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In Sicilia si chiama "tappina": la calzatura amata da tutti, ricchi, poveri e "tappinare"

Pantofolare sembra essere un bisogno antropologico dell'uomo. l primi avvistamenti di un oggetto simile all'odierna ciabatta e al suo utilizzo risalgono al XII secolo

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 2 agosto 2021

Le ciabatte (o tappine) Champ che impazzavano negli anni '80

Nel 1952 la United States Air Force a seguito di numerosi avvistamenti di oggetti volanti non identificati conia per la prima volta il termine UFO; a Palermo nel 1952 le tappine volano già da decenni. E mentre volano le tappine le case chiuse pullulano - un palermitano mi potrebbe dire "non potevi usare un altro verbo?" - di tappinare.

«Professò, gliela posso fare una domanda?»
«Prego.»
«Chi sono le tappinare?»

Aspè, premiamo il tasto “rewind”, torniamo indietro e ricominciamo con ordine. Da quando l’Homo Habilis ha scoperto che vivere nelle caverne era più sicuro e conveniente che stare all’aperto ha assaporato anche il piacere di stare a casa in pantofole davanti a una fonte di calore e il giornale.

Insomma pantofolare, ancor prima dell’invenzione della pantofola, sembra essere un bisogno antropologico che l’uomo comincia a sentire quando da nomade diventa sedentario. Si, per chi non è siciliano, tappina è sinonimo di pantofola; tappinara invece non è sinonimo di pantofolaio/a ma di “bottana”.
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I primi avvistamenti, visto che abbiamo parlato di UFO, o per meglio dire le prime testimonianze scritte a proposito dell’utilizzo della pantofola risalgono al XII secolo quando un soldato cinese parla delle strane calzature indossate dai vietnamiti; nello stesso periodo la pantofola è però già diffusa anche nel Medioriente tant’è che ancora oggi quando qualcuno compra un paio di scarpe leggermente più lunghe o con la punta tendente all’alto a Palermo parte la solita battuta: «Che è? t'accattasti (ti sei comprato) i scarpi di Aladino?».

Pare che nei paesi mediorientali la lunghezza della pantofola stesse ad indicare la quantità di piccioli che possedeva chi le indossava; dalle nostre parti la pantofola comincia a diffondersi nel 1400 circa e anche qua servivano a descrivere lo status sociale, nonché il conto in banca: come parametro non si usava la lunghezza ma lo sfarzo della tappina, che poteva essere fatta di stoffe più o meno preziose, velluto, seta e tempestate di pietre più o meno preziose. Non è una coincidenza che in molte versioni di Cenerentola al posto della scarpetta di cristallo c’è una tappina.

Certo, molte versioni di Cenerentola perché se ne contano più di 300 e la prima sembra risalire dall’antico Egitto e narra la storia della schiava Rodopi e la pantofola di oro rosso. In occidente invece la prima versione di questa fiaba tutta salagadula, magicabula e fetish viene riscritta dal napoletano Giambattista Basile nel 1634 e ovviamente ambientata nel Regno di Napoli. La protagonista non si chiama Cenerentola ma Zezzolla e la trama è un mix tra Gomorra e Beautiful: infatti in combutta con la maestra uccide sua madre serrandole il collo con il coperchio della cassapanca; poi convince il padre a sposare la maestra.

Anche nella fiaba di Zezzolla non c’è la scarpa ma una pianella, che se andate a vedere per foto è una pantofola rinascimentale con le zeppe visibilmente feticista. Nel XIX secolo durante un importante ricevimento, il principe Alberto, marito della Regina Vittoria d’Inghilterra (quella dell’era Vittoriana), forse dopo avere esagerato con la birra, si fa trovare vestito di smoking e pantofole (voto 10, mito).

Ma torniamo alla tappina e tappinara. Se in tutta Italia viene chiamata pantofola o al massimo ciabatta e in Sicilia la chiamiamo tappina, questa, è colpa dei greci: il termine infatti deriva dalla parola greca tapeinòs significa basso/a contatto col suolo. Stando alla versione più di diffusa e accettata, sembra che durante gli anni in cui le case chiuse non erano ancora chiuse e intrattenevano i mariti insoddisfatti palermitani, le donne di facili costumi o (passatemi il termine folcloristico che è sempre meglio di escort) le “bottane” solevano indossare questa calzatura poiché le facilitava nel lavoro.

Per questo motivo quando si andava in questi lunapark dell’affermazione mascolina i lor signori venivano ricevuti in pantofole e quindi in tappine: da tappina a tappinara il passo è breve e di facile deduzione. Inoltre, siccome prima delle case chiuse ci stavano le lupanare, i postriboli, e via dicendo (non per niente viene chiamato il mestiere più antico del mondo) stando ai racconti storici, pare che durante la dominazione spagnola in Sicilia i viceré imposero alle prostitute di indossare queste calzature per rendersi riconoscibili.

Esiste però un’altra versione che risale addirittura dagli arabi e che non è né meno affascinate né meno verosimile, considerata la grande influenza di questa cultura. Ai tempi degli arabi, appunto, negli harem il sultano era il primo ad usare le pantofole proprio per evitare di sporcare l’ambiente più pulito in assoluto che il più delle volte era arredato di tappeti preziosi. Inoltre anche le concubine erano costrette ad indossare la pantofola che diventò un vero e proprio simbolo di sottomissione (capito le tappinare?).

P.s. la prossima volta che vostra moglie o vostro marito si fa trovare a casa con le tappine, per favore, non la prendete troppo a male, pensate che per lungo tempo è stato uno indumento sexy e sinonimo di lussuria.
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