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Lascia il posto fisso in ricordo del figlio: Maurizia ora coltiva i capperi più antichi di Sicilia

I De Lorenzo, coltivatori di capperi da ben due secoli, sono capitanati dal pathos di una donna che ha "firmato" a Salina il primato della produzione più longeva dell'Isola

Marcella Ruggeri
Giornalista e conduttrice Tg
  • 15 novembre 2021

Da un bocciolo si risvegliano il seme e la ricchezza di aziende temerarie, che di generazione in generazione, non abbandonano la loro terra. Sono coltivatori di capperi praticamente da due secoli.

Il bisnonno Giuseppe dell’attuale titolare d’impresa di famiglia vendeva alla fine del 1800 ai commercianti questo aromatico prodotto che veste di "perline verdi" sia piatti salati che dolci e ritaglia piccoli quadretti bucolici di terreno nelle Isole Eolie.

Poi, il bisnonno ha trasmesso le sue conoscenze al nonno Giovanni e così via.

I protagonisti di questa storia sono i De Lorenzo che firmano a Salina il primato della produzione più antica nell’intera Regione Siciliana.

Una storia di uomini grandi lavoratori, del pathos di una donna che lascia la sua carriera in ricordo del figlio e di tante donne che sanno lavorare il cappero meglio della "categoria maschile" e vi spiegheremo il perché.

Il bocciolo cappero e il suo frutto “cucuncio” (in siciliano) più buoni sono da sempre sinonimo di Salina e della sorella Lipari, anche se i capperi di Pantelleria con il marchio Igp non passano di certo inosservati a tanti Paesi per qualità, gusto e tradizione.
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La famiglia De Lorenzo con "Sapori Eoliani - Azienda Agricola Roberto Rossello" ha una fama consolidata che gira tra nazioni e continenti nella coltivazione e nel commercio dei capperi anche perché si è specializzata esclusivamente in questo metodo.

È un valore aggiunto rispetto alle altre quattro aziende (senza togliere nulla a loro), presenti a Salina che, oltre ai capperi, producono anche particolari malvasia e vini. Il cappero di Salina (di tutti e cinque i produttori) è “Presidio Slow Food”, a differenza di quello delle altre Eolie (Lipari e Vulcano) che ha il marchio Dop.

Questo avviene per mantenere un’identità nell’immaginario collettivo.

Ad avere preso sulle spalle il "carico da 90" è l‘imprenditrice Maurizia De Lorenzo che ha vissuto nel 1980 la nascita dell’azienda del padre Giuseppe detto Pino (all’epoca già 60enne), con cui aveva sempre avuto un rapporto di collaborazione, pur svolgendo tutt’altro mestiere: dipendente al Comune di Malfa, all’interno dell’Ufficio Finanziario.

Maurizia è stata colpita dal lutto del suo unico genito Roberto Rossello, appena 35enne, a cui il nonno nel frattempo ha ceduto nel 2014 l’azienda di famiglia (anche se ha lavorato al suo fianco dal 2012).

Soltanto un anno e mezzo dopo, Roberto è rimasto vittima di un incidente stradale (11 novembre 2015), così Maurizia ha deciso di rilevare l’impresa di suo figlio a cui resta l’intitolazione. Prima di loro, si ricorda la Cooperativa Agricola "Sant’Anna" che operava negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta.

Una menzione anche alla "Italiana Capers Sud Srl" di Lipari, nata nel 1981 e targata Natoli che metabolizza l'esperienza (non per DNA o cessione) dell'azienda "Cappa" degli anni Cinquanta.

La signora De Lorenzo, che aveva ripiegato sul part-time per il suo posto fisso al Comune e poi sull’aspettativa, è diventata coltivatrice dal 2016 a tempo pieno nella “Patria del cappero” che è la splendida Pollara.

È proprietaria di circa 5 ettari e mezzo (con circa 2mila arbusti di cappero, non più di 4 chili per ogni esemplare), produce circa 70 quintali di capperi l’anno.

«Roberto aveva già accostato l’innovazione alla tradizione perciò pur affidandosi a ricette antiche ha adottato un packaging moderno, un sito internet ed io ho continuato su questa strada - spiega -. Lavoriamo con i prodotti che c’erano già e quelli che Roby aveva progettato di realizzare quali la Linea Dolce dei capperi che abbiamo dedicato a lui.

Ogni tanto integriamo le nostre idee. Facciamo riferimento ad un ingrediente che ci viene richiesto per i panettoni ma abbiamo collaudato e fatto successo sia con la Confettura di Capperi sia con i capperi canditi».

Nello spirito di instaurare sinergie e far circolare l’economia locale, questi prodotti sono stati preparati in collaborazione con il Masterchef Salvo Paolo Mangiapane dell’agrigentino (amico di Roberto e conosciuto attraverso il canale Slow Food) e l’azienda “Virgona” sempre di Salina.

Ma come si sviluppa la coltivazione dei capperi, quali cure bisogna apportare per giunta per un presidio Slow Food?

Si tratta di un lavoraccio che implica manovre delicate ed è per questo che necessita di mani femminili, specie nella raccolta. Parola di Maurizia che ha uno staff quasi tutto di quote rosa.

«Il periodo della potatura che cade tra fine novembre e dicembre è un momento altrettanto basilare - spiega -. Dopo le feste di Natale (gennaio e febbraio) si zappa e si avvia la concimazione. Poi si rizappa perché, dopo le prime piogge, spuntano le erbacce da estirpare a mano.

Tra i filari stretti dei capperi è impossibile che le motozappe riescano a passare, soprattutto dove insistono le coltivazioni. Dunque si deve intervenire artigianalmente anche nelle fasi successive.

Ad inizio maggio, si attiva la raccolta che si programma ogni settimana/ ogni dieci giorni sempre sulle stesse piante perché non possiamo rompere i rametti che altrimenti non produrrebbero più».

Per questo tipo di prodotto che ormai è così amato nelle tavole degli italiani e dai turisti, la difficoltà maggiore è proprio quella della raccolta perché si pratica dalla primavera inoltrata alla fine di luglio.

«Si procede alle 5 e mezza del mattino fino alle 11 e poi dalle 16 fino al tramonto - racconta la titolare –, l’esecuzione viene effettuata, per la maggior parte, dalle donne che impiegano un certo garbo e sono del luogo per ottenere una maggiore manualità e quindi un miglior risultato nella quantità».

Secondo De Lorenzo, in questo campo ci sono professionisti che ne raccolgono anche 50 chili al giorno, altri che arrivano solo ai 15 chili. Tutto si gioca sulla manualità. Chiariamo che la pianta del cappero, essendo della famiglia della rosa, ha le spine e il lavoro può essere rallentato da questo elemento e dal fatto che sotto al caldo non si può resistere oltre una certa ora.

C’è chi non va oltre le 10, altri fino a mezzogiorno. Oltre ai 70 quintali che rappresentano lo standard annuale, l’Azienda agricola “Sapori eoliani” si avvale di un’ulteriore trentina di quintali, comprati dai privati sempre a Pollara, dove tantissimi si dilettano in questo “esercizio ortofrutticolo”.

«Devo rispondere all’elevata domanda della clientela - rivela l’imprenditrice - con l’aiuto di chi mi sta accanto, facendo parte delle aziende di nicchia per scelta di vita. Vendo alle piccole aziende ma non rientro nella grande distribuzione. Non ho i numeri per entrare nei supermercati da produttrice perché non posso sostenere i costi.

Ma, come azienda, abbiamo espugnato il mercato internazionale con un discreto volume della merce, già da diversi anni, tra Inghilterra, Olanda, Austria e Germania e tanto tanto passaparola con i privati. Un nostro giovane importatore ha raggiunto il Giappone con la 'Fiera di Osaka di prodotti esclusivi italiani' e siamo sicuramente collocati col nostro marchio in città quali Osaka e Tokyo.

Il tutto grazie ad una conoscenza casuale di una insegnante di cucina giapponese che conobbe mio padre 30 anni fa e che aveva apprezzato i nostri capperi, al punto di volerli promuovere nel suo Paese”.

Il figlio Roberto aveva afferrato questo filone del Giappone che è stato ripreso dalla madre nel 2017. Nonostante la qualità incontrastata di una merce culinaria d’eccellenza, Maurizia dice di non aver pensato concretamente ad un sito di e-commerce.

«Il quantitativo di produzione non è immenso e riusciamo a gestire con il meccanismo di esportazione. Ci sono anche annate in cui non arriviamo all’obiettivo dei 100 quintali che dipendono dai fattori climatici».

«Quest’anno c’è stato caldo eccessivo - evidenzia - e i capperi sono finiti a metà luglio attaccati da una mosca per cui non si raccolgono più. A volte fioriscono sulla pianta perché non c’è chi li raccoglie».

La manodopera a volte manca ed è un problema. I settori di utilizzo del cappero ormai sono molteplici e la straordinarietà del sapore della tipologia di Salina viene intercettata e gettonata dagli chef pluristellati che è una medaglia al merito per i produttori come Maurizia.

A cercare i capperi della sua azienda sono le pasticcerie per la preparazione dei panettoni artigianali, i bar rinomati per le granite al gusto ricotta e cappero dolce candito che camminano con una spolverata di granella di cappero salato per creare il contrasto (Maurizia porta l’esempio del bar “Pa.Pe.Rò” a Rinella), per gli aperitivi e per le portate nei ristoranti come nelle pastasciutte in compagnia delle olive o nei secondi di pesce come nei calamari ripieni o nei contorni ripieni, tipicamente siciliani e messinesi (melanzana, peperone e pomodoro).

Non si possono non citare i grandi classici in vendita quali i capperi sottosale divisi per grandezza, poi quelli in aceto, in agrodolce, i “cucunci” sia in olio che in aceto (allo stessa stregua dei capperi), sughi pronti, pesti a base di capperi e cucunci.

Chi più ne ha più ne metta. Oltre a questa linea ci sono anche ortaggi quali melanzane, zucchine, cocomeri, cipolle, pomodori secchi, olive, la linea dolce comprende anche marmellate di agrumi e le nostre chicche restano la granella e le foglie di cappero.

La confettura capperi e malvasia è un omaggio a Roberto. Maurizia racconta che i cucunci di forma allungata non andavano molto quando c'erano i suoi genitori. Per fare un cucuncio bisogna sacrificare i raccolti cioè è un cappero che bisogna lasciar fiorire.

«Se non lo raccogliamo, si schiude - dice - ; all'interno il fiore ha un pistillo che viene impollinato dall'ape, cresce e si trasforma in cucuncio. Altrimenti perdiamo l'uno e l'altro. Se non si impollina il fiore cade. Adesso, il cucuncio va molto di moda perché è un componente degli aperitivi che sono sempre più abbinati ai sapori sapidi e di tendenza».

In una annata, si riesce a produrre il 10% del totale che è molto esiguo per la mole di offerta da soddisfare. Nelle prime raccolte, si dà la priorità al prelievo del cappero perché aspettare la comparsa del frutto ridurrebbe la tenerezza della pianta e bisogna stare attenti al suo controllo.

Un altro "pezzo" del cappero che va molto di moda in cucina negli ultimi tre anni è la foglia.

«In questo caso, c'è una richiesta che si ferma al 2% del totale - conclude la titolare - per esempio negli antipasti, fatte sott'olio o sotto sale (in boccia o in vasetto o in sacchetti di plastica), in pastella da friggere, per guarnire e sono proprio le star della gastronomia a farne domanda».

Una presente in loco è la chef Martina Caruso che lavora al "Signum" di Malfa, l'attività di famiglia. Ma anche rivenditori, piccoli negozi di nicchia sparsi per l'Italia e bar ricercano le foglie di cappero di Salina. De Lorenzo porta avanti non solo un nome di famiglia ma una tradizione e un patrimonio dell’Isola e della Sicilia.

La sua vita è, come si direbbe in dialetto, “casa e putia” (bottega) ma si è fatta conoscere nel mondo.

Così, Maurizia operativa anche nella vendita diretta, organizza visite guidate nel suo laboratorio ed anche degustazioni ed è rintracciabile nel Canali Social dell'azienda, oltre al sito www.saporieolianisalina.it.
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