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Il medico palermitano, l'ex suora e la moglie avvelenata: il caso che fece "scruscio" nel 1945

All’ombra della grande Storia si consumano piccoli drammi (non per questo meno dolorosi) come la morte in circostanze misteriose di Sofia Molatto, signora della buona società di Palermo

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 24 marzo 2022

I coniugi Lo Verso (foto dal web)

È una strana primavera quella del 1945: sono giornate calde e non solo da un punto di vista meteorologico. Al Nord si combatte ancora, ma in Sicilia gli alleati sono sbarcati da un anno e mezzo e lentamente la popolazione sta cercando di tornare alla normalità, lavorando alla ricostruzione, lasciandosi alle spalle orrore, morte e devastazione.

All’ombra della grande Storia si consumano piccoli drammi (non per questo meno dolorosi) come la morte improvvisa, in circostanze misteriose, di Sofia Molatto, una signora della buona società di Palermo. Il marito è Girolamo Lo Verso, figlio di un noto commerciante di tessuti di Via Maqueda, medico al pronto soccorso della "Feliciuzza", come viene detto l'Ospedale Benfratelli (oggi Ospedale Civico). La coppia ha già due figlie, Lina ed Ellide e un terzo bambino - un maschietto forse - è in arrivo; ma all’ottavo mese di gestazione Sofia è costretta a mettersi a letto, per via della tossicosi gravidica, una complicanza gestazionale.
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La situazione sembra apparentemente sotto controllo e Girolamo, medico attento, si prende cura della moglie, eppure improvvisamente Sofia muore. La sua morte solleva un'ondata di incredulità e di commozione negli ambienti palermitani; era una persona gentile e la sua è una famiglia molto conosciuta. La madre di Sofia, la signora Albertini, è straziata dal dolore ma al tempo stesso è diffidente nei confronti del genero, non ha mai provato simpatia per quest’uomo (a suo dire “un vero arrivista”) e anni prima si era opposta in ogni modo a quel matrimonio che felice, nonostante le apparenze, non è stato.

Più volte la cameriera le ha confidato che i coniugi ultimamente litigavano spesso, in modo violento. A un cronista del quotidiano "L'Unità" non sfugge l’astio che sottilmente serpeggia tra la famiglia dei Lo Verso, mercanti e gli Albertini, impiegati e professionisti. I sospetti della signora Albertini sembrano trovare subito conferma perché solo otto giorni dopo il funerale di Sofia, il marito “inconsolabile” lascia le bambine alla custodia dei nonni e parte alla volta di Marcianise, dove abita Filomena, ex-suora ed infermiera, conosciuta alla Feliciuzza, cinque anni prima, quando con il nome di suor Elena era arrivata dalla Campania.

Qualcosa doveva esser successo alla Feliciuzza, perché dopo aver lavorato nell’ospedale di Palermo con il Lo Verso, Filomena, che era novizia, aveva cambiato improvvisamente idea e aveva deciso di non professare più i voti definitivi e di lasciare le Suore della Carità.

Lo Verso si incontra a Napoli con Filomena Salzillo e dopo una settimana ritorna a Palermo, assume l’ex suora come governante delle bambine e come segretaria e infermiera nel suo studio privato. Si comincia presto a vociferare in città che l’infermiera sia l’amante del medico: qualcuno racconta di averla vista con indosso gli abiti e i gioielli della defunta signora Sofia. Una cameriera di casa Lo Verso afferma inoltre di aver sentito una notte la Salzillo chiedere al medico: “Non vieni a letto?”. Lui avrebbe risposto: “Fra un quarto d’ora.”

Iniziano anche a diffondersi dubbi sul decesso di Sofia e sull’anomalo comportamento di Girolamo, finchè un giorno alla Procura arriva una lettera anonima che denuncia apertamente come il medico avrebbe avvelenato la moglie per stare con Filomena Salzillo, forse complice nel delitto.

«Indagate e conoscerete». Suggerisce l’anonimo autore della lettera. Qualcuno ipotizza che dietro l’anonimato si nasconda un personaggio influente (forse la madre di Sofia, implacabile accusatrice del genero) viene infatti subito disposta la riesumazione e l'autopsia della salma. Vengono trovate tracce di “sublimato corrosivo”: Sofia è stata avvelenata. Lo Verso viene incriminato di uxoricidio aggravato (è morto anche il bambino nel grembo materno) e nel 1946 viene arrestato.

Durante un interrogatorio il medico ammette di aver confessato a un collega ed amico, il professore Michele Pavone, di aver praticato un’iniezione di sublimato corrosivo alla moglie, ma solo per errore, perché aveva sbagliato fiala. Il professore Pavone era rimasto sconvolto: Girolamo era un medico esperto, come aveva potuto commettere uno sbaglio del genere? Sofia era morta di nefrite nel volgere di pochi giorni.

Il processo si celebra a Palermo solo nel 1948. Il sospetto che non di errore si sia trattato ma di omicidio premeditato e che Girolamo abbia ucciso la moglie per un'altra donna è la tesi dell’accusa, suffragata dal fatto incontrovertibile che il marito si è informato presso un noto medico se il mercurio lasciasse traccia. Ben tre sono gli avvocati incaricati della difesa del Lo Verso: il professore De Marsico del Foro di Napoli e gli avvocati palermitani Battaglia e Vizzini. Si passano al vaglio la vita del medico, della vittima, dell’ex suora di Marcianise.

Il “caso Lo Verso” fa discutere e scuote l’opinione pubblica di una società bacchettona, dove non esiste ancora il divorzio ma è ritenuto lecito “il delitto d’onore”. La stampa nazionale non risparmia i titoli ad effetto: “Il martirio di Sofia Lo Verso”; “Ex monaca al centro della tragedia”, “La Salzillo movente del delitto”, “La Salzillo gettò il velo un giorno prima del delitto”, “Per il diavolo ha perso velo e pace la monaca di Palermo” e il diavolo ha il volto ovviamente di Girolamo Lo Verso, che è accusato di aver volontariamente ucciso la moglie.

La Salzillo compare nel processo solo come teste, prove contro di lei non ce ne sono: all’epoca del delitto si trovava in Campania, in provincia di Caserta, in un ambulatorio antimalarico. Nell’aula del processo la folla si accalca numerosa, con morbosa curiosità. “Si è udito persino qualcuno gridare: Vogliamo la suora!”.

Filomena Salzillo tuttavia delude le aspettative dei presenti: sembra una monaca di casa! Non ha proprio l'aspetto della donna fatale, della seduttrice descritta dai giornali capace di suscitare "fosche passioni”: è una donnetta magra, piccola, è vestita modestamente, porta un fazzoletto in testa, occhiali scuri, piccoli guanti, tormenta tra le mani (come quando sgranava il rosario in convento) una borsetta nera di seta.

Non è una donna per la quale si possa uccidere…Un colpo di scena questo che rilancia le tesi innocentiste e porta un quotidiano del Nord a titolare, il giorno dopo: "La bruttezza dell'ex suora solleva dubbi sulla tragedia". Eppure qualcuno pensa anche che quell’aspetto dimesso, quell’abbigliamento sciatto, siano una specie di recita, un po’ di “fumo negli occhi”, per ingannare chi è preposto a giudicare. Una delle bambine aveva riferito infatti alla portinaia: “Abbiamo una cameriera giovane e bella, che non è più suora come una volta, ora ha le vesti chiare e le scarpette rosse”.

La Salzillo si mostra probabilmente in tono dimesso in tribunale, per placare tutta quella morbosa attenzione da parte di pubblico e giornali.

La donna, come nell’interrogatorio del 1946 ammette la sua relazione con il medico, ma esclude che Lo Verso abbia ucciso la moglie per stare con lei. Il medico aveva promesso di sposarla in occasione del loro incontro casuale a Napoli, allora si erano recati in albergo e avevano avuto relazioni intime; ma a Palermo, in ospedale, nulla era accaduto tra i due perché lei era ancora monaca.

La parte civile trova strano che l’ex monaca si sia abbandonata tra le braccia del dottore dopo un incontro casuale a Napoli. Incalzata dal giudice Filomena è costretta ad ammettere di essersi già concessa carnalmente in passato, all’età di 17 anni, al suo fidanzato, una volta sola e quindi giorni dopo lui era partito per l’America e non aveva dato più notizie. La grande delusione provata l’aveva spinta a farsi monaca.

In tribunale il Lo Verso cerca invece di sminuire la relazione con l'ex suora e afferma: “Le avrei promesso di sposarla? Se si dovessero sposare tutte le donne alle quali si fanno promesse di questo genere...”. Il pubblico si abbandona a lunghi mormorii, a commenti, rumoreggia: nessuno sembra fare il tifo per i due amanti e tutto depone contro il medico palermitano che il 23 gennaio 1949 viene condannato all'ergastolo. Girolamo accoglie la notizia scoppiando in un lacrime. La sentenza verrà confermata sia in appello che dalla Cassazione.

Lo Verso morirà nel carcere di Barcellona il 7 ottobre 1965, a 51 anni, per un collasso cardiovascolare ed è sepolto a Palermo. Lina ed Ellide hanno sempre creduto nell’innocenza del padre.
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