandini e possiamo dire che durante il processo sono intervenuti, interpellati dalla Magna Curia, tutte le grandi personalità: dal Gagini, passando per i nobili, i teologi, l’aristocrazia sino ad arrivare al povero genovese Filippo che non aveva casa e che mangiava nelle taverne; ma chi conosceva la verità era solo uno, il barbiere del convento con cui i fraticelli si lamentavano: dicendu comu havianu stati gabbati di lu dictu ortu.

Peccato, e pensare che prima della questione gli Aldobrandini e i Francescani erano molto amici, soprattutto con il Ministro Provinciale Luca Sarzana.
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