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La Sicilia all'ombra dello scandalo Montesi: i festini senza freni del marchese di Grotte

Il delitto Montesi, le feste dell'alta borghesia fra sesso e droga, i segreti del "Cigno nero": uno dei più grandi gialli del dopoguerra ruota attorno alla figura di un nobile siciliano

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 5 settembre 2022

Il luogo del ritrovamento del cadavere di Wilma Montesi, sulla spiaggia di Capocotta

11 aprile 1953: è sabato mattina e la radio passa "Viale d’Autunno" di Carla Boni che quell’anno si è aggiudicata la terza edizione del Festival di Sanremo. Fortunato Bettini è un ragazzo di 17 anni che fa il manovale e per cui il sabato è solo un altro giorno di lavoro. Torvaianica invece è una località balneare - frazione di Pomezia - che si sta sviluppando proprio in quegli anni e che diventerà conosciuta per i suoi lidi.

Fortunato tanto fortunato non lo è mai stato, specie quella mattina. I piedi gli affondano nella sabbia, di fronte a lui il mare, e una povera colazione di quelle che si potevano consumare nell’immediato dopoguerra. Un altro sguardo all’orizzonte, poi di nuovo in pedi per raggiungere la casa in costruzione alla quale sta lavorando, e le cui fondamenta poggiano proprio su quella spiaggia, chiamata Capocotta, dove secondo la leggenda sbarcò Enea nel II millennio a.C.

Ad un certo punto Fortunato nota qualcosa. Forse un relitto, molto più probabilmente un grosso pesce, come lui stesso racconterà. Quindi si avvicina, vede dei quadrati gialli e verdi e due lunghe gambe. È un tonfo al cuore: capisce immediatamente che i tonni non portano le giacche e che i pesci non hanno le gambe, nemmeno nel caso delle sirene. È il corpo prono di una ragazza che giace sulla battigia con la testa immersa nella spuma delle onde che sembrano accarezzarla dispiaciute. È il corpo di Wilma Montesi, una ragazza romana di soli 21 anni, figlia di un falegname, in procinto di sposarsi e con il sogno di fare l’attrice.
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Ma facciamo un passo indietro. La guerra e la nascita della Repubblica hanno spazzato via gli ultimi rimasugli di una nobiltà che, come raccontato da Tommasi di Lampedusa, era già stata ferita a morte dal Risorgimento. La nobiltà, quella che è rimasta, si gongola nella Dolce Vita romana, invischiandosi alla politica e alla ricca borghesia. Tra questi c’è il siciliano Ugo Montagna, marchese di San Bartolomeo e nato Grotte (Agrigento) nel 1910, nonché discendente di una famiglia nobiliare fiorita ad Orvieto ma stanziatasi in Sicilia durante il Regno di Napoli.

Ugo è sicuramente uno degli elementi più rappresentativi di quel modo di vivere dionisiaco e sfrenato. Basta pensare che arriva a Roma nel 1938 e ha immediatamente qualche problemino con Benito Mussolini perché conduce i figli (Bruno e Vittorio) in bordelli di lusso. Fortunatamente però entra nelle grazie di Clara Petacci, per di più dopo averla truffata vendendole tappeti persiani falsi. Eh, perché è un commerciante Ugo. Commercia ogni cosa: femmine, cocaina, morfina, appalti e terreni agricoli da rendere edificabili… un picciotto che si dà da fare insomma.

Il talento più grande di Ugo però è un altro: organizzare orge. Già, da una parte loro, giovani, ricchi e annoiati, dall’altra i grandi palazzi vuoti che hanno bisogno di essere riempiti, meglio se di giovani ragazze alla ricerca di un qualche piccolo ruolo nel cinema. Tornando a Wilma, il caso è chiuso fin dall’inizio: la ragazza stava facendosi un pediluvio per curare un fastidioso eczema al piede, ha accusato un malore, è svenuta, ed è annegata con la faccia immersa nell’acqua salata.

Così non la pensa però l’opinione pubblica che sbatte sulle prime pagine le foto del corpo della ragazza, così non la pensa nemmeno il popolo romano che imbratta i muri della capitale di scritte allusive ad un collegamento tra la casta degli intoccabili e la morte di Wilma. È proprio grazie alle foto che una signora riconosce la ragazza e giura di averla incontrata dentro un treno per Ostia.

Le versioni sono tante, i dubbi ancor di più. Perché dopo aver preso un treno per Ostia sarebbe tornata a piedi fino a Torvaianica? Nel caso in cui fosse morta ad Ostia, come ha fatto la corrente a trasportarla da lì fino a Capocotta in così poco tempo, dato che la morte è stimata a giovedì? Questa volta le strade non portano a Roma, anzi non portano da nessuna parte. Questo fino a quando non entra in scena il giornalista Silvano Muto che pubblica un articolo sul giornale “Attualità” intitolato “La verità sul caso Montesi”.

Forse Silvano ha letto troppi libri di Conan Doyle da bambino, forse semplicemente ha la stoffa del detective, fatto sta che conduce un’indagine che lo porta ad Adriana Bisaccia, un’attrice ventitreenne che arrotonda facendo la dattilografa.

Il suo racconto è raccapricciante. La ragazza racconta al giornalista di aver preso parte ad un’orgia a base di droga e alcol insieme a lei, Wilma. L’osceno party avrebbe avuto luogo a Castel Porziano, a Capocotta, non lontano dal ritrovamento. Adriana è sicura che la ragazza sia morta per l’assunzione di una dose letale di droga, e che a trasportare il corpo siano stati Piero Piccioni - compositore di colonne sonore per il cinema, nonché figlio del ministro degli Esteri e fidanzato della famosa attrice Alida Valli - e lui, il nostro Ugo Montagna.

Gli elementi ci sono ma non la forza per scuotere un mondo altolocato come quello. A questo punto entra in scena Moneta Caglio, rinominata il "Cigno nero" per via di quella prima apparizione pubblica in cui indossa un abito scuro che le lascia il lungo collo scoperto. È figlia di un notaio, dimostra grande proprietà di linguaggio, e questa volta nessuno può voltarsi dall’altra parte, anche perché il Cigno dichiara di essere stata l’amante di Ugo Montagna e che Wilma era la nuova fiamma del marchese.

Lo scandalo è immenso, tanto da portare il Papa a prendere posizione e mettere in crisi il Governo, che si vedrà costretto a far dimettere il ministro degli Esteri della Democrazia Cristiana, Attilio Piccioni. Inoltre viene coinvolto anche il Questore di Roma, reo di aver offerto protezione ai due e di aver preso i vestiti della Montesi per disfarsene.

Il 23 giugno 1955 i tre vengono rinviati a giudizio. Sarebbe bello poter dire come nei romanzi che giustizia ha trionfato e che la povera Wilma ha avuto giustizia, ma questa è cruda realtà: il 28 maggio 1957 il tribunale assolve in formula piena i tre imputati. Wilma invece, o quantomeno la sua dignità, rimarrà per sempre inchiodata sulla quella battigia.

Mai delitto fu più perfetto. Per quanto riguarda Ugo Montagna, non farà mia più una piega né dirà una parola su questa storia. Morirà all’età di 80 anni 28 febbraio 1990 portandosi la verità appresso.
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