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I palazzi più belli della Palermo di un tempo: il capolavoro nato dalla sfida fra due cognati

Matteo Sclafani sfidò il cognato Manfredi Chiaramonte e il gioiello dello Steri di piazza Marina. Riuscì in breve tempo a realizzare un palazzo più grande e più lussuoso

  • 23 gennaio 2020

Palazzo Sclafani a Palermo (foto Alessia Rotolo)

Mosso da vana gloria Manfredi Chiaramonte, durante una cena nel suo Palazzo (Steri), insieme al cognato Matteo Scalfani e ad altri signori lor parenti, disse al cognato: «Che vi par di questa mia casa? Potrassene fare una più bella e superba?». Matteo gli rispose che il palazzo era bello ma che lui da lì ad un anno ne avrebbe costruito uno ancora più bello ed invitò tutti i commensali nel suo prossimo palazzo. Manfredi e tutti i presenti risero ed accettarono l’invito.

Lo storico Don Vincenzo Di Giovanni (Palermo, 1550 – Castronovo di Sicilia, 1627), nel suo “Palermo restaurato”, scrisse che il Palazzo Sclafani fu edificato da Matteo Sclafani, conte di Adernò e di molte altre terre della Sicilia, uomo valorosissimo e ricchissimo, a gara di Manfredi Chiaramonte, suo cognato.

Matteo Sclafani mantenne l’impegno e vinse la scommessa. Non si sa se questa storiella sia vera ma lo storico Tommaso Fazello (Sciacca, 1498 – Palermo, 8 aprile 1570), riportando il testo di una lapide che si trovava murata sul prospetto orientale del palazzo, riportò che il Palazzo fu innalzato nel giro di un anno e precisamente nel 1330.
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Alcuni autori del tempo scrissero che fu proprio questo il motivo dell’odio che divise i due cognati. Essi si schierarono in due fazioni diverse: Latini e Catalani. Matteo Sclafani, pur essendo Catalano, si schierò con i Latini per fare un torto al cognato Manfredi Chiaramonte.

In origine, questo Palazzo, era antistante al Piano del Palazzo (Reale) e si trovava in posizione isolata. Dopo un secolo dalla sua costruzione, il Palazzo fu abbandonato e addirittura era scoperchiato. Per questo motivo, il Senato della Città decise di riunire tutti gli ospedali della città (una quindicina).

Quando nel 1429, il frate benedettino Giuliano Majali, del convento di San Martino delle Scale, in seguito Beato, inviò una supplica al Senato di Palermo di volere riunire i 22 piccoli Ospedali (pichuli e malamenti sirvuti) della città, denominandolo Grande e Nuovo.

Essi erano: l’Ospedale di San Bartolomeo (curava i tisici, gli ulcerosi), San Giovanni dei Tartari, Santa Maria la Mazara, San Giovanni Battista al Castellammare, San Dionisio (solo per i nobili), San Giovanni dei Lebbrosi (prima per i lebbrosi, poi per i malati di mente, scabbia e tubercolosi), l’Aeropagita, San Teodoro (riservato ai pellegrini), Santa Maria la Nova, Santa Maria la Raccomandata (per le pie donne), Sant’Antonio, il Filippone (solo per le donne) e altri di minore importanza.

Il 24 Aprile 1429, il Cardinale di Palermo, Martino de Marins, concesse il nullaosta per la fondazione dell’Ospedale ed il 21 Agosto dello stesso anno, re Alfonso accolse la richiesta. Fu scelto di utilizzare come sede del nuovo Ospedale, il palazzo Sclafani. Questa destinazione durò sino al 1852, in quest’anno, infatti, fu utilizzato come Quartiere militare (denominato della Trinità per la vicinanza del monastero omonimo).

Nel 1881-83, si operarono pertanto delle modifiche all’immobile eseguite dal Genio militare con l’apertura delle finestre nella zona basamentale del prospetto meridionale. Nel cortile prospiciente, sino al dopoguerra, si trovava il grande affresco quattrocentesco “Il trionfo della morte” che oggi si può ammirare presso la galleria nazionale di Sicilia, nel Palazzo Abatellis.

Un altro quadro famoso raffigurante “Il giudizio universale” si trovava nella parete dell’altro cortile, fu distrutto nel 1723 per costruire una scala. Anche un affresco di Pietro Novelli, eseguito nel 1634 fu distrutto.

Per quanto riguarda il grande affresco “Il trionfo della morte”, un modo proverbiale fu coniato: "Pari la morti di lu spitali" (Sembra la morte che c'è all'ospedale. Con questo detto si paragonava l’interlocutore al dipinto omonimo.

Questo dipinto fu realizzato durante il restauro del Palazzo (tra il 1435 ed il 1442). Fu ritenuto per lungo tempo come opera di Antonio De Crescenzio, poi attribuito ad uno di scuola olandese nel secolo XV. Contro quest’ultimo giudizio, nel corrente anno 1901, E. Muntz sostenne che la celebre scena macabra fu opera di uno dei grandi maestri lombardi venuti a stabilirsi nell’Italia meridionale, e quindi anche in Sicilia, verso la metà del Quattrocento.
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