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La statua "dei due Fulippi" di Palermo: l'antico (e strano) caso di scambio d'identità

Il Teatro Marmoreo troneggia davanti a Palazzo dei Normanni ma in città non se lo fila quasi nessuno. Eppure sono tante e intrecciate le storie che gli diedero i natali

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 18 ottobre 2022

Il Teatro Marmoreo a Palermo

A Palermo c’è un monumento che non solo non si è calcolato quasi mai nessuno, ma che in più rappresenta uno dei più grandi casi di scambio d’identità della storia.

Quell’anno il professore Terranova fu nominato vicepreside al posto del professore Maniscalco. Ora, a scuola era girata sempre la voce che il professore Maniscalco fosse amico degli amici, ma da qui ad avere come amici pure i giornalisti, che il giorno che sparì gli fecero un articolo in prima pagina, ce ne passava. Latitante c’era scritto, che stando a sentire il mio compagno Catalano era una specie di campione di "nascondino olimpico" dove chi si nascondeva a volte non veniva più trovato per tutta la vita.

Così, per cambiare un po' le carte in tavola, Terranova una volta ci disse che a sua volta San Francesco disse: “Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista”.
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Per questo motivo istituì un corso di lavorazione artistica dell’argilla che durò da Natale a Santo Sfefano perché, diceva sempre Terranova, “ci sta sempre qualche cretino che invece di apprezzare l’arte si passa il tempo a riprodurre totemici falli e metterli nell’armadietto del bidello".

Freud avrebbe detto che forse eravamo rimasti nella “fase fallica”, Terranova molto più semplicemente ci portò a vedere il suddetto monumento perché eravamo "tordoni" e almeno ci saremmo aperti un po' la testa sull’arte. Il monumento in questione si chiamava Teatro Marmoreo, ed a occhio e croce stava (e sta) di fronte il Palazzo dei Normanni, sede dell’ARS, che, sempre secondo il professore, è una associazione di maghi specializzata nel fare sparire soldi, pure loro spesso amici degli amici.

Più che un “Teatro”, questo “Marmoreo”, era una sorta di piedistallo in marmo, attorniato da bellissime statue e con in cima un’altra statua di un grande re spagnolo che tutti credono ancora essere Filippo V e invece trattasi di Filippo IV. Chi fosse questo Filippo IV (e manco Filippo V) a nessuno è mai interessato, come ci fosse finito lì quel monumento e cosa rappresentasse, meno ancora.

Siamo nel 1660, in Europa si è appena raggiunta la Pace dei Pirenei, cioè il trattato di pace che mette fine alla “Guerra Franco-Spagnola”, a sua volta scoppiata perché la Francia ha deciso di immischiarsi nella Guerra dei Trent’anni dove già stava combattendo la Spagna.

In pratica non se ne sta capendo più niente. Proprio in quell’anno in Sicilia viene nominato come viceré Ferdinando de Ayala conte di Ayala, che il 6 gennaio arriva a Palermo via mare con addirittura 7 galee, prende possesso dopo due giorni di fare il turista e il 18 dello stesso mese finalmente si fa l’entrata a cavallo da Porta Felice fino alla Cattedrale (sfilata che è prassi per tutti i viceré).

Comunque, i siciliani, specie quelli ricchi, si sono un po' rotti le scatole degli spagnoli, e la Sicilia, guarda caso, è spagnola. Di controparte questo Ayala è fan sfegatato del re di Spagna Filippo IV, a livello che si ritaglia tutte le immagini dei giornali, ha la casa piena di sue statuette - tipo mia nonna con Padre Pio - e si va a seguire tutti i suoi comizi cantandogli sotto il balcone “menomale che Filippo c’è”.

Inutile dire che Ayala vuole attuare una in città una spagnolizzazione, cioè un’opera di convincimento - specie nei confronti di quelli che tengono i piccioli - che la corona di Spagna è bella e brava. E mentre Ayala sta mettendo in atto tutte queste potenti slinguazzate nei suoi confronti - anche perché scemo non c’è e lo sa benissimo che "cu avi lingua arriva a Roma"-, dalla sua Filippo IV se ne sta fottendo altamente perché gli è appena nato il tanto agognato figlio maschio che diventerà il futuro Carlo II di Spagna.

A dire la verità è un poco scalognato Fulippo: è vedovo dal 1646, e risposato con la cugina Marianna D’Austria, che ha sei gravidanze ma ne porta a compimento solo 3 (una bimba, un altro Fulippo che però muore bambino e il Carletto di sopra). Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, l’unica cosa che ogni tanto si vede in Sicilia durante il regno di Filippo IV è qualche corrida, perché il detto re è intrippato male e devoto sostenitore della Tauromachia, ovvero l’utilizzo dei bovini negli spettacoli, che parte dal salto del toro dai tempi di Creta minoica, ad appunto la corrida, fino all’attuale "metter e’corn" che non passa mai di moda.

L’opera viene commissionata proprio per lecchineria di Ayala ai tre moschiettieri del barocco siciliano: Gaspare Guercio, Gaspare Serpotta (padre di Giacomo) e Luigi Geraci. Le otto statue attorno al monumento rappresentano gli stati governati da Fulippo IV; i quattro bassorilievi invece simbolizzano le quattro parti del mondo allora conosciuto.

La statua del re - ci raccontò Terranova - era inizialmente di bronzo, ma durante i Moti del 1848 purtroppo fu presa e sciolta, come altre opere in bronzo presenti allora a Palermo, per farne dei cannoni. Catalano, essendo ripetente e molto più navigato di noi, su questa cosa del bronzo sciolto rimase un po’ perplesso perché in fondo per farsi i cannoni a Palermo erano sempre bastate cinque mila lire.

Ecco, Catalano a parte, per quanto riguarda lo scambio di identità tra Filippo IV e Filippo V, a quanto pare, la fottuta fu proprio lì. Eh già, la statua venne sostituita nel 1856 da una fatta in marmo dallo scultore Nunzio Morello e tutti pensarono che questa volta si trattasse di Filippo V.

Per concludere, quando quel giorno ce ne tornammo in classe ricchi di questa lezione sui due Fulippi e la loro storia, ci scusammo con Terranova e promettemmo che “totemici falli” d’argilla non avremmo fatti più. Da qual momento minimo minimo avrebbero dovuto essere di bronzo di marmo.
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