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Il suo nome evoca (cupe) visioni di morte: la chiesa in Sicilia sulla vetta della Rupe Atenea

Un luogo suggestivo e inquietante dove venivano uccisi i condannati a morte. Alcuni associano invece il suo nome alla splendida aurora che si ammira da qui

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 13 gennaio 2023

La chiesetta delle Forche

Evoca cupe visioni di morte un’antica chiesetta del XVI secolo che s’innalza sulla vetta della Rupe Atenea alle spalle della Valle dei Templi di Agrigento.

Chiesa delle Forche è il nome sinistro con cui gli agrigentini la chiamano e Cristo delle Forche è detto il crocifisso ligneo che ospita.

Inoltre, Campo delle Forche è denominato il sito dove svetta: una cresta in arenaria della Rupe, nei cui dintorni nel 1837 venne scavata una fossa comune in cui vennero seppelliti gli ammalati di colera.

Così è accaduto che siano emersi dalla terra, scheletri ed ossa di resti umani, ritrovati nella prima metà dell’Ottocento durante la costruzione di una villa borbonica, ma in anni più recenti anche dai bambini che lì andavano a giocare. Tutti fatti e circostanze che hanno dato al luogo un aspetto fosco.

La Chiesa del Signore delle Forche, da tempo sconsacrata, è piccola ma ben proporzionata, ad unica navata Di concio di calcarenite arenaria è la sua struttura, compreso l’abside.
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Vi si entra per una scalinata prospiciente l’ampio piazzale sterrato. Sull’asse di mezzeria della facciata principale, a partire dal basso, sono disposti il portale ligneo, una finestra rettangolare che porta luce all’interno dell’aula liturgica. Spicca nella mezzeria del tetto anche una campana sorretta da una struttura in ferro.

Lo sfondo su cui si proietta è fascinosamente selvaggio, ma per gli agrigentini avanti negli anni, questa ripida cresta della Rupe rievoca soprattutto il ricordo tanti morti ammazzati dalla mano pubblica e privata, che ha cambiato il destino della chiesetta, diventata cappelletta cimiteriale, prima per officiarvi i riti per i morti da colera e poi, durante l’ultima guerra, per l’ultima benedizione che un cappellano militare dava ai condannati a morte per fucilazione.

Il condannato si inginocchiava dinanzi ad un preziosissimo Crocifisso ligneo policromo, del sedicesimo secolo, che, tratto in salvo, e recentemente restaurato, è adesso custodito nella sede della Pinacoteca comunale di Agrigento, ma è destinato a tornare nell’ex chiesa delle Forche non appena l’edificio, di proprietà del Comune, sarà restaurato, secondo il progetto del Comune finanziato di recente dal Ministero del Turismo per 440.000 euro.

Gli anziani raccontano che il crocifisso veniva portato in processione, nei periodi di persistente siccità, per supplicare Iddio di far piovere.

Durante il periodo fascista, il sito ospitava una Polveriera, che era sorvegliata da una decina di militari. Gli studenti della città che marinavano la scuola, salivano sino alla Rupe Atenea per assistere al cambio di guardia.

Un agrigentino ricorda: ““Era una gran fatica arrivarvi, a piedi, così si camminava allora. Si doveva attraversare una sorta di trazzera impervia, polverosa d’estate, fangosa d’inverno.

Spettacolo “eccitante” quello offerto dal cambio della guardia, ”corroborante "l’altolà" intimato dalle sentinelle che spesso impedivano ai passanti di continuare a salire. Per un raggio di cento metri era rigorosamente vietato di fumare. Si diceva che una scintilla avrebbe potuto far divampare la polveriera e distruggere la città”.

Ma soprattutto, come abbiamo detto, il motivo per cui la chiesa e il Campo venivano associati alle Forche nasceva dalla tradizione, secondo cui per secoli qui si veniva impiccati prima e fucilati poi dalle autorità.

Lo storico agrigentino Gaetano Riggio ricorda: “al Campo delle Forche, fucilarono un pastore licatese, certo Porrello, nel ’34 e, nel’37 certo Ferrigno palermitano. E si trattò in effetti di due brutte vicende.

Il Porrello per futili motivi aveva ucciso un compaesano ed aveva sgozzato un povero dodicenne, che, involontariamente, aveva assistito al delitto. Rinchiuso nel carcere di San Vito, inizialmente, riterrà di avere agito secondo norma. Nessuna differenza infatti faceva tra scannare un bambino o un agnello.

Successivamente per opera del pio cappellano della casa di pena si renderà conto del gravissimo misfatto. Affronterà serenamente la morte considerandola giusto e meritato castigo.

Profondamente commosso il cappellano avrà parole di sdegno nei confronti di alcune signore venute, alle prime luci dell’alba, a godersi lo spettacolo.

Ferrigno, accusato di strage in pregiudizio di cinque persone, era stato condannato all’ergastolo dalla Corte di assise di Palermo. Essendosi appellato il Pubblico Ministero la causa veniva trattata ad Agrigento ed esitata con la condanna a morte. I due furono fucilati al Campo delle Forche”.

Ma oltre costoro diversi altri condannati vennero messi davanti al plotone di esecuzione, che tra l’altro si esercitava qui, al Campo delle Forche, che costituiva anche una palestra per il tiro a segno.

C’è chi giura di avere visto sulle pareti rocciose di questa parte della Rupe Atenea i segni dei proiettili che hanno ferito la natura in questo luogo suggestivo, ma inquietante.

A meno che non crediamo a quanto sostiene lo storico agrigentino Giuseppe Picone, secondo il quale il termine Forche, dato a questo angolo della Rupe, deriva dall’arabo Furkan e significa Aurora, per cui la collina delle Forche sarebbe la Collina dell’Aurora.

Spiegazione che ha un suo senso: la collina si trova ad Oriente, punto cardinale da cui sorge il sole.
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