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La Madonna insanguinata di Palermo: ispirò un famoso racconto, tra storia e leggenda

Se ne parla ne "La pietra del giocatore" ambientato nella chiesa di Sant’Agata alla Guilla, dove esisteva anche un reclusorio femminile di Maddalene Pentite

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 27 gennaio 2024

La chiesa di Sant'Agata alla Guilla

Il volto della Madonna, sfregiato e segnato da alcuni rivoli di sangue, fu venerato a lungo a Sant’Agata la Guilla, antichissima chiesa che sorge in via del Celso, a poca distanza dalla cattedrale di Palermo.

L’edificio, che è di proprietà del Comune, purtroppo è chiuso al culto da molto tempo e, nonostante sia stato consolidato tra il 1991 e il 2000, si trova in un deplorevole stato di abbandono e degrado. La presenza delle grate alle finestre ci ricorda che annesso alla chiesa era un monastero, già conservatorio di "Maddalene Pentite".

Il reclusorio fu istituito nel 1685 dal sacerdote Don Girolamo Quaranta e da altri religiosi, per dare riparo a “donne levate dal peccato” e riceveva in elemosina da diversi benefattori del denaro, per il mantenimento delle ree pentite.

Le donne emendate vestivano l’abito carmelitano di Santa Teresa, si imponevano un rigido tenore di vita, facevano penitenze e avevano il permesso di sentir messa e comunicarsi in chiesa.
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Nel 1892 il reclusorio era ancora attivo insieme al Brunaccini, Suor Vincenza, Santa Caterina da Siena, SS.Annunziata, Sante Croci. Si ipotizza che la chiesa di Sant'Agata la Guilla - sorta nei pressi dell’omonima porta urbica - esistesse già in epoca normanna, sebbene le prime notizie certe risalgano al 1282. L’edificio venne riscostruito quasi dalle fondamenta tra la fine del XV e il principio del XVI secolo.

Dopo la seconda guerra mondiale la chiesa venne chiusa al culto, subendo furti e spoliazioni. Ultima profanazione è stata la scoperta dei carabinieri nel 2014 di oltre 100 piante di marijuana all’interno dell’ex monastero, trasformato in piantagione di droga.

La dedicazione della chiesa a Sant’Agata si ispirava alla credenza che la chiesa fosse stata edificata su resti della dimora della patrona di Catania, nata a Palermo e martirizzata ai piedi dell’Etna.

Il toponimo Guilla sarebbe secondo Agostino Inveges una forma corrotta di Villa o giardino (della casa della martire catanese); ma è più certo come afferma Salvatore Morso che Guilla origini da un temine arabo, Guidda sarebbe deriverebbe da Guid, corruzione da Guad (riva del fiume o fiume stesso: il Papireto che lì vicino scorreva).

Scriveva il canonico Gaspare Palermo nel suo volume Guida Istruttiva che nella prima cappella di questa chiesa, decorata con preziosi marmi, a spese di Don Francesco Villapaterna Spagnuolo, si trovava un’immagine della Madonna della Grazia che allatta il Bambin Gesù.

Questa Madonna - trasformata in Madonna del Carmelo, con l’aggiunta nella mano della vergine dello scapolare, probabilmente quando il monastero venne abitato dalle carmelitane - si rese famosa per un prodigio, un fatto soprannaturale che rimase ben impresso nella memoria del popolo palermitano e che ispirò anche un racconto dello scrittore Vincenzo Linares.

Nel 1482, un accanito giocatore che viveva nei pressi della chiesa di Sant'Agata La Guilla e che giocando finiva per perdere sempre, quando gli rimasero pochi spicci giurò che avrebbe preso a coltellate magari la Madonna, se avesse perduto anche quelli.

Giocò e perse, allora fuori di sé dalla rabbia, entrò in chiesa e vista l’immagine di Maria che allattava il Bambino si avventò contro di essa col coltello.

Al primo colpo ferì Maria, al secondo Gesù e da tutte e due le figure immediatamente zampillò sangue vivo (ecco il prodigio!). Il reo, impressionatosi, cercò allora di fuggire dalla chiesa, ma rimase come paralizzato, bloccato da una potenza superiore, da una mano invisibile che lo aveva afferrato e lo teneva ben stretto.

Scoperto dalle autorità l’enorme misfatto il giocatore venne arrestato e condannato all’impiccagione. Mentre veniva condotto al patibolo avvenne un altro "miracolo": nella facciata della casa di fronte la cappella della Madonna profanata venne fuori una pietra quadrata e sporgente e qui venne attaccato il capestro e impiccato il malfattore.

Dopo l’impiccagione la pietra che veniva comunemente detta "la pietra del giocatore" sarebbe stata tagliata più volte, perché ogni volta tornava a ricomparire , fino a esser lasciata qual era ai tempi del Marchese di Villabianca quando esisteva ancora “quale testimonio del perenne misfatto”.

Lo studioso delle tradizioni popolari Giuseppe Pitrè si è occupato più volte della curiosa leggenda palermitana de La petra di lu jucaturi, in Studi di leggende popolari in Sicilia ad esempio o in Fiabe Novelle e Racconti popolari siciliani, dove non si è limitato a trascrivere la credenza popolare, ma ne ha fatto anche un’attenta disamina.

Nonostante "La devota tradizione letterata" - da Francesco Baronio (De majestate panormitana) ad Antonino Mongitore (Palermo divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo), da Gaspare Palermo (Guida Istruttiva) a Francesco Emanuele Gaetani Marchese di Villabianca (Palermo d’oggigiorno e Opuscoli Palermitani) - riferisca "esser avvenuto il fatto l’anno 1482", così come affermava anche una iscrizione in latino, apposta nella cappella nel 1631 (quindi molti anni dopo l’episodio) e voluta dal barone di Moriella Giambattista Grillo; nonostante esistesse nella suddetta cappella un dipinto dove erano rappresentati il pugnale e la pietra quadrata, segni del prodigio; asserisce il Pitrè che non di "fatto vero" trattasi ma di leggenda.

Fa notare infatti che la medesima tradizione si riscontra a Napoli per una immagine di Maria nella chiesa dell’antico ospedale di Sant’Eligio, detta Santa Maria della Misericordia: vi è il giocatore disperato, l’offesa lesiva dell’immagine e il sangue vivo che fuoriesce dalle ferite. Anche a Budapest in Ungheria si narra che un giocatore, avendo perduto tutto, persino i vestiti, ferì un crocifisso che si mise a sanguinare. Il sacrilego venne ucciso.

Tra altri simili racconti ricordiamo anche la famosa leggenda della Madonna dell’Arco, a Sant’Anastasia, nell’hinterland vesuviano di Napoli, dove nei pressi di un antico acquedotto romano si venera l'icona di una Madonna dal volto tumefatto, che sanguinò da una guancia, dopo essere stata colpita nel 1450 da un giocatore di palla- maglio: il reo fu condannato all’impiccagione.

Tornando invece a Palermo: un accurato reportage fotografico della chiesa di Sant’Agata alla Guilla ad opera di Claudio Pezzillo è facilmente consultabile sul web: tra le fotografie vi è anche la famosa immagine della Madonna insanguinata, colpita dal giocatore.
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