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Il giusto chiude, l'abusivo resta: la vergogna (sotto gli occhi di tutti) ai Quattro Canti

Da un lato i venditori abusivi dall'altro i commercianti in regola "sfiniti ed esausti". In città, e soprattutto nel centro storico, "regnano l'impunità e l'indifferenza"

Claudia Rizzo
Giornalista e TV producer
  • 8 luglio 2025

I venditori abusivi ai Quattro Canti di Palermo (foto di Mobilita Palermo)

Palermo ha un centro, un punto esatto in cui tutte le strade convergono. È geometrico, teatrale, perfetto: quattro facciate, quattro stagioni, quattro santi. Un incrocio che è una promessa di bellezza. Poi però ci vai davvero, ai Quattro Canti, e la realtà è diversa.

Ore 19.00. Una guida turistica parla in tre lingue contemporaneamente, un gruppo di turisti si fa un selfie con le statue sullo sfondo, un venditore in pantaloncini urla “spremuta fresca!” dietro a un “baracchino” luccicante. Accanto, un generatore a benzina sbuffa rumoroso.

Di fronte, un bar regolare osserva in silenzio - con licenza, affitto, Tari e tutti i documenti in regola.

Benvenuti nel cuore monumentale della quinta città d’Italia, dove il contrasto è diventato normalità. Ogni giorno - e soprattutto ogni sera - piazza Villena si riempie di venditori abusivi che vendono di tutto: spremute, spritz, patatine. Ci sono tavolini, carrelli, rifiuti lasciati a terra.

E così Palermo si guarda allo specchio, ma l’immagine che restituisce non è quella della cartolina. È quella di una città dove, tra la storia e le fontane, si consuma ogni giorno una piccola allegoria: da un lato la legalità che arranca, dall’altro l’improvvisazione che prolifera. In mezzo, Palermo. Che assiste, commenta, condivide, ma quasi mai interviene.

Un punto dolente quello dell’abusivismo, ma non l’unico. C’è una sensazione crescente di insicurezza, soprattutto quando calano le luci e cambiano anche i volti. Ai venditori si affiancano figure più minacciose: a volte chi spaccia, chi usa violenza, chi occupa lo spazio come se gli appartenesse. E chi, in effetti, si sente padrone.

«Non serve lamentarsi tanto per farlo - racconta una commerciante della zona, che preferisce restare anonima – bisogna dire come stanno le cose ma con uno spirito costruttivo . Negli ultimi anni, infatti, sono stati fatti passi avanti: è partita la raccolta differenziata, le carrozze e i cavalli sono stati spostati altrove, si è cercato di riportare un minimo di ordine. Prima, in quello spazio, c’era un affollamento incontrollato: si sovrapponevano ambulanti, moto ape, cavalli. Oggi qualcosa si è mosso, e proprio per questo non bisogna disperdere il lavoro fatto e le energie messe in campo».

«Il problema resta il presidio: la polizia municipale è sotto organico, fa quel che può durante il giorno ma, appena finisce il turno, gli abusivi - che conoscono perfettamente gli orari - tornano. Finché c’è presidio fisso, restano alla larga. Basta un attimo e si riappropriano di spazi che hanno sempre percepito come propri».

Secondo lei, la soluzione passa per un coordinamento vero e proprio tra tutte le forze dell’ordine - polizia, carabinieri, guardia di finanza, vigili urbani, esercito - con l’idea di fare squadra: «Solo così si dà un segnale chiaro che lo Stato c’è. Non basta mandare due agenti in mezzo al caos, senza potere operativo. Bisogna anche poter agire. E questo significa, ad esempio, dare la possibilità di sequestrare i mezzi di chi vende abusivamente non solo al nucleo della polizia amministrativa che è composto da pochissimo personale. Perché la multa, da sola, non serve a niente: sono nullatenenti, non la pagano, e il giorno dopo sono di nuovo lì».

«Il rischio - conclude - è che dietro ci sia una regia più grande, perfino criminale. Se è così, dato che non si combatte coi singoli, è necessaria una strategia e un coordinamento ben precisi».

«Nel frattempo, chi lavora in regola, chi ha creduto in questa zona, chi ha investito per cambiare volto alla città, subisce un danno doppio: economico e culturale. La sera si aggiunge il problema dello spaccio. E tutto questo danneggia non solo noi, ma l’immagine stessa della città».

A pochi passi da lì, in via Maqueda, Vito Minacapelli ha un negozio da anni. E non usa mezzi termini: «Quello che sta accadendo è la naturale evoluzione di ciò che si è fatto negli ultimi anni, ossia trasformare il centro storico in un villaggio turistico senza regole. O meglio, senza far rispettare le regole. Perché le ordinanze esistono, e anche su temi molto specifici, ma nessuno controlla.

Questo genera una certezza: quella dell’impunità. E l’impunità, sommata alla volontà di non rispettare la legge, è un mix esplosivo. Lo si vede nei fatti di cronaca, ormai quasi quotidiani».

Le conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti. «Il danno d’immagine è gravissimo, non solo per i turisti. I palermitani stanno abbandonando il centro storico, non solo chi ci vive - molti vendono, molti se ne vanno - ma anche chi non lo frequenta più perché è diventato invivibile. È un fatto grave, anzi gravissimo».

Cita anche la questione delle pedane in via Maqueda, create con un assist dell’amministrazione che ha autorizzato tutto. «Le panchine sono state rimosse per fare spazio ai dehors. Ora ce ne sono solo tre. Le altre? Ammassate in una via laterale. I cestini? Spariti quasi tutti. Tutto questo dà l’idea che ognuno possa fare quello che vuole. E chi lavora in regola resta esposto, senza protezione. Io sono stato il primo a credere nella pedonalizzazione, quando nessuno la voleva, ma non certo questa: ne immaginavo una diversa. Invece sono stato il primo a subire due spaccate alle vetrine. Una tre anni e mezzo fa. L’altra due anni fa».

Intanto, il caso dello “spritz da 45 euro” con minacce – servito in un banchetto abusivo a un turista – è diventato emblematico. Ma in realtà è solo uno dei tanti episodi che accadono ogni giorno, ogni sera. Minacce più sottili, intimidazioni leggere, scambi sospetti, fughe rapide all’arrivo di una volante.

Mentre il Comune annuncia nuovi presìdi serali tra tutte le aree calde del centro storico, arriva infatti la denuncia della consigliera comunale Tiziana D’Alessandro. «Domenica notte, nella zona della Vucciria e di piazza Caracciolo, si sono verificati episodi di disordine e totale assenza di controlli. Questa mattina sono stata contattata da residenti e commercianti che mi hanno segnalato una situazione inaccettabile: musica ad alto volume fino alle 5 del mattino, attività costrette a chiudere in anticipo e nessuna risposta concreta alle chiamate ai numeri d’emergenza».

«Tutto questo è accaduto nonostante fosse stato annunciato un presidio fisso delle forze dell’ordine, operativo dal martedì alla domenica, dalle ore 20.00 alle 6.00. Dopo una presenza effettiva nei giorni precedenti, domenica sera – giorno incluso nel piano – nessuna pattuglia era presente sul territorio».

«Ho chiesto personalmente, nei giorni scorsi, che si attivasse questo presidio stabile, perché ritengo che riportare legalità, ordine e sicurezza alla Vucciria sia una priorità assoluta. La pedonalizzazione di piazza Caracciolo, insieme alla presenza costante delle forze dell’ordine, rappresenta una svolta attesa da anni da chi vive e lavora in una delle aree più simboliche del centro storico. Mi sto attivando per capire cosa sia accaduto e perché il presidio annunciato non sia stato garantito. Non possiamo permettere che promesse pubbliche restino sulla carta: così si mina la credibilità delle istituzioni e si lascia sola una comunità che chiede solo sicurezza e rispetto delle regole».

Passano solo poche ore e un’altra vicenda riporta Palermo alla cronaca nazionale: un turista inglese viene picchiato e rapinato da due ragazzi all'ingresso della stazione Palazzo Reale-Orleans, dopo aver trascorso la serata proprio nei vicoli del centro storico. L’ennesimo episodio che rischia di annullare in un colpo solo gli sforzi di chi da anni prova a dare un volto nuovo alla città.

Ferite su ferite che continuano a sommarsi. Quelle fisiche, ma anche quelle emotive. Quelle che si aprono nei locali che hanno resistito per anni e che oggi decidono, per la prima volta, di abbassare la saracinesca. Come la Cioccolateria Lorenzo che, ieri, su un post su Facebook ha annunciato: «Domani non apriremo. È la prima volta da quel dicembre del 2011 che decidiamo di restare chiusi per sfinimento, per esaurimento delle risorse emotive e fisiche».

Raccontano di un’aggressione nel pomeriggio, alla luce del sole, avvenuta per un semplice cassonetto posizionato male. Raccontano di paura, di una porta chiusa per proteggersi, di una notte in ospedale, delle ore in caserma. E poi di collaboratori colpiti, clienti impauriti, e di una città difficile in cui ogni giorno si prova a costruire qualcosa di bello.

«Palermo è una città involuta per tante cose, ma noi in questi anni ci abbiamo provato. A essere un rifugio, a non piegarci al cibo mordi e fuggi, a mettere un fiore sul tavolo, la musica nell’aria, il profumo dei dolci. Vogliamo credere che in questa città si possa ancora essere diversi. Che accanto a chi organizza spedizioni punitive ci siano altri pronti ad abbracciarti e sorriderti».

E mentre sui social si moltiplicano i messaggi di solidarietà, la chiusura forzata di quel piccolo locale – un simbolo per il quartiere e per il centro storico – suona come un campanello d’allarme. Perché quando si spengono le luci dei luoghi che creano comunità, anche il buio fa un po’ più paura.

Palermo negli anni ha provato a cambiare pelle. Lo dimostrano i restauri, la pedonalizzazione, i turisti che ormai affollano il centro. Ma se a cambiare non è anche la capacità di proteggere chi costruisce, chi lavora onestamente, chi tiene acceso uno spiraglio di speranza nell’oscurità, allora tutto rischia di svanire sotto il peso della solita resa. Le strade più belle possono diventare le più fragili; le piazze più fotografiche, le più esposte.

Per questo, giovedì 10 luglio, alle ore 10.00, in tanti si ritroveranno davanti alla Cioccolateria Lorenzo. Per esserci, per portare un gesto, una presenza, un messaggio silenzioso ma chiarissimo: Palermo non può lasciare soli i suoi pezzi migliori. Perché se a crollare sono i luoghi che creano comunità e coesione, il vero nemico non è l’abusivismo o lo spaccio. È l’indifferenza. Ed è da lì che una città comincia davvero a perdersi.
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