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I dolori, i dubbi e la diagnosi dopo 5 anni: a Palermo Giulia lotta contro l'endometriosi

Una storia piena di incertezze che ha trovato risposte al centro multidisciplinare per la diagnosi e il trattamento dell’Endometriosi al Civico di Palermo: ve la raccontiamo

Alice Marchese
Giornalista
  • 24 ottobre 2025

Endometriosi

Immaginate di star male fisicamente durante il ciclo mestruale, ma di sentirvi dire di essere sane come un pesce perché, secondo il pensiero comune, quel periodo del mese è una sofferenza per tutte. Immaginate ancora di essere catapultate, poco tempo dopo esservi sottoposte a una visita di routine, in un vortice di domande, dolore e continue ricerche senza mai una soluzione finale.

Questo è quello che è successo a Giulia La Barbera, una ragazza di Palermo che ha sempre combattuto con l'endometriosi senza sapere cosa fosse perché mai diagnosticata, se non recentemente. Quella di Giulia è una storia piena di dubbi che fortunatamente ha trovato risposte al centro multidisciplinare per la diagnosi e il trattamento dell’Endometriosi dell'ospedale Civico di Palermo.

«Dall'adolescenza avanzata ricordo di avere avuto mestruazioni molto dolorose e invalidanti, ma non mi era mai stato diagnosticato nulla - inizia così il racconto di Giulia a Balarm -. A ogni visita ginecologica mi venivano poste delle domande di routine, tipo la frequenza con cui avevo il ciclo. Non ho mai avuto una ginecologa fissa, ogni volta cambiavo perché non ero soddisfatta delle cure. Quello che sapevo è che ho sempre avuto il ciclo mestruale irregolare e invalidante.

Negli anni mi sono sensibilizzata sempre di più all'argomento, avvicinandomi a collettivi di attivisti per i diritti sessuali e riproduttivi. Mi sono informata e mi sono resa conto che molti dei miei sintomi (che pensavo fossero normali) in realtà non lo erano affatto».

Cinque anni fa Giulia apprende che qualcosa non va e inizia così la sua "ricerca": «Era il 2020, ormai quasi 5 anni fa, durante una visita di routine emergono delle problematiche, tra cui l'ovaio policistico - precisa Giulia -. Lo specialista mi suggerisce di tenere tutto sotto controllo ed eventualmente di cominciare con la pillola anticoncezionale.

Decido di iniziare a prendere la pillola dopo aver avuto le mestruazioni per più di 40 giorni. Superata la seconda settimana, contatto un'infermiera che mi disse che non era normale. La ginecologa che mi aveva visitato precedentemente mi prescrive la pillola. Nonostante io avessi intrapreso questo percorso, avevo sempre dolori. Da lì, i dubbi crescono e faccio una cosa che purtroppo so che non si fa: cercare la mia diagnosi su Google».

In situazioni del genere la tensione è talmente tanta da volere risposte subito, anche a costo di ottenerle un po' ovunque: «Guardo su internet perché nessuno sapeva cosa avessi. Mi balzano all'occhio ipotetiche diagnosi, una tra queste è l'endometriosi e mi accorgo che i miei sintomi effettivamente combaciavano con quelli scritti. Per sicurezza, cerco uno studio che si occupa di endometriosi.

Contatto il medico a cui ho anticipato un po' quello che mi stava accadendo tramite messaggi e su Whatsapp ricevo il suo "molto probabilmente soffre di endometriosi". Nonostante lo avessi più volte letto nei vari siti, è stato comunque terribile per me. Non si è mai veramente pronti. Col tempo ho capito purtroppo che forse non è stato l'approccio giusto, almeno per me».

Da questa visita inizia comunque ad avere pian piano le sue risposte: «Lì siamo arrivati alla conclusione che soffro di endometriosi, ma al primo stadio, il più basso. Ho scoperto che questa patologia si divide in quattro stadi. Lo specialistica mi dice di continuare la terapia che già seguivo, ma interrompendo completamente il ciclo mestruale, senza dirmi altro. Mi è mancata l'empatia, ero pur sempre una persona che non sapeva nulla di tutto questo.

Nella mia ingenuità gli chiedo per quanto tempo dovessi nterrompere il ciclo mestruale e al suo "per sempre, a meno che tu non voglia avere figli ma anche lì, è da capire" mi è crollato il mondo addosso».

Da quel momento comincia la terapia e i primi mesi vanno abbastanza bene, fin quando non cambia città per motivi accademici. «Vado a vivere in Toscana e non so perché, comincio ad avere spotting (perdite di sangue nel periodo compreso tra una
mestruazione e l’altra, ndr), una reazione della pillola. Il ginecologo mi dice che è normale, ma nonostante io abbia cambiato pillola sotto prescrizione medica, il problema non si risolve.

Torno a Siena e contatto tre consultori diversi, tra cui uno di Palermo perché avevo bisogno di più pareri. Durante una di queste visite, abbiamo cambiato terapia "controllando" il ciclo mestruale con 3 blister di pillole. Ma non funziona».

In quel momento, però, qualcosa va per il verso giusto: «Grazie a un'altra visita al consultorio, io e la ginecologa di Siena siamo state un'ora a parlare. È incredibile, ma per la prima volta mi sono sentita una persona. Mi ha rassicurata tantissimo, mi ha detto di sottopormi a un'ulteriore visita specialistica, ma di lì a poco sarei tornata a Palermo. In quei giorni ho appreso del centro all'ospedale Civico di Palermo.

Grazie a questo centro nella mia città, ho avvertito quanto il mio approccio mentale fosse cambiato. Non trattavo più la mia diagnosi soltanto come qualcosa di "medico" e freddo, ma come una patologia che comunque coinvolge tanti aspetti della mia vita. Il processo di consapevolezza è iniziato grazie alla ginecologa di Siena, ma il centro dell'ospedale Civico mi ha fatta sentire accolta e compresa in tutto».

Funziona come una prenotazione normalissima. Prima, infatti, è opportuno far fare la ricetta al proprio medico curante, così da esplicitare eventualmente l'urgenza.

Nel nuovo reparto affrontano l'endometriosi da un punto di vista non solo clinico, ma anche nutrizionale, psicologico e fisioterapico. È una diagnosi che non può essere ridotta soltanto a una cura di farmaci, possono essere tante le cause che incidono ed è opportuno intraprendere un percorso con i pazienti trattandoli comunque per quello che sono: esseri umani.

«Ho aperto un ambulatorio il 6 marzo 2003 perché ho compreso che l'endometriosi ha bisogno di un approccio molto particolare - racconta a Balarm il direttore del centro Antonio Maiorana -. Sono stato quasi preso per visionario perché ho voluto che mi affiancasse una psicologa. Ho sempre pensato che un approccio multidisciplinare personalizzasse la malattia. Da lì è partito un po' il mio viaggio. Nel 2019 l'endometriosi viene riconosciuta come una malattia cronica e quindi si cerca di regolamentarla anche da un punto di vista normativo.

Nasce anche la rete endometriosi Sicilia. L'obiettivo - precisa il direttore - è sempre stato quello di assistere le donne nel miglior modo possibile, in maniera tale che le pazienti possano avere l'approccio più capillare possibile. Adesso nasce il percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) e il fine è quello di creare una rete siciliana. Attualmente, oltre all'ambulatorio nel capoluogo, la malattia viene trattata anche all'Arnas Garibaldi di Catania.

La malattia presenta quattro stadi che non sono le fasi della malattia. Una paziente al terzo stadio, resta lì, non è consequenziale che peggiori, ma ovviamente vivere col dolore è terribile. Il problema è il ritardo diagnostico: una donna può aspettare fino a 12 anni per avere una diagnosi, anche se in Sicilia succede raramente. È giusto che una donna sappia la propria diagnosi e che non si senta dire frasi come "Fai un figlio che ti passa".

Tu sei una donna con dolore e non solo non sei compresa, ma hai una malattia cronica che non viene trattata, ma banalizzata. La gravidanza è una scelta, non può essere una terapia. La sterilità - continua il dottore Maiorana - non è la regola, purtroppo è una possibilità. Ci aggiriamo tra il 30% e il 50% della probabilità».

Si tratta di un centro multidisciplinare dove la paziente viene presa in carico dall'ostetrica. Il percorso prevede poi una visita con il ginecologo ed è possibile così sottoporsi a un'ecografia di secondo livello, a un'isteroscopia o a una colposcopia. Ma non è finita qui: «Non c'è soltanto il ginecologo - precisa Maiorana -. L'approccio multidisciplinare si basa sulla presenza dello psicologo, della nutrizionista, della fisioterapista del pavimento pelvico. Qualora sia necessario, c'è un'altra struttura che è il gruppo ospedaliero multidisciplinare dell'endometriosi (Gome), un'équipe medica che gira attorno al centro e che interviene quando è opportuno fare altri accertamenti.

Tra questi c'è l'anestesista esperto nella terapia del dolore, il gastroenterologo, il chirurgo addominale, il radiologo dedicato e l'urulogo dedicato. Su tutto questo sorveglia la data manager dedicata a noi che trasforma tutto in dati».

Accedere al centro è semplicissimo: «Il primo accesso è tramite Cup ed è opportuno essere provvisti di una ricetta medica. Alla paziente vengono dati gli slot disponibili».

È possibile accedere a questi servizi all'ambulatorio per la diagnosi e cura dell’endometriosi all'ospedale Civico di Palermo chiamando dal lunedi al venerdi ai numeri 091 6668016 - 334 6067795 o mandando un'email a centro.endometriosi@arnascivico.it

Ci si può rivolgere anche al Garibaldi di Catania chiamando dal lunedi al venerdi ai numeri 095 7595672 - 335 1996196 o mandando un'email a endometriosi@arnasgaribaldi.it

In questa struttura, tante pazienti come Giulia hanno trovato la loro soluzione:«Mi sono recata lì con tutti i miei referti - continua Giulia -. Prima della visita ginecologica ho fatto una seduta psicologica, una breve chiacchierata in cui mi è stato anche chiesto se volessi intraprendere questo percorso. Mi ha colpita in positivo questo aspetto multidisciplinare e questa cura molto delicata e lontana da tutto quello che avevo passato.

Successivamente sono stata accolta dalla ginecologa e nonostante avessi la mia documentazione, abbiamo fatto una visita come se fosse la prima. Lì emergono problematiche legate al pavimento pelvico ed è stato necessario avviare un percorso con la fisioterapista di 11 sedute - conclude Giulia -. Il centro ha anche un numero su Whatsapp di riferimento così che le pazienti possano avere un consulto più immediato con il proprio specialista senza sentirsi abbandonate. Ed è quello che finalmente dopo tanto tempo non mi è più successo».

Quella di Giulia è la storia di tante donne che avvertono dell'anormalità nella sofferenza che provano, nonostante familiari e persone a loro vicine continuano a dire che va tutto bene e che per "alleviare" il dolore basta fare un figlio, una delle scelte più importanti che si possa compiere. Ma nonostante tutti i dubbi e le paure, alla fine del tunnel arriva sempre una risposta.
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