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Le nuove città felici del "giuramento di Pan": lo spirito bambino dell'architetto Peluffo

L'architetto, docente alla Kore di Enna, con un lungo e intenso legame con la Sicilia, ha presentato la sua ultima fatica saggistica nella sede della Fondazione Federico II

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 19 dicembre 2021

Gianluca Peluffo

«Giuro di perseguire come scopo esclusivo la felicità delle donne e degli uomini, qualsiasi sia il loro ruolo e il loro stato sociale, la loro età, che siano o meno committenti o cittadini. A questa felicità ispirerò, con responsabilità e costante impegno professionale, scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale…».

Comincia così il "Giuramento di Pan" che Gianluca Peluffo, archistar italiana con un lungo e intenso legame con la Sicilia, lascia sorgere all'interno della sua ultima fatica saggistica che ha tutte le carte in regola per diventare un cult tanto per architetti e studiosi quanto per qualsiasi cittadino di qualunque città italiana.

Docente presso l'università Kore di Enna, co-fondatore dello Studio 5+1 e Fondatore dello Studio Peluffo & Partners, Peluffo appartiene a quella generazione, forse l'ultima, di intellettuali prestati alla grande architettura in cui la dimensione umanistica è componente inderogabile e centrale rispetto a qualsiasi attuale tentativo di deriva tecnicistica, in un continuum raro e misurato di occasioni professionali fortemente legate all'insegnamento presso diverse scuole di architettura.
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Non stupisce per nulla che le parole dell'architetto genovese che ha collaborato con Francesco Venezia, con lo Studio di Renzo Piano, che ha discusso la sua tesi di dottorato con Paolo Portoghesi e Pasquale Culotta, risuonino di esemplare spirito di comunità all'interno dell’oratorio di Sant’Elena e Costantino sede della Fondazione Federico II, le cui volte sono decorate da Guglielmo Borremans e Filippo Tancredi.

È una storia di bellezza italiana tout-court che travalica la soglia tra materiale e immateriale per costruire ponti di consapevolezza a supporto di nuova e indispensabile bellezza collettiva.

Nella sala piena e nel pieno rispetto delle norme anti-covid, Peluffo è introdotto prima dal direttore generale Patrizia Monterosso che pone l'accento sulla condizione universale dei valori socio-culturali e antropologici, di matericità e spiritualità propri dell’architettura, e poi ancora da Maurizio Carta che parla del libro edito da Marsilio (pp. 160, 12,50 euro) in termini lusinghieri definendolo “rivoluzionario e necessario” per il cammino di ripensamento e condivisione sul futuro delle nostre città.

Singolare e suggestiva è la capacità dell'autore di "empatizzare" con le risorse intellettuali più intime del pubblico e dei lettori. Lucida e scevra da compromessi la sua lettura di un paese dimentico della propria storia progettuale più recente e in cui, per dirla con Peluffo il mestiere di architetto è un mestiere “politico” in termini di ricadute urbane collettive, ancora necessario quanto quel diritto/dovere ad una coscienza artistica nel solco della storia millenaria del nostro strepitoso Paese.

Cita Edipo e la gente che non comprende i motivi della città malata, parla di passato e di mito ma parla di presente e futuro possibile al medesimo tempo esaltando la curiosa partecipazione del pubblico colto in sala.

Cita indirettamente ma scientemente quel "potere delle immagini" tanto caro a David Fredberg quando tiene a precisare il peso cosciente delle immagini nel rapporto corpo/spazio, artefice di circa tre millenni di storia dell'arte italiana.

Ricorda la lezione atemporale della bellezza costruita da Michelucci, Moretti e Scarpa, concludendo, quando ancora lo avremmo continuato ad ascoltare per parecchio tempo, sull'importanza strategica del diritto alla felicità da perseguire, marcando intenzionalmente l'importanza di quel "diritto di cittadinanza" che l'architettura contemporanea deve necessariamente riconquistare e condividere con la città del presente.

Ha ragione Peluffo quando ricorda che qualcosa si è rotto ma che va aggiustato, che lo Stato ha abiurato alla propria rappresentazione attraverso l'architettura ma che non può più permetterselo senza subirne conseguenze nefaste.

Architettura, cultura, comunità, politica e visione poetica di un rinnovato patto tra "mestiere" e città: c’è tutto questo e molto altro ancora in questo brillante testo antiaccademico, che si candida ad accarezzare le nostre suggestioni di rinascita, e che attraverso la preziosa e costante mission culturale della Federico II ha generato nuovi tasselli di consapevolezza a servizio della collettività.

È un libro da attraversare pagina dopo pagina con lo spirito "bambino" proiettato allo stupore e magari, come è lo stesso Peluffo a suggerire citando Sant'Agostino, leggendolo ad alta voce.
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