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Lo scopre sul palco in Sicilia e il primo autotrapianto in Italia la salva: chi è Giulia

Una battaglia combattuta sul palco e un infinito coraggio nell'accettare che la sua patologia rara non la definisse: vi raccontiamo chi è l'attrice palermitana Giulia

Alice Marchese
Giornalista
  • 2 maggio 2025

Giulia Tarantino

Una battaglia combattuta sul palco e un infinito coraggio nell'accettare che la sua patologia rara non la definisse.

È la storia di Giulia Tarantino, attrice e cantante palermitana di 28 anni che nel dicembre del 2022 si è scontrata con una realtà inimmaginabile.

Una realtà che però pian piano è diventata sua, pur essendo complessa da metabolizzare.

«La mia prima diagnosi è stata falsata - ci racconta Giulia Tarantino -. Sono sicura che se avessi fatto un altro mestiere non l'avrei scoperto, ma ho capito che qualcosa non andava mentre stavo lavorando.

Il mio corpo non rispondeva e non sopportava più lo sforzo. Ho fatto una visita controvoglia perché ero molto restia, sentivo di star bene e minimizzavo i miei sintomi.

Dai controlli di routine non emergeva nulla, mi hanno diagnosticato una nevralgia (dolore lancinante spesso causato da irritazione, ndr).

Un giorno sono andata in ospedale e il medico ha fatto un'ecocardiografia.

Da lì è stata notata una massa dentro il cuore talmente grande da schiacciare il polmone. Senza saperlo, facevo tutto con un polmone solo».

Una salvezza per lei è stata proprio il palco che le ha permesso di comprendere che qualcosa non andasse. Giorno dopo giorno, era sempre tutto più chiaro.

«Sono stata operata d'urgenza ed è fuoriuscito un mixoma (tumore benigno, ndr). Mi è stato detto che è molto difficile che si creino tumori solidi dentro il cuore.

Dall'esame istologico, invece, è stato scoperto un sarcoma (tumore raro che si sviluppa nei tessuti connettivi del corpo, ndr) dei tessuti nervosi periferici.

Già di base è raro, ma è una rarità dentro la rarità. Il cuore di norma non produce tumori, infatti si tratta di un cancro che si è immesso nei tessuti nervosi periferici e non ha prodotto metastasi, ma utilizza il sangue per spostarsi.

Non si sa perché non sia andato da altre parti».

Una storia che ha dell'incredibile, ma Giulia in un modo o nell'altro continua la sua vita sul palco che lei stessa definisce "terapia parallela dell'arte".

Contemporaneamente, però, continuano le indagini, ma il suo caso è stato rifiutato perché troppo raro.

Lei cercava comunque una risposta nelle esperienze altrui: «Non è stato facile, infatti ho deciso di parlarne dopo aver iniziato tutto, ma speravo di trovare qualche storia simile alla mia, ma questo purtroppo non è successo.

Ero completamente impreparata, non conoscevo neanche il "vocabolario base" della medicina.

Mi sarebbe piaciuto in quel momento scoprire una storia analoga, quella che poi è stata la mia - continua Giulia -. Non trovavo nulla, sia a lieto fine che non, neanche pazienti che facessero un mestiere simile al mio.

C'erano sempre racconti di chi ha interrotto tutto e ha lasciato la vita in sospeso e in effetti ho scoperto che è difficile far conciliare tutto. Perché accettare di avere una patologia ti assorbe in ogni caso».

Non si tratta soltanto di guarire, ma anche di accettare che qualcosa possa intralciare il tuo cammino e accogliere i cambiamenti.

«Il primo step è quello mentale - continua a raccontarci Giulia - ed è importantissimo considerare le terapie come una parentesi e non viceversa. Non rinunciavo al mio lavoro e ai miei impegni.

Ho pensato che, non avendo competenze in materia, non aiuterà investire il mio 100%.

Lascio fare il mestiere a chi sa farlo, io faccio il mio con le mie energie nonostante il continuo avanti e indietro da Milano.

Ricordo ancora quando prima di un'operazione un medico mi disse: "Giulia, non hai paura?" e io gli risposi: "Assolutamente no, non devo operare io. Mi affido a voi"».

Come dice lei, guarire è tante cose, il suo motto ormai e lezione di vita che ha interiorizzato: «Guarire non è solo lasciare che ti operino, che ti facciano la chemio, ma è l'impegno quotidiano nel coltivarsi, non mettere in standby tutto e non paralizzarsi.

Non lasciare che questa cosa definisca chi sei. È essenziale riuscire di essere anche autrice di te stessa, non lasciare che la tua vita si chiami "tumore".

Ho cercato il più possibile di investire ogni singolo grammo di energia che mi rimaneva, pur notando il mio aspetto che cambiava. Avevo comunque del potere e l'ho capito grazie al mio lavoro.

Anche se non è semplice raccontare attraverso la musica e il palco tutto il resto della tua vita perché la tua priorità è quella di salvarti, ci vuole tempo».

Purtroppo però è arrivato un momento in cui ha pensato di gettare la spugna perché prosciugata da quello che stava subendo: «Ho pensato di lasciare tutto perché ero completamente senza energie, ma la musica mi è venuta a cercare prima che la abbandonassi.

L'anno scorso sono stata ricoverata e dopo il secondo intervento ero decisa nel concludere la mia carriera, mi sentivo totalmente sterile.

Durante la mia degenza è venuta nella mia stanza la responsabile di reparto. Erano tutti molto curiosi di capire chi fossi perché nel reparto di cardiochirurgia i pazienti erano tutti anziani e io avevo solo 27 anni.

Dopo averle detto del mio percorso artistico, mi confessò che il mio vicino di stanza era il pianista di Lucio Dalla Teo Ciavarella - racconta emozionatissima.- Ha fatto di tutto per farci suonare insieme e caso volle che nella sala comune ci fosse un pianoforte.

Lì abbiamo cantato Vedrai vedrai di Luigi Tenco ed è stato bellissimo. È proprio vero che quello che è destinato a te torna, anche quando vedi solo pareti bianche».

Un percorso molto travagliato fatto comunque di piacevoli sorprese dietro l'angolo tra scambi artistici e incontri che portano un po' di luce sul suo quadro clinico: «Sempre attraverso un passaparola, ho scoperto Humanitas (ospedale ad alta specializzazione, ndr) e la dottoressa Alexia Bertuzzi che si occupa di sarcomi e di tumori dei giovani adulti, fascia abbastanza delicata perché è quella dove i ragazzi stanno costruendo la loro vita.

Lei ha accolto il mio caso e inizia così il percorso con Humanitas che si basa su chemio adiuvante, cioè complementare all'intervento.

Dopo questo non ho più niente, sono guarita. Riprendo a pieno ritmo con il lavoro, ma parallelamente continuo con il follow up (tac e risonanza, ndr).

Durante i controlli dopo un anno emerge poi la rediciva perché il primo intervento non è stato radicale, ma di urgenza.

Hanno tolto il grosso, ma non le radici nonostante non contenessero malattia.

Quello che ho subito è stato un autotrapianto. Non è mai stato fatto un intervento del genere, sono stata la prima in Italia.

Metà è mio, l'altra metà è stata sostituita con tessuti organici bovini.

Soltanto a Houston in America c'è un medico che ha scoperto questo tipo di interventi, ma era davvero difficile da raggiungere.

Per salvarmi, la cardiochirurga Lucia Torracca ha iniziato la collaborazione con Houston e si è fatta istruire per procedere con l'operazione.

In questo mese di vera e propria formazione sono stati fatti tutti gli esami del caso ed è stato coinvolto un team di ingegneri biomedici che hanno stampato il mio cuore in 3d.

Da lì sono state fatte simulazioni di intervento e appena il momento giusto è arrivato, è stata fissata la data e l'8 aprile del 2024 sono stata operata.

Durante l'intervento mi è stato "tolto" il cuore per 3 ore.

L'intervento è durato 10 ore, il tutto attraverso la respirazione extracorporea. Questo significa che cuore e polmone sono stati fermati e sono stata attaccata a un macchinario che funzionava al posto loro.

Poi è arrivata la fase di riabilitazione dal momento che dovevo accogliere un corpo totalmente estraneo, ma dovevo comunque reimparare.

Non ho mai avvertito tutto questo come non mio e non ho mai avuto paura, se non nei momenti in cui aspettavo delle risposte.

Sono comunque felice che il mio caso abbia in qualche modo aperto una pista per la ricerca e dopo di me, si è presentato un paziente che hanno trattato allo stesso modo».

Quella di Giulia è una testimonianza di come in un modo o nell'altro, l'arte ti salva, così come la fiducia nella scienza e nel riconoscersi in quello che si è senza che la patologia, seppur rara e incomprensibile, ti definisca.

«Adesso sono tornata ad Agrigento dove abito e lavoro con la compagnia Savatteri Produzioni.

Ho ripreso a pieno ritmo con gli spettacoli e sono tornata in scena sin da subito.

Sorrido ancora se penso al liceo e dove tutto è iniziato. Volevo fare la professoressa di storia e filosofia e la mia insegnante del liceo Marina Buttari mi ha incoraggiata a fare l'audizione per il corso di teatro perché in me vedeva la scintilla - conclude Giulia sorridendo-.

Ho interpretato Medea e da lì ho capito che quella era la mia strada. Ho vestito i panni del personaggio greco anche da professionista e l'abbiamo portato in scena alla Valle dei Templi nel tempio dei Dioscuri.

Ormai è parte di me, così come tutto quello che mi è successo e sono felice così».
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