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In Sicilia se sbeffeggi qualcuno tutti pensano a lui: chi fu (l'amato) Pippo Pernacchio

Non dei clochard, ma dei veri e propri filosofi di strada. Vi raccontiamo un personaggio tra i più iconici, sicuramente uno dei più ricordati di tutta la Sicilia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 31 maggio 2025

Asterix in una famosa pernacchia

Quando Copernico elaborò la teoria eliocentrica volle dimostrarci che i pianeti girano intorno al sole, non intorno a te. Cioè, siamo 8 miliardi di persone in questo pianeta, che ruota attorno ad una delle 100 miliardi di stelle che popolano solo la Via Lattea.

Ogni galassia mediamente contiene dalle 100 alle 400 miliardi di stelle, e nello spazio attualmente osservabile (93 miliardi di anni luce) sono comprese più di 2000 miliardi di galassie.

Cioè, fratme, lo abbiamo capito che tu sei tu, però rilassati. Oggi come oggi, visto l’andazzo, ci vengono a mancare di quei personaggi iconici, epici, dei veri propri satiri che avevano proprio la funzione sociale di livellare i potenti (o chi si sente tale) perculandoli.

Non dei clochard, ma dei veri e propri filosofi di strada. Uno dei più iconici, sicuramente uno dei più ricordati di tutta la Sicilia, nonché più amati, era il catanese Pippio Pernacchio, o, come lo chiamavano (anche), Pippo de’Pirita.

Pippo, all’anagrafe Giuseppe Condorelli, nasce a Catania il 9 giugno 1930, da papà Angelo (vilanzaru di mestiere) e mamma Rosalia. Sono gli anni del ventennio, del regime, di quel signore con le mani nei fianchi che amava chiamare gli "italiani" dai balconi.

Sono anche gli anni del Futurismo, delle costruzioni alte e possenti che devono svettare su tutto per dimostrare la nostra grandezza; devono dominare soprattutto per coprire altre realtà, per nascondere quartieri come San Berillo, Civita, San Cristoforo, dove il concetto di “futurismo” è alquanto discutibile.

È in questo contesto che cresce Giuseppe Condorelli, prendendosi di petto una schifosa guerra mondiale, con l’aggravante di essere colpito a otto anni da una meningite che fermerà la sua mente a quel momento.

Pippo resterà dunque bambino per sempre, in compagnia di altri due fratelli e tre sorelle, tra le quali l’amata Concettina che si prenderà cura di lui vita natural durante.

Lo si vede rispuntare nel centro storico di Catania negli anni ’60, appena trentenne, e per tutti gli anni ’80, con l’inseparabile stella da sceriffo sempre al petto e con il suo talento più unico che raro di sfoderare le pernacchie più musicali e potenti del mondo. Lo conoscono tutti a Catania, lo conoscono come si conosce il Duomo, la Fontana dell’Elefante, il Teatro Bellini.

Il suo quartier generale è la via Etnea, precisamente il cinema “Sala Roma”, tant’è che lo chiamano Pippo Sala Roma; ma frequenta anche le redazioni di giornali, le pasticcerie, i luoghi di culto dove si vive e si fa la vita e la storia di una città verace come Catania. «Pippo, va facci ‘na pernacchia a chiddu. Pippo, ‘na Pernacchia a quell’altro».

E Pippo la faceva, non prima però di avere esposto il suo tariffario: una pernacchia 1000 lire, due pernacchie 2000 lire. Più prestigiosa era la persona da pernacchiare, più si alzava il prezzo della prestazione. Non solo in centro storico, anche allo stadio era conosciuto Pippo Pernacchio.

A tal proposito, in “Antologia di racconti sul Catania Calcio”, viene riportato un ricordo. -Quante volte nello stadio, fattosi improvvisamente silenzioso per effetto dei «Shhh!Shhh!Shhh!» ripetutisi dei tifosi e propagatisi in ogni settore come una invisibile onda concentrica, Pippo si alzava in piedi e, dopo aver umettato le labbra, dava inizio all’esecuzione del suo personalissimo brano musicale.

Sì, perché di musica si trattava, anche se non era eseguita alla "Scala", al "Regio", al "Bellini" o al "Teatro Massimo" -. E chi lo ha conosciuto insiste nel dire che non era ingenuità, perché quando qualcuno lo provocava, criticandolo sul suo modo di vivere ed invitandolo ad un cambio di carriera, con la pungente domanda «ma perché non vai a lavorare?», lui aveva la risposta sempre pronta: «Perché non mi voglio sciupare il visino!».

La fama di Pippo crebbe in quegli anni in tutto il comprensorio etneo, da Acireale a Taormina, dove si spostava quando la città si svuotava, per espletare la sua arte. Proprio a Taormina, verrà ritratto al centro del murales del Bar Mocambo, quasi fosse il protagonista, in giacca nera, maglia bianca e gli inconfondibili mustacchi, dal pittore Christian Bernard.

Qualche anno dopo gli verrà addirittura dedicata la copertina del Times, ma di questa non ne ho prova e non so nemmeno se sia una leggenda. Finita l’estate Pippo torna di nuovo nella sua via Etnea, alle sue pernacchie e alla vita di tutti i giorni.

Mi piace pensare (e sicuramente sarà capitato) che ogni tanto andava a fargli visita quell’altro Pippo catanese, Pippo Fava, che per 1000 lire gli chiedeva una pernacchia contro gli amici degli amici che lui intanto stava combattendo con la sua affilatissima penna.

Mi piace pensare ancora che, qualche anno dopo, quando un giorno si prende la briga -che non si sarebbe mai preso nessuno- di avvicinare Turi Santapaola, cugino del più famoso Nitto, e gli “spara” una pernacchiona sul viso, lo fa proprio per vendicare quell’altro Pippo (Fava) che era stato invece sparato da mano indegna.

Nel 1993 purtroppo Pippo Pernacchio viene colpito da un male alla gola che se lo porta via, lasciando Catania afona di una delle sue voci più caratteristiche: la sua pernacchia.

Di questa perdita dolorosa per la città ne ha scritto il cantautore Vincenzo Spampinato, dedicandogli una canzone intera. Ne riporto qualche verso: “Pippu s’u purtau lu ventu. Comu sgrusciu di carrozza, lu destino ‘nfami e tintu ci manciau li cannarozza”.
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