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La mamma morì "perché amava gli ultimi": e Giacomino fondò il Boccone del povero di Palermo

La storia di Giacomo Cusmano è una storia di dolore e generosità. La storia di un bambino che cresce nel ricordo dell'amore e all'amore per gli altri consacra la sua vita

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 1 febbraio 2021

Era l'anno in cui un certo Samuel Morse depositava il brevetto di un’invenzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di comunicare: il telegrafo. Questo succedeva in America, nello stesso anno la Sicilia era devastata dal Colera.

E mentre la nazione a stelle e strisce piano piano si apprestava a divenire la nuova potenza mondiale, a San Giuseppe Jato, nel palermitano, cinque bambini (Vincenza, Pietro, Giuseppina, Giuseppe e Giacomo) l’otto luglio di quel 1837, facevano i conti con la morte troppo presto e i loro pianti si mescolavano allo scirocco che bruciava di colpo i fiori e la loro infanzia.

Se gli altri bambini avevano paura del buio o dell’uomo nero loro avevano terrore di un mostro chiamato Colera che gli aveva portato via la madre: Maddalena si chiamava, nome quantomai profetico nell’annunciare un’esistenza segnata dal destino.

E quel giorno Maddalena non aveva detto dove stava andando. Era uscita di casa come ogni giorno quando andava a controllare i campi - poiché veniva da un’agiata famiglia e quindi li controllava lei - e invece aspettava un carretto che l’avrebbe portata al lazzaretto.
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Il suo sorriso era così materno che del fatto che quella mattina mamma era uscita di casa senza baciarli se ne accorsero solo Vincenza, la maggiore che a dodici anni avrebbe preso il suo posto, e Giacomo, perché il più piccolo e il bacio veniva prima del bicchiere di latte la mattina.

Chiuso in cucina ci stava Giacomo il grande, il padre dei bambini e il marito di Maddalena, che non aveva avuto il coraggio di vederla allontanare da casa ma aveva preferito singhiozzare di dolore mordendo il fazzoletto e dubitando dell’esistenza di quel Dio che tutti invocavano ma che evidentemente si era dimenticato di loro.

«Mamma - aveva chiesto la mattina il piccolo Giacomo - ma perché fai il sugo con il fazzoletto alla bocca?», «le cipolle mi fanno piangere figlio mio…», «E allora non ti devi coprire gli occhi al posto della bocca?». Maddalena non se ne sarebbe andata mai senza lasciare almeno quel pentolino che era l’ultimo pranzo della famiglia Cusmano da lei preparato.

«Papà... - Giacomino era il più curioso di tutti - ma pure tu le cipolle?”», «Mangia Giacomì - rispondeva suo padre mentre singhiozzava ancora col piatto di spaghetti sul tavolo - mangia che si raffredda e non è più buono».

E nonostante suo padre forse manco ci credeva più, aveva pensato che suo figlio avrebbe dovuto credere ugualmente in Dio perché almeno lui sarebbe stato in grado di trovare la consolazione. Giacomino cresceva con quegli insegnamenti, con l’amore per il prossimo, con il valore dell’uguaglianza: ci credeva così tanto alla storia della mamma salita in cielo perché era stata buona, che ogni volta che vedeva un mendicante dal balcone correva nell’armadio di papà, acchiappava uno dei suoi vestiti più belli, e glielo tirava insieme a un pezzo di pane e un pezzo di formaggio.

«Gesù, Giuseppe e Maria! È mai possibile che in questa casa non sono manco padrone del mio armadio!». «Papà - rispondeva Giacomino mentre sua sorella Vincenzina provvedeva a chiuderlo a chiave per prendere provvedimenti - ha detto don Francesco che non si nomina il nome di Dio invano, e manco quello della madonna...tu ne hai fatti tre tutti in colpo». «E ora ci vado a parlare io con don Francesco… che quando passano i mendicanti gli tirasse i suoi di vestiti!».

Passò poco che, presto, appassionandosi al messaggio di speranza, Giacomino si prese la prima comunione e pure la cresima. La sente talmente tanto quella vocazione che dagli otto anni fino ai diciotto frequenta la scuola dei padri gesuiti. Il periodo non è di quelli più belli, infatti scoppiano i moti del 1848, viene cacciato dal Regno delle Due Sicilie Ferdinando II e vengono chiuse pure le case dei Gesuiti.

Lui era giovane e tutto quel trambusto lo visse con entusiasmo perché c’era sempre qualcuno che andava e veniva: infatti nel 1849 ritorna Ferdinando II e riaprono gli istituti gesuitici. «Se è così movimentato il discorso - pensava Giacomo che la politica fino a quel momento non gli interessava - allora è ancora più bello di come pensavo».

Passa un anno e infatti Giacomo chiede ad un certo Giovanni Roothan, superiore generale della compagnia del Gesù, di potere entrare nell’ordine per fare il missionario e aiutare i poveri per il mondo. "Bonu è, Bonuè", risponde Roothan.

Qualche tempo dopo che Giacomo aveva la sacca sulle spalle come quella di Calimero e stava salendo sulla nave per imbarcarsi verso Napoli, appena diciannovenne, si sentii chiamare da lontano: «Giacomì! Giacomì! Ma che cosa sta combiando! Cerca di tornare subito a casa che papà si sentì male per colpa tua disgraziato. Scendi di là che c’è il dottore a casa!». «Ma io voglio fare il missionario», «Te lo do io la missione! E appena arriviamo a casa ti do pure il resto!».

Insomma suo fratello, tra una tirata d'orecchio e un calcio nel di dietro mentre lo faceva scendere dal pontile, quel giorno se lo portò a casa.

Abbandonata la missione Giacomo si mise la testa sulle spalle, finì gli studi al Collegio Massimo e si mise a studiare Medicina alla Regia Università di Palermo. Purtroppo non era ancora così bravo da salvare papà che morì l’anno dopo la sua iscrizione a causa di una malattia, ma fiero di lui. Morto papà fu costretto a tornare al paesello perché i fratelli si erano sposati e lui fu costretto a gestire le terre di famiglia.

Poco male, ebbe il tempo di imparare i segreti della vendemmia e di aiutare i contadini che lavoravano per lui e a cui, certe volte, magari a quello più stanco, cedeva l’asino per non farlo camminare a piedi. Finalmente a ventuno anni si laureò in medicina e chirurgia con il massimo dei voti. Purtroppo la testa l’aveva calda e gli venne un’altra furnicìa per la testa: scoprì San Francesco e decise che voleva diventare come lui.

«Vola basso" gli dice il canonico Domenico Turano "ma che ti senti il Padre Eterno?»; ridimensiona i suoi sogni ma lo aiuta a diventare sacerdote tanto che nel 1860 riceve l’ordine Giacomo.

Ci sarebbe così tanto da raccontare della storia di Giacomo che lo spazio non ce lo permette… ma se vi state chiedendo chi è Giacomino Cusmano, a cui è stata pure intitolata una strada di Palermo, diciamo subito che è il fondatore della famosa "Opera del Boccone del Povero" che da lì in avanti si occuperà di aiutare quelli di cui Dio si dimentica o non ci arriva per questioni tempo o per la troppa burocrazia.

Il 30 ottobre 1983 quel picciottello dalla testa calda e che lanciava i vestiti dal balcone verrà beatificato da papa Giovanni Paolo II.
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